“Il film sarà proiettato il 16 ottobre nella sezione Trésor et curiosité des archives alla presenza della Conservatrice della Cineteca Nazionale Daniela Currò”
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Il CSC-Cineteca Nazionale presenta al festival Lumière di Lione il restauro digitale di Sette uomini d'oro di Marco Vicario. La proiezione, in programma il 16 ottobre nella sezione del festival "Trésor et curiosité des archives", sarà introdotta dalla Conservatrice della Cineteca Nazionale Daniela Currò e da Karine Silla.
Il restauro è stato realizzato da CSC-Cineteca Nazionale presso il laboratorio Studio Emme di Roma con la supervisione di Marco Vicario, che ha messo a disposizione per le lavorazioni materiali di sua proprietà. Scritto dal regista con Paolo Bianchini, presentato al festival di Venezia, nastro d'argento per la miglior produzione 1965, è il più scattante e divertente film italiano del decennio 1960-69 con la formula del colpo grosso. Le musiche di Armando Trovajoli, con i Cantori Moderni, sono molto apprezzabili.
Così scriveva del film e del regista Lietta Tornabuoni del 1966: «Sette uomini d'oro ha rivelato Marco Vicario come un personaggio nuovo ed estremamente curioso del cinema italiano, lo ha reso ricco e anche noto. […] Romano, figlio di un direttore delle officine della Direzione di artiglieria, magro, vestito male: unica finezza un paio di bellissimi stivali da gaucho comprati in Argentina. Faccia carina, occhi stretti. Aspetto scialbo, più insignificante che modesto. Potrebbe essere uno di quegli ex-giovanottini pignoli che abitano nei quartieri piccolo borghesi di Roma: postelegrafonico, ragioniere, impiegato di banca. Assolutamente qualsiasi. Nessuna sregolatezza, ma una forma non trascurabile di genio: quello di riuscire. Riesce sempre, dicono. Prova a fare tutto e tutto quel che fa gli riesce: […] è un uomo destinato al successo. E non a caso il regista dichiara: «Un film è come un orologio svizzero: se ci sono le rotelle, le molle e i rubini funziona, perché non dovrebbe funzionare?, e se funziona lo vendi, la gente lo compra. […] Un film è un'operazione matematica: due più due fa quattro, non si sbaglia, non si può sbagliare. L'insuccesso è soltanto un errore di calcolo». (Lietta Tornabuoni, L'amore no, «L'Europeo», 9 giugno 1966).
Così scriveva del film e del regista Lietta Tornabuoni del 1966: «Sette uomini d'oro ha rivelato Marco Vicario come un personaggio nuovo ed estremamente curioso del cinema italiano, lo ha reso ricco e anche noto. […] Romano, figlio di un direttore delle officine della Direzione di artiglieria, magro, vestito male: unica finezza un paio di bellissimi stivali da gaucho comprati in Argentina. Faccia carina, occhi stretti. Aspetto scialbo, più insignificante che modesto. Potrebbe essere uno di quegli ex-giovanottini pignoli che abitano nei quartieri piccolo borghesi di Roma: postelegrafonico, ragioniere, impiegato di banca. Assolutamente qualsiasi. Nessuna sregolatezza, ma una forma non trascurabile di genio: quello di riuscire. Riesce sempre, dicono. Prova a fare tutto e tutto quel che fa gli riesce: […] è un uomo destinato al successo. E non a caso il regista dichiara: «Un film è come un orologio svizzero: se ci sono le rotelle, le molle e i rubini funziona, perché non dovrebbe funzionare?, e se funziona lo vendi, la gente lo compra. […] Un film è un'operazione matematica: due più due fa quattro, non si sbaglia, non si può sbagliare. L'insuccesso è soltanto un errore di calcolo». (Lietta Tornabuoni, L'amore no, «L'Europeo», 9 giugno 1966).
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