Grande successo di pubblico al convegno La valigia dei sogni: l’importanza economica e culturale del patrimonio cinematografico, evento all’interno del Torino Film Industry e curato dalla Film Commission Torino Piemonte e da CSC - Cineteca Nazionale giovedì 21 novembre presso il Circolo dei lettori di Torino. Strutturato in due panel e con ospiti d’eccezione, il convegno è stato aperto da Paolo Manera, il Direttore della Film Commission Torino Piemonte, Steve Della Casa, Conservatore della Cineteca Nazionale e Carlo Chatrian, il Direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino.
Per Steve Della Casa, questo “convegno, inteso come un laboratorio amichevole, vuole far riflettere sul preservare, conservare, restaurare e digitalizzare il patrimonio cinematografico sia da un punto di vista squisitamente culturale, sia per chi voglia fare cinema in futuro, come hanno fatto e stanno facendo cineaste di tutto rispetto: Alina Marazzi e Costanza Quatriglio. L’importanza che ormai rivestono gli archivi risiede anche nel fatto che il cinema è sempre di più un’arte strabica, ossia che guarda al passato ma anche al futuro”.
Carlo Chatrian ha sottolineato invece che il Museo del Cinema non è solo la Mole Antonelliana, “ma è anche una cineteca che pensa al futuro con uno sguardo internazionale. In tale contesto l’archivio unito alla creatività è la base per delle potenzialità infinite”. Il primo panel dedicato all’importanza economica e culturale del patrimonio cinematografico e condotto da Fulvia Caprara, ha visto colloquiare Enrico Bufalini (Direttore dell'Archivio storico del Luce), l’avvocato Cristina Massaro (consigliera del CdA del Centro Sperimentale di Cinematografia), Alina Marazzi e Jean François Rauger (Direttore della programmazione della Cinémathèque française).
Per Bufalini “cultura ed economia vanno a braccetto soprattutto per un archivio importante come il Luce, riconosciuto anche dall’Unesco nel 2013. Il Luce nasceva come una documentazione audiovisiva di propaganda anche e soprattutto per gli analfabeti. Il Luce non è poi solo un archivio d’immagini in movimento, ma anche di fotografie”. Sempre per Bufalini non si può pensare a dei ritorni economici immediati per la digitalizzazione di documenti non fiction. E solo istituzioni come il Luce possono reggere economicamente la salvaguardia di questi patrimoni, in cui i possibili guadagni ci sono ma sono ovviamente lontani nel tempo. Il processo è infatti molto costoso, perché la digitalizzazione prevede prima un controllo della copia e la stessa conservazione del materiale segue scrupolosamente le regole della FIAF. Ma poi le soddisfazioni si vedono e sono sotto gli occhi di tutti, come la sequenza finale di C’è ancora domani (2023), in cui immagini storiche e immagini finzionali si uniscono per una commozione collettiva, e la recentissima miniserie tv M. Il figlio del secolo in cui i filmati di archivio diventano delle scenografie virtuali per alcune scene.
Cristiana Massaro si è soffermata invece sulle macro e micropotenzialità dell’utilizzo del materiale d’archivio, nozione che va estesa a tutto quello che può comporre un repertorio. “La titolarità del supporto fisico”, spiega Massaro, “non è detto che coincida con la titolarità del contenuto di quel supporto”. E il miglior modo di valutare il patrimonio è per Massaro quello di valorizzarlo, proteggendolo, dunque da sfruttamenti arbitrari e parassitari. Ci sono state sentenze importanti che hanno creato un prima e un dopo riguardo di ciò. In tale prospettiva il restauro non è solo tecnico, ma è far rivivere anche i diritti di quell’opera. Da qui anche l’importanza delle liberatorie e delle autorizzazioni. La citazione seppur breve non può essere una buona scusante per non chiedere l’autorizzazione e neppure il non riuscire a trovare l’avente diritto può dare adito a libere estrapolazioni di immagini in movimento. In quest’ultimo caso il Pubblico Registro Cinematografico è un ottimo strumento d’ausilio. Bisogna poi lottare contro il fairy use dell’online.
Alina Marazzi ha raccontato il suo punto di vista da regista nei confronti del materiale d’archivio: l’entusiasmo in cui ci si trova di fronte alle tante immagini in movimento, e poi però dover fare i conti con le rigide leggi dell’economia e dei diritti. Da qui l’importanza di una professionalità particolare come quella dell’archive producer. Attualmente Marazzi sta lavorando a un nuovo film La ragazza con la leica, basato sul romanzo omonimo di Helena Janeczek, che vede come protagonista un personaggio realmente esistito: Garda Taro. Un film, dunque, di finzione che però non può prescindere dai filmati d’archivio anche fotografici. In tale contesto Alessia Petito, l’archive producer del film, ha consultato più di cinquanta archivi internazionali, proponendo alla regista materiali già pronti per la licenziabilità. In tale contesto Un’ora sola ti vorrei (2002) è stato “un film pioneristico, inedito, basato sugli home movies”. Da qui l’importanza di festival come Unarchive volti a sensibilizzare sull’uso creativo del materiale d’archivio.
Jean François Rauger ha spiegato che i problemi della Cinémathèque française sono gli stessi della Cineteca Nazionale. Quando si studia la storia degli archivi cinematografici ci si trova a un incrocio tra cultura ed economia. Inizialmente è una lotta della cultura contro l’economia. Gli archivi sono nati per lottare contro gli enti che volevano sbarazzarsi dei materiali. E non è un caso che gli archivi nascano proprio negli anni Trenta, quando si voleva buttare immagini del cinema muto, considerato a torto ormai inutile. Poi tutto è cambiato da quando il produttore si è reso conto che sceneggiature, manifesti, fotografie avevano un valore commerciale. Gli archivi sono stati fondamentali nello scoprire film considerati perduti. Recentemente la Cinémathèque française ha scoperto un film muto di Frank Capra. Ma oltre alla scoperta e alla conservazione il patrimonio va diffuso in primis grazie ai cinema d’essai. Tutto ciò oltre a generare un effetto economico, ha creato anche un effetto simbolico, emozionale. Solo qualche esempio: Martin Scorsese che durante la lavorazione di Hugo Cabret si è recato alla Cinémathèque per cercare degli oggetti legati ai tempi dei Lumière, o Quentin Tarantino che fa visita “da noi perché per Bastardi senza gloria, vuole visionare dei film ai tempi dell’occupazione nazista in Francia”.
Le cineteche sono poi utili attraverso rassegne per ridare un senso pedagogico alla visione, perché le nuove generazioni sono bombardate dalle immagini e questo spinge a non vedere niente. “Non è un caso”, dice Bufalini, “che il cinema sta vivendo un momento di ibridazioni dei linguaggi, si veda ad esempio la docufiction. Il cinema si sta reinventando”. A conclusione del primo panel, Marazzi ha spiegato che “che è importante vedere le immagini del passato per poi potersene riappropriare, scardinare, svelando così la falsità del materiale non fiction. Infine lavorare al montaggio partendo da immagini preesistenti fa ottenere un ottimo risparmio economico. Lo si può fare maggiormente adesso grazie agli sviluppi tecnologici. Per Masssaro poi grazie alla digitalizzazione si è tornati a riscoprire il cinema del passato e i suoi autori. Si veda il grande successo di pubblico per i vecchi film visibili nelle piattaforme. A commento di ciò Della Casa cita Godard: “Non ci sono dei vecchi libri e neanche dei vecchi film”.
Il secondo panel è stato condotto da Stefania Ulivi con Daniele Di Gennaro (editore di Minimum Fax), Fabio Mancini (Rai Documentari), Costanza Quatriglio (regista e direttrice artistica del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo), Luca Ricciardi (AAMOD), Massimo Vigliar (Surf Film).
Daniele Di Gennaro ha raccontato la sua esperienza, spiegando che “Minimum Fax è nata più di trent’anni fa e ha avuto da sempre come obiettivo l’ibridazione dei linguaggi. Quando s’incontrano dei patrimoni anche se sono nascosti nel buio di una valigia, ci vogliono dei narratori per farli emergere. Anche perché i classici sono perfettamente in sintonia con il moderno, un moderno bombardato da stimoli”. Tutto dunque è all’insegna dell’ibridazione per Di Gennaro: dalla recente produzione di Invelle (2023) di Simone Massi al film in lavorazione di Franco Maresco su Goffredo Fofi e Danilo Dolci, ai libri in collaborazione con il CSC come i due volumi dedicati ai produttori di Domenico Monetti e Luca Pallanch o a quello dedicato all’ultimo film non finito di Don Camillo interpretato da Fernandel, d’imminente uscita. Archivi della memoria che s’incontrano con quelli cinematografici e cinematografici.
Per Fabio Mancini programmare i documentari sulle reti generaliste in diverse fasce orarie rappresenta una sfida importante. Anche perché Mancini concepisce le immagini di archivio mai come accompagnamento, ma atte a delineare le diverse nature e generi del doc. Teche Rai ma anche immagini dai film restaurati. Ad esempio per Volontè. L’uomo dai mille volti (2024) si sono unite immagini dei film con quelle degli sceneggiati Rai, e immagini di manifestazioni politiche… diverse nature di archivi a confronto. Idem per il documentario su Mastroianni andato con grande successo in prima serata.
Costanza Quatriglio ha raccontato, come Alina Marazzi, la sua esperienza di regista nei confronti delle immagini di archivio: “Terramatta(2012) è il primo film di archivio che ho fatto. Verteva sulla grande storia di un uomo che ha vissuto ma che non ha potuto raccontare. Perché era un ultimo, un analfabeta. Ho usato le immagini di propaganda del Luce per ribaltare quel senso e svelarne quello originario. Ogni volta che si ha a che fare con un’immagine d’archivio ci si confronti con quell’immaginario e contestualmente con il tuo. Il CSC di Palermo nasce da questa premessa. All’interno del programma didattico è previsto far incontrare scrittori e fotografi e tutti coloro che hanno a che fare con la realtà. Perché l’archivio è materia viva e tutto s’intreccia. Le lezioni sull’archivio le facciamo con i ragazzi del secondo anno e non al primo”. “Meraviglia, invenzione, allenare uno sguardo non passivo e soprattutto allenarsi a imparare e a guardare il presente”, continua Quatriglio, “Vedi attraverso gli occhi degli altri il futuro. In una parola: immaginare il futuro”. Il recente Il cassetto segreto (2024) è nato inizialmente come desiderio di tutelare il patrimonio “di mio padre che era un giornalista… il regista che incontra il proprio privato e che però va tutelato dallo Stato. E su questo ci ho fatto un film, appunto”.
Per Ricciardi, per comprendere il riuso creativo delle immagini bisogna ripartire da Guy Debord, dal detournement, pratica situazionista, non solo estetica ma anche politica. C’è un doppio fondo delle immagini, perché anche se sono immagini del passato siamo noi che le stiamo guardando con i nostri sguardi attuali. Spiega Ricciardi: “Noi queste pratiche del riuso creativo le abbiamo imparate all’Archivio AAMOD. Abbiamo cominciato a capire che tutte queste immagini sono un nostro giacimento. Non a caso diceva Zavattini che ‘i materiali non possono prendere polvere ma devono entrare in un’informazione più giusta e più democratica per un archivio del presente. Abbiamo costruito una filiera del riuso delle immagini in senso creativo. Disponibile a tutti. Tutte informazioni dedicate a giovani registi che utilizzino il riuso. Come archivio abbiamo prodotto o collaborato ad alcuni film come Arrivederci Berlinguer! (2024) o Berlinguer. La grande ambizione (2024) in cui il lavoro di archivio era già nella fase di scrittura.
Massimo Vigliar, fondatore della Surf Film, è imprenditore, produttore e distributore e afferma con orgoglio che la sua è una delle library più grandi sul cinema italiano. “Tutto è iniziato con Mario Canale, che faceva i backstage dei film, e mi propose dei documentari monografici sui grandi del cinema”, racconta Vigliar, “Abbiamo cominciato con De Sica, intervistando Woody Allen, Scorsese. Poi abbiamo proseguito con Ferreri, Pontecorvo, Mastroianni. Il cambiamento è avvenuto quando si è evoluto il restauro e tutto ciò ci ha permesso di elevare la nostra produzione. C’è sempre di più una ricerca del grande cinema, cioè di quando noi eravamo grandi, negli anni Sessanta e Settanta. La Cineteca di Bologna è stata di un aiuto enorme. La Cineteca non solo restaura ma distribuisce anche i film”.
Alle conclusioni finali Di Gennaro ha espresso una preoccupazione sull’ “atomizzazione della fruizione. La possibile dispersione si argina con le mappe culturali. Dobbiamo creare qualcosa dove gli archivi vengano trattati come delle mappe, tenendo conto delle ibridazioni dei linguaggi. Delle topografie culturali. Questa è la chiave per non morire dispersi”. Per Fabio Mancini “le immagini attuali non hanno lo stesso eros di quelle vecchie, ma hanno una loro funzione normativa: sono dei nuovi archivi.
Quatriglio ha riproposto il problema del budget, dei diritti per il riuso di queste immagini. Bisognerebbe cooperare di più, cercando di mettersi d’accordo prima sui costi con gli archivi. Gli archivi di contro dovrebbero venire incontro agli autori e togliere il logo sulle immagini dell’archivio che si danno perché per Quatriglio è antinarrativo.
E a proposito di cooperazione Ricciardi specifica che “l’AAMOD vive di sinergie. Tutti i nostri percorsi sono fatti in collaborazione come con Luce - Cinecittà ma anche con il CSC. Senza un archivio le immagini, magari quelle digitali, che cosa sono? Un archivio è ciò che conserva, archivia e gerarchizza”.
Vigliar torna sull’aspetto economico e conclude: “Tutto ha un costo. Comprare un minuto in Usa costa 21 mila dollari… impossibile! Bisognerebbe regolamentare tutto ciò”.
Foto @Com per TFI Torino Film Industry
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