Il coraggio del produttore: omaggio ad Alfredo Bini
27 Aprile 2012 - 27 Aprile 2012
Dedicare una (breve) rassegna a un produttore, all’interno di un programma incentrato sulla figura del regista, dell’autore vero o presunto del film, significa mutare orizzonte e scardinare luoghi comuni e iconografie ormai classiche (il produttore sgrammaticato vestito di bianco). Significa risalire all’origine di un film, quando un’idea non si è ancora tradotta in un progetto e occorre qualcuno che investa dei soldi, e poi quel progetto bisogna realizzarlo, con una troupe, più o meno ampia, che giustamente reclama diritti e compensi, e poi, una volta finito il film, bisogna supportarlo in vari modi. Dall’inizio alla fine, per poi scomparire nel nulla, inghiottito da un titolo di testa che si perde nella memoria, mentre il film rimane, per sempre, a firma del regista, e del produttore non rimane traccia, se non celato dietro una sigla, più o meno nota. Salvo i rari casi di produttori che hanno guadagnato la scena, ma sempre per accumulo di film, raramente per singole prodezze: è il numero di film a “fare” il produttore. È la somma che fa il totale. E invece se ripartissimo dal grado autoriale di ogni singolo produttore, certe gerarchie del cinema italiano verrebbero messe in discussione perché a volte il percorso di un produttore è più coerente di quello di molti registi. Spingendoci oltre, potremmo addirittura riconoscere il cinema di Franco Cristaldi, di Goffredo Lombardo, di Alberto Grimaldi, di Lionello Santi, di Giuliani De Negri, di Enzo Doria (per citare produttori, a livelli diversi, facilmente riconoscibili nelle loro strategie produttive). Emblematico è il caso di Alfredo Bini, al quale rendiamo omaggio in questo primo appuntamento sul cinema visto dalla prospettiva dei produttori. Bini, scomparso nel 2010, ha legato il suo nome a Pasolini, che ha fatto esordire (dopo la rinuncia del neo produttore Fellini) con Accattone e ha poi seguito in numerose avventure, tanto da meritarsi una poesia, E l’Africa, pubblicata ne Il padre selvaggio, nel quale il produttore viene visto dal regista come un padre padrone. L’ardore di Bini, rimarcato da Pasolini, è pari al suo coraggio. Nulla lo spaventava: né l’impotenza del romanzo Il bell’Antonio di Brancati, trasposto sullo schermo da Bolognini, né lo scandaloso Satyricon di Petronio né tantomeno la concorrenza di Fellini, che lavorava sullo stesso progetto. Una corsa contro il tempo che costrinse il maestro riminese a suggellare l’operazione con il suo nome: il Satyricon di Fellini vs. il Satyricon di Gian Luigi Polidoro (e dello stesso Bini, artefice dell’operazione). Né le accuse di oscenità, che ispirarono il suo pamphlet Appunti per chi ha il dovere civile, professionale e politico di difendere il Cinema Italiano, datato Roma 12 maggio 1969, che andrebbe oggi riletto e studiato per capire dove è andato a finire il cinema italiano. Ma il nome di Bini è legato ad altri film spericolati sul filo della liberazione sessuale: Bora Bora e Noa Noa di Liberatore, Scacco alla regina di Festa Campanile, Il dio serpente e Il Decamerone nero di Vivarelli, in una filmografia nella quale trovano spazio i nomi di maestri del cinema come Bresson (Lancillotto e Ginevra) e Chabrol (Una gita di piacere) e colte incursioni nella Storia, l’arte, il teatro, la narrativa, come La mandragola di Lattuada, El Greco di Salce, La betìa di De Bosio, La bella di Lodi di Missiroli. Un produttore mai banale, mai scontato, al quale il Centro Sperimentale di Cinematografia – del quale è stato Commissario straordinario dal 1994 al 1995 – rende omaggio con tre significative opere.
ore 17.00
Il bell’Antonio (1960)
Regia: Mauro Bolognini; soggetto: dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati; sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, Gino Visentini; fotografia: Armando Nannuzzi; scenografia: Carlo Egidi; arredamento e costumi: Piero Tosi; musica: Piero Piccioni; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Pierre Brasseur, Rina Morelli, Tomas Milian, Fulvia Mammi; origine: Italia/Francia; produzione: Arco Film, Lyre Film; durata: 102′
La Catania provinciale di Brancati, in cui i comportamenti individuali sono regolati da principi inesorabili, rivive nell’affresco preciso e luminoso di Bolognini e nell’interpretazione controllata di Mastroianni. Antonio tornato a Catania dopo alcuni anni vissuti a Roma sposa la bella Barbara di cui è innamorato. Non riesce a consumare il matrimonio e Barbara lo lascia. «Il regista […] ci ha restituito una Sicilia ora lirica, ora pettegola e rissosa di struggente verità. Certe sequenze de Il bell’Antonio sono destinate a diventar celebri, anche perché Bolognini ha trovato nell’operatore Nannuzzi un collaboratore magico, e senz’altro d’eccezione» (Bianchi).
ore 19.00
Mamma Roma (1962)
Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto e sceneggiatura: P.P. Pasolini; fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia: Flavio Mogherini; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Anna Magnani, Franco Citti, Ettore Garofalo, Silvana Corsini, Luisa Loiano, Paolo Volponi; origine: Italia; produzione: Arco Film; durata: 105′
«Quando il suo protettore (Citti) si sposa, la prostituta Mamma Roma (Magnani) decide di rifarsi una vita assieme al figlio Ettore (Garofalo). […] Il tema dell’incoscienza, o della diversa coscienza, proletaria è il centro del secondo film di Pasolini […] dove il regista nobilita i suoi personaggi con richiami alla pittura rinascimentale (il Cristo morto del Mantegna), e tocca vertici di pathos senza versare una lacrima: Mamma Roma rappresenta la femminilità dolente ma indistruttibile, mentre Ettore, scettico e prematuramente deluso dalla vita, è fratello ideale di Accattone, senza esserne una scialba replica. Quella della Magnani […] è una delle sue migliori interpretazioni. Il debuttante Garofalo fu scoperto dal regista mentre faceva il cameriere in una trattoria. Lo scrittore Paolo Volponi è il prete» (Mereghetti).
ore 21.00
La bella di Lodi (1963)
Regia: Mario Missiroli; soggetto: dal racconto omonimo di Alberto Arbasino; sceneggiatura: A. Arbasino, M. Missiroli; fotografia: Tonino Delli Colli; scenografia e costumi: Danilo Donati; musica: Piero Umiliani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Stefania Sandrelli, Angel Aranda, Elena Borgo, Maria Monti, Giuliana Pogliani, Cesare Di Montignano; origine: Italia; produzione: Arco Film; durata: 83′
Roberta, figlia di una ricca famiglia lombarda, conosce in Versilia Franco, un giovane meccanico tanto attraente quanto privo di scrupoli. I due cominciano una relazione burrascosa che si svolge lungo l’autostrada del sole, simbolo dell’Italia del miracolo economico, tra hotel, spiagge, fughe, furti e riappacificazioni. «Il testo di Arbasino era molto divertente. Ogni anno tiravo fuori un regista nuovo, e quell’anno mettere insieme Arbasino e Missiroli mi sembrava divertente. L’argomento era bello: la gioventù lombarda del boom, insieme radical-chic però borghese-conservatrice. Era molto divertente, ma non bene strutturato, forse, e finì per costituire un divertimento per pochi intimi, quelli che leggevano Arbasino su “Il Giorno”» (Bini).