Vittorio De Seta. Diari di un maestro di cinema
01 Febbraio 2012 - 07 Febbraio 2012
I pescherecci al tramonto. I pastori ad Orgosolo all’alba di un nuovo giorno. Uomini a metà in crisi da tormenti interiori psicoanalitici. Viaggi on the road per ricostruirsi un’identità, con matrimoni falliti alle spalle. La scuola come mai si è vista al cinema e alla televisione. Sono solo alcuni esempi del cinema e della televisione di Vittorio De Seta, tra i primi a essere stato un cineasta indipendente, «quando era difficilissimo essere dei cineasti indipendenti, quando non c’erano le condizioni per poter essere dei cineasti indipendenti. Il suo cinema io non so definirlo altro che come “cinema della purezza”. Tutta la sua opera è coerente a un’idea di cinema che non scende a compromessi, e nello stesso tempo, e proprio per questo, a un’idea avventurosa del cinema affine a quella dei pionieri». Sono le parole molto toccanti e sentite di Franco Maresco e scritte come introduzione al bel volume di Goffredo Volpi e Gianni Volpi, Vittorio De Seta. Il mondo perduto (Lindau, 1999) e che sintetizzano alla perfezione la poetica di un autore di cinema, isolato, schivo, ma fondamentale nel rinnovare il linguaggio del documentario e non solo. Non è un caso che Jean Thévenot su «Les Lettres Françaises» intitolasse un suo articolo senza inutili reticenze: Une révélation: Vittorio De Seta, raccontando di come rimase impressionato positivamente dalla visione dei primi sei documentari girati in Sicilia dal regista palermitano. Privi di voce off, lasciando parlare le persone, i luoghi, gli ambienti, rigorosamente a colori, in cinemascope o nel suo surrogato cinepanoramic, lanciato appena l’anno prima dai kolossal storico-avventurosi e dalle commedie brillanti americane… una vera rivoluzione nel mondo immobile e paludato dei documentari. E se il suo primo lungometraggio, pluripremiato, è rigorosamente in bianco e nero, Banditi a Orgosolo, il secondo, Un uomo a metà, sempre in bianco e nero, mise in crisi una certa critica ostinatamente e ottusamente contenutistica. «Non allineato, non riconciliato, caparbiamente problematico: in una parola scomodo. E isolato. Insofferente ai dogmi, di partito così come di Chiesa (da marxista prima e cristiano poi, ma sempre e ostinatamente a suo modo), De Seta non ha mai frequentato, anzi spesso deliberatamente rifiutato, i “salotti buoni”: quelli dell’intellighenzia snob così come quelli romani del cinema ricco e facile e della televisione routinesca e dozzinale. Indisponibile ai compromessi o ai giochi al ribasso (mai un Carosello nella sua carriera), alieno alle ipocrisie delle trafile burocratiche necessarie a far approvare un qualsiasi progetto produttivo in Rai». Così scriveva giustamente Alessandro Rais, nel volume da lui curato Il cinema di Vittorio De Seta (Giuseppe Maimone Editore, 1995). Vittorio De Seta si è spento a Sellia Marina, il 28 novembre 2011. Doverosa e lodevole l’iniziativa coordinata dall’Apollo 11 Centro aggregativo e da Officina Film Club. È la prima volta che nella nostra città si realizza una retrospettiva-omaggio ad un cineasta con una tale diffusione territoriale, tra centro e periferia, con proiezioni che coinvolgono biblioteche, sale cinematografiche, sale d’essai, club cinema, aule universitarie e scolastiche, con il coinvolgimento di cineteche ed archivi di diverse regioni italiane. Al Cinema Trevi si potranno vedere i primi tre lungometraggi del regista e le quattro puntate de La Sicilia rivisitata (in programma martedì 7), dove il cineasta si reca negli anni Ottanta a filmare i luoghi e i volti dei suoi primi documentari, realizzati nei lontani anni Cinquanta.
Si ringrazia per la gentile collaborazione Rai Teche.
ore 17.30
Un uomo a metà (1966)
Regia: Vittorio De Seta; soggetto: V. De Seta; sceneggiatura: Fabio Carpi, Vera Gherarducci, V. De Seta; fotografia: Dario Di Palma; scenografia: V. Gherarducci; musica: Ennio Morricone; montaggio: Fernanda Papa; interpreti: Jacques Perrin, Lea Padovani, Ilaria Occhini, Gianni Garko, Rosemarie Dexter, Pier Paolo Capponi; origine: Italia: produzione: Dear, De Laurentiis; durata: 93′
Un uomo in crisi vaga nei luoghi della memoria. « La sceneggiatura era molto più lunga e descriveva anche la crisi del protagonista, le conseguenze di essa rispetto al contesto sociale, il lavoro, etc. Purtroppo i film non possono durare più di due ore ed i mezzi a disposizione per fare un film indipendente sono comunque sempre scarsi. Di conseguenza il film si è intimizzato al massimo grado, racconta soltanto le «cose di dentro», la crisi del protagonista a causa dei suoi complessi, dei quali si libera con un processo di autoanalisi, per integrarsi nel senso individuale cioè esattamente nel senso opposto per il quale si usa questo verbo oggi. Il protagonista conosce la propria parte «ombra», come direbbe Jung, si accetta, dolorosamente, si integra, diventa uomo» (De Seta). «È un film interessante, ma ha subito troppe elaborazioni in fase di sceneggiatura e ha avuto la malasorte di giungere in ritardo. Se fosse venuto prima delle Stagioni del nostro amore (al quale è superiore nella qualità stilistica), avrebbe avuto maggiore significato come sintomo di quella crisi ideologica della sinistra di cui si parlava. Se avesse conservato l’impianto primitivo, dove Michele soffriva un doppio trauma, sul piano individuale per l’esperienza familiare e sul piano collettivo per aver assistito alla violenza della guerra, e dove egli infine si riconciliava con l’idea del padre, l’introspezione si sarebbe distesa in una struttura narrativa ben altrimenti articolata, e l’ottimismo del finale maggiormente motivato. Taglia e cuci (di settantamila metri girati, De Seta ne ha utilizzati duemilasettecento), il film risulta una esercitazione di bella calligrafia, moderna e squisita ma scarsa di verità drammatica perché condotta, con una recitazione stilizzata, verso un processo di astrazione che finisce con l’investire anche la sostanza umana dei personaggi, statici nei loro connotati. Il film ha immagini di suggestivo lirismo nell’ordine figurativo, ma che non fanno avanzare l’analisi psicologica oltre lo stadio descrittivo. Né lo aiutano l’enfatica musica di Morricone e la maschera fissa di un livido Jacques Perrin, truccato peraltro molto bene» (Grazzini).
ore 19.15
Banditi a Orgosolo (1961)
Regia: Vittorio De Seta; soggetto: V. De Seta; sceneggiatura: Vera Gherarducci, V. De Seta; fotografia: V. De Seta; costumi: Marilù Carteny; musica: Valentino Bucchi; montaggio: V. De Seta; interpreti: Michele Cossu, Peppeddu Cuccu, Vittorina Pisano; origine: Italia; produzione: Vittorio De Seta; durata: 98′
Un pastore sardo accusato ingiustamente di furto e omicidio, si dà alla macchia in Barbagia. «Nel ’58 ero già andato a realizzare due cortometraggi, Pastori di Orgosolo e Un giorno in Barbagia. Ci sono tornato alla fine del ’59, senza un’idea precisa e ci sono rimasto per alcuni mesi, accompagnando i pastori sul Supramonte, partecipando alla transumanza delle greggi dalla montagna al mare. All’origine del mio interesse c’era anche l’inchiesta su Orgosolo di Franco Cagnetta, pubblicata su “Nuovi Argomenti”, che aveva scatenato infuocate polemiche per il suo approccio non moralistico e non istituzionale e aveva provocato anche interventi censori da parte del potere politico, Scelba in particolare» (De Seta). «Il film, ha come I Malavoglia, nel ripristino del bianco e nero, nella rispondenza tra personaggi e paesaggio, nell’essenzialità linguistica, finanche nella scelta non dialettale del parlato, nel ritmo aedico del racconto, i connotati del poema. Nel quale c’è sì la storica separatezza del mondo dei pastori sardi, in cui lo Stato irrompe, come fra i pescatori di Acitrezza, nel suo aspetto punitivo, nel carabiniere che arresta ‘Ntoni di padron ‘Ntoni o ricerca il bandito Michele Jossu, ma c’è come il dominio sopra la vicenda di una inesplicabile condanna, il volere di un fato imperscrutabile» (Vincenzo Consolo).
ore 21.00
Vittorio De Seta. Lo sguardo in ascolto (1995)
Regia: Daniele Ciprì e Franco Maresco; origine: Italia; produzione: Cinico Video; durata: 42′
Una conversazione tra De Seta e Goffredo Fofi con sequenze dei film del regista.
a seguire
L’invitata (1969)
Regia: Vittorio De Seta; soggetto: Tonino Guerra, Lucille Laks; sceneggiatura: V. De Seta; fotografia: Luciano Tovoli; scenografia: Pierre Guffroy; musica: George Garvarentz; montaggio: Emma Le Chanois, Gina Pignier, Alessandro Lena; interpreti: Joanna Shimkus, Michel Piccoli, Jacques Perrin, Paul Barge, Lorna Heilbron, Jacques Rispal; origine: Italia/Francia; produzione: Cormons Film, Opéra Film; durata: 90′
Una giovane donna francese viene svegliata dal marito, di ritorno da un viaggio in Inghilterra, che si è portato dietro una ragazza inglese. Fra i due c’è del tenero. La moglie fugge via… «In uno stile che può sembrare piatto, è un discorso, a favore dell’indulgenza all’interno della coppia. Il soggetto era di Tonino Guerra e Lucile Laks e si muoveva in un’area ermetica, allusiva, allora di moda, che non mi apparteneva. Tentai di introdurvi un minimo di scavo psicologico attorno al tema dell'”invitata”, in qualche modo dell'”esclusa”, e un minimo di rigore nella costruzione, ad esempio con la simmetria dei due triangoli amorosi che compaiono all’inizio e alla fine del viaggio della protagonista. Il film fu girato nella primavera del ’68, in condizioni precarie: sei-sette settimane, tutte in viaggio, e in più il problema dell’attrice. Joanna Shimkus era una “cover girl” ma disponibile quando era stata contattata; prima delle riprese, però, ebbe una “love story” che la stravolse. Era completamente passiva, le dovevi allargare i capelli per scoprirle il volto, inquadrarla» (De Seta). «Dopo aver affrontato l’abigeato in Banditi a Orgosolo e la psicanalisi in Un uomo a metà, Vittorio De Seta ha comunque provato ad affrontare con serietà e sobrietà anche l’adulterio in L’invitata. C’è riuscito per un terzo di film. Il terzo di film in cui si impone il talento, forse più istintivo che meditato, comunque irresistibile, della bravissima Joanna Shimkus. Dichiaro pubblicamente di non aver mai visto al cinema qualcuna, moglie o amante, piangere così indifesamente. Stupende lacrime. A momenti pare addirittura che Joanna Shimkus stia per realizzare il massimo miracolo: spremere un briciolo di commozione da quella stampella, quella gruccia, quel manichino, quell’attaccapanni rispondente al nome e cognome dell’eterno architetto Michel Piccoli» (Del Buono).
martedì 7
ore 17.00
La Sicilia rivisitata (1980)
Regia: Vittorio De Seta; fotografia: V. De Seta; montaggio: V. De Seta; origine: Italia; produzione: Rai; durata: 207′
«Mi sembrava interessante tornare in Sicilia ventiquattro anni dopo, nel ’78-79, a far vedere i documentari, sentire le reazioni. Se fossero stati fatti più lavori di questo genere, conosceremmo meglio la storia del nostro paese, come sono andate le cose. […] I miei documentari restano come un “documento”: fanno vedere il mondo com’era» (De Seta). «L’effetto di shock provocato da De Seta in La Sicilia rivisitata mettendo in relazione i suoi documentari siciliani del ’55 con immagini e sensazioni registrate venticinque anni dopo, è di quelli che rimangono nella storia della comunicazione» (Gazzano).
La prima puntata è dedicata la pesca del pesce spada, la seconda alle Eolie, la terza alle miniere di zolfo e alle celebrazioni pasquali, la quarta alla mietitura del grano e alla pesca del tonno a Favignana.
Per gentile concessione di Rai Teche – Ingresso gratuito