Cinema Trevi: “Il ritorno della Nova vlna”
18 Novembre 2009 - 20 Novembre 2009
Il crollo del Muro di Berlino e la “Rivoluzione di velluto”, della quale ricorre quest’anno il ventennale, segna la fine della messa al bando di alcuni film e di alcuni cineasti che venti anni prima avevano dato vita, nel corso degli anni Sessanta, alla breve e indimenticabile stagione della Nova vlna, brutalmente stroncata dall’invasione dell’agosto del ’68. La Nova vlna (in italiano la “nuova ondata”), che riprese il nome, ma anche molte suggestioni e stilemi, dalla Nouvelle Vague francese, fu un gruppo informale di giovani cineasti che debuttò e si affermò nella prima metà degli anni Sessanta della quale facevano parte Milos Forman, Vera Chytilova, Jiri Menzel, Jan Nemec, Evald Schorm, Jaromil Jires, Jan Nemec e Ivan Passer. Il manifesto di questo gruppo è considerato il film a episodi Perlicky na dne (“Perline sul fondo”) del 1965, al quale parteciparono molti registi, ognuno dirigendo un cortometraggio scritto da Bohumil Hrabal, il quale collaborò spesso con i registi della Nova vlna e specialmente con Jiri Menzel (Hrabal firmò, assieme a Jiri Menzel, la sceneggiatura del film, tratto dal suo romanzo, Ostre sledovane vlaky, del 1966, che vinse il premio Oscar nel 1968).Capogruppo di questa giovane generazione di cineasti fu senza dubbio Milos Forman. Diplomatosi nel 1956 in sceneggiatura alla scuola di cinema di Praga, la FAMU (da qui uscirono tutti i cineasti della Nova vlna), Forman, dopo un apprendistato come sceneggiatore, dirige i suoi due primi lungometraggi nel 1963, Konkurs e Cerny Petr (tradotto impropriamente in italiano L’asso di picche) che segnarono una nuova epoca nel cinema ceco. La scelta di affidarsi ad attori non professionisti e a dialoghi spesso improvvisati era espressione di una poetica nuova, che voleva rompere con gli stereotipi legati alla poetica del realismo socialista, ricollegandosi al genere del cinéma-vérité francese. Nei pochi anni che intercorrono tra questi due film e l’invasione sovietica il cinema ceco visse un’intensa fase creativa. In quello stesso anno debuttò al lungometraggio anche Vera Chytilova col suo O necem Jinem (Qualcosa d’altro, del ’63, film a metà tra il documentario e la fiction che si ricollega per alcuni versi al genere del cinéma-vérité), una delle registe più innovative e più originali della sua generazione, che diresse poi nel 1966 Sedmikrasky (Le margheritine), film che venne accusato dalla stampa più vicina al regime di “formalismo” (si arrivò a una interpellanza all’Assemblea Nazionale nel 1967 da parte di un parlamentare che lo additava per denunciare lo spreco dei soldi dei lavoratori), uno dei più innovativi lungometraggi di quel periodo, caratterizzato da un montaggio antinarrativo. La vena surrealista della Nova vlna venne percorsa anche da un altro cineasta ceco, Jan Nemec, col suo secondo lungometraggio, O slavnosti a hotech (Sulla festa e gli invitati, del 1966), nel quale un gruppo di amici che partecipa a un pic-nic in un bosco si trova improvvisamente coinvolto in un misterioso processo che si rivelerà, alla fine, essere solo una farsa. Allo stesso tempo le timide aperture della Primavera di Praga diedero la possibilità ai registi di rileggere il recente passato del paese in modo nuovo. Appartiene a questo filone, anche se solo in parte, Demanty noci (I diamanti della notte, del 1964), l’esordio di Jan Nemec che riguarda un episodio dell’Olocausto (seppur trasfigurato in chiave surreale), ma soprattutto il lungometraggio diretto da Jaromil Jires Zart (Lo scherzo del 1969), tratto dall’omonimo romanzo di Milan Kundera, che collaborò anche alla sceneggiatura, nel quale veniva mostrato un campo di lavoro in cui erano reclusi i dissidenti negli anni Cinquanta. Il film venne subito ritirato e congelato negli archivi, dove restò insieme al film di Menzel Skrivanci na niti, film realizzato nel 1969 e presentato al pubblico per la prima volta nel 1990 Allodole sul filo, ambientato anch’esso in un campo di lavoro per la rieducazione dei dissidenti. Completa il quadro un filone più intimista e minimalista, a cui appartengono il film di Ivan Passer Intimni osvetleni (Illuminazione intima), lungometraggio dai toni cechoviani ambientato in una casa di campagna dove si ritrovano due vecchi amici musicisti.
La normalizzazione, che seguì all’invasione sovietica dell’agosto del ’68, pose fine a questo periodo irripetibile nel quale, nel giro di pochi anni, si era affermata una generazione di straordinari talenti, che avevano ottenuto grandi riconoscimenti internazionali (il menzionato Oscar ai Treni strettamente sorvegliati fu preceduto da un premio Oscar nel 1966 a Obchod na korze, Il negozio al corso, di Kadar e Klos). Molti registi, come Forman, Passer e Nemec preferirono abbandonare il paese. Altri, come Menzel e Jires, rimasero, scegliendo di affrontare i rigori della normalizzazione (Menzel diresse alcune innocue commedie, mentre Jires girò alcuni documentari).
Rassegna in collaborazione tra Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, Istituto Culturale Ceco, Narodny filmovy archiv e Associazione culturale cineforum Cinit “Luis Buñuel”.
Programma a cura di Lorenzo Pompeo e Marco Belocchi
mercoledì 18
ore 17.30
Intimni osvetleni (Illuminazione intima, 1969)
Regia: Ivan Passer; sceneggiatura: I. Passer, Jaroslav Popousek, Vaclav Sasek; fotografia: Miroslav Ondricek, Josef Strecha; montaggio: Jirina Lukesova; musica: Josef Hart, Oldrich Korte; interpreti: Zdenek Bezusek, Karel Blazek, Miroslav Cvrk, Vera Kresadlova, Dagmar Redinova, Jaroslav Streda; origine: Cecoslovacchia; produzione: Ceskoslovensky Statni Film; durata: 71′
Debutto al lungometraggio di Ivan Passer, già assistente dei film di Forman, Intimni osvetleni è un film che si ricollega in parte allo stile e alla poetica del maestro, ma presenta già uno sviluppo originale verso una poetica minimalista e intimista. Il week-end in campagna nel quale si ritrovano dopo molti anni i due vecchi amici musicisti è un punto di partenza per tracciare un bilancio esistenziale dei personaggi. In bilico tra commedia e dramma, Il film di Passer, impregnato di suggestioni cechoviane, è considerato uno dei più riusciti lungometraggi della Nova vlna. «Inizialmente co-sceneggiatore nel suo gruppo di produzione e, più tardi, regista in proprio. Nel suo unico lungometraggio ceco Intimni osvitleni egli aveva assorbito non poco della poetica formaniana, ivi compresa la collaborazione con attori non professionisti. Naturalmente a differenza del punto di vista obiettivo di Forman, Passer mostrava – sia verso di loro, sia verso i personaggi del suo film – un rapporto dichiaratamente più personale» (S. Pradna). Premio speciale del sindacato dei critici degli Stati Uniti nel 1970.
ore 19.00
Perlicky na dne (Perline sul fondo, 1966)
Regia: Vera Chytilova, Jan Nemec, Jiri Menzel, Jaromil Jires, Evald Schorm; soggetti: Bohumil Hrabal; sceneggiature: V. Chytilova, J. Nemec, J. Menzel, J. Jires, E. Schorm; fotografia: Jaroslav Kucera; montaggio: Miroslav Hajek, Jirina Lukesova; musica: Jan Klusak, Jiri Sust; interpreti: Pavla Marsalkova, Ferdinand Kruta, Alois Vachek, Emil Iserle, Miroslav Noynek, Vlasta Spankova; origine: Cecoslovacchia; produzione: Filmove Studio Barrandov, durata: 105′
Film a episodi tratto da racconti di Bohumil Hrabal, Perlicky na dne è diventato il manifesto della Nova vlna, forse perché vi collaborarono praticamente tutti i registi (tranne Milos Forman) del gruppo (due ulteriori episodi diretti da Ivan Passer e Juraj Herz furono girati, ma non ricompresi nel progetto per motivi di durata). Hrabal era il punto di riferimento per questa generazione di cineasti (un po’ come Zavattini lo fu per il neorealismo italiano). «Al tempo dei debutti della Nova vlna anche l’opera di Bohumil Hrabal […] comincia a creare una zona di attrazione. Riflettendo in maniera poetica e raffinatamente giocosa, la vita e l’esistenza umana alla periferia dei grandi eventi sociali, egli celebra l’anticonformismo auto celebrativo, la salvezza data dall’originalità e dalla resistenza a ogni catalogazione. Perlicky na dne […] non si è trasformato soltanto nel film-manifesto della nova vlna […], ma attraverso la filosofia di un’umanità fuori norma, il film è entrato nell’armamentario spirituale dell’intera generazione» (G. Kopanevova).
copia proveniente da Narodni Filmovy Archiv, Praga
ore 21.00
Sedmikrasky (Le margheritine, 1966)
Regia: Vera Chytilova; soggetto: V. Chytilova; sceneggiatura: V. Chytilova, Ester Krumbachova, Pavel Juracek; fotografia: Jaroslav Kucera; musica: Jiri Slitr, Jiri Sust; montaggio: Miroslav Hajek; interpreti: Ivana Karbanova, Jitka Cerhova, Marie Ceskova, Jirina Myskova, Marcela Brezinova, Julius Albert; origine: Cecoslovacchia; produzione: Filmove Studio Barrandov; durata: 74′
Sedmikrasky è uno dei film più creativi e innovativi della Nova vlna, impregnato di suggestioni del surrealismo e dell’avanguardia, rappresenta forse il più riuscito tra i film dichiaratamente sperimentali e anticonformisti prodotti in Cecoslovacchia negli anni Sessanta. «La trama delle Margheritine assomiglia in sostanza a un assurdo nonsense. Le due ragazze, delle quali non verremo a sapere nulla di più preciso, decidono di distruggere e di svilire tutto ciò che è intorno a loro, e questo progetto di distruzione totale – condotto come un gioco divertente e temerario in cui tutto è permesso – è portato a compimento con coerenza fino alla loro stessa rovina» (S. Pradna).
giovedì 19
ore 17.30
Demanty nocy (I diamanti della notte, 1964)
Regia: Jan Nemec; soggetto: Arnost Lustig; sceneggiatura: Arnost Lustig, Jan Nemec; fotografia: Jaroslav Kucera, Miroslav Ondricek; montaggio: Miroslav Hajek; interpreti: Ladislav Jansky, Antonin Kumbera, Irma Bischofova, Ivan Asic, August Bischof, Josef Koblizek; origine: Cecoslovacchia; produzione: Ceskoslovensky Film Export; durata: 63′
Esordio al lungometraggio di Jan Nemec tratto da un racconto dello scrittore ceco Arnost Lustig, Demanty nocy è un film singolare che fonde elementi del surrealismo (le citazioni dei primi lavori di Buñuel sono evidenti) con elementi nouvelle vague (lo stesso regista dichiara di essersi ispirato a L’anno scorso a Marienbad e a Hiroshima mon amour di Alain Resnais). Lo spunto narrativo è semplicissimo: due ragazzi saltano da un treno che trasportano prigionieri ebrei e fuggono inseguiti attraverso un bosco. «Nuovamente il caso più emblematico è Demanty nocy, in cui la marcia dei due derelitti è continuamente interrotta da immagini difficilmente collocabili sul piano cronologico o di realtà: ricordi o sogni, prolessi o fantasie? In questo senso la sequenza più sorprendente del film è l’incontro tra il ragazzo più giovane e la contadina: i due si fronteggiano nella cucina della donna; la richiesta muta di un pezzo di pane si tramuta in un’aggressione brutale, variata e ripetuta tre volte nelle soluzioni di montaggio, e poi rivelata illusoria» (Pitassio). Gran premio al Festival di Mannheim-Heidelberg nel 1964.
ore 19.00
Ostre sledovane vlaky (Treni strettamente sorvegliati, 1966)
Regia: Jiri Menzel; Soggetto: Bohumil Hrabal; Sceneggiatura: Bohumil Hrabal e Jiri Menzel; fotografia: Jaromir Sofr; Montaggio: Jirina Lukesova; musica: Jiri Sust; interpreti: Vaclav Neckar, Josef Somr, Vlastimil Brodsky, Vlamir Valenta, Alois Vachek, Ferdinand Kruta, Jitka Scoffin, Jitka Zelenohorska, Nada Urbankova, Libuse Havelkova, Pavla Marsalkova, Milada Jezkova; origine: Cecoslovacchia; produzione: Filmove Studio Barrandov; durata: 93′
Tratto dall’omonimo romanzo di Hrabal, Ostre sledovane vlaky, primo lungometraggio di Jiri Menzel, fu anche l’inizio di un fortunato sodalizio tra il regista e lo scrittore che dura fino al recente Obsluhoval jsem Anglickeho krale (Ho servito il re d’Inghilterra, 2006). Il film vinse un Oscar nel 1968. «Da Cannes, dov’è stato presentato fuori concorso, rimbalza subito sugli schermi normali il film d’esordio di un cineasta cecoslovacco ventinovenne, Jiri Menzel. Siamo sempre nel clima di commedie come Gli amori di una biondadi Forman, fra un’osservazione spiritosa della vita quotidiana che ricorda il primo Olmi e un recupero in chiave disimpegnata della tradizione cecoslovacca festosa e godereccia. Qui si raccontano gli amori di un allievo capostazione, Milos, che alla maniera giovanile di Radiguet si preoccupa poco della guerra e molto della scoperta dell’universo femminile. Non tutto è facile per Milos, i suoi primi approcci sentimentali io trovano immaturo e gli lasciano una sensazione penosa: finché la realtà prende il sopravvento e impone al ragazzo una morte eroica che non era fatta per la sua misura. Si sente la ribellione agli schemi della cinematografia di stato, l’impegno a scardinare i miti eroici a vantaggio di un’aneddotica ridanciana. Alcuni personaggi sono colti con vivacità, certe situazioni ricordano Le avventure del buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hasek» (Kezich).
ore 21.00
O slavnosti a hostech (Sulla festa e gli invitati, 1966)
Regia: Jan Nemec; soggetto e sceneggiatura: Ester Krumbachova; Fotografia: Jaromir Sofr; montaggio: Miroslav Hajek; interpreti: Ivan Vyskocil, Jak Klusak, Jiri Nemec, Pavel Bosek, Karel Mares, Evald Schorm; origine: Cecoslovacchia; produzione: Filmove Studio Barrandov; durata: 71′
Col suo secondo lungometraggio Jan Nemec sembra accentuare quelle ispirazioni surrealiste, già presenti nel suo precedente lavoro. «Nel più importante film di Nemec O slavnosti a hostech avevano dato il loro volto ai personaggi famose personalità del mondo culturale praghese di allora (il regista Evald Schorm, gli scrittori Josef Skvorecky, Pavel Bosek e Zdena Salivarova, il filosofo Jiri Nemec, il compositore Jan Klusak e altri). I personaggi sono fissati come personificazioni dei vizi umani, così come nelle “moralità” medievali, naturalmente con un aspetto adeguato alla civiltà contemporanea. Gli attori (l’Eterno Indeciso, l’Opportunista, l’Ipocrita, il Ribelle, la Civetta, ecc.) sono privi della coscienza della propria identità, di cui gli autori della sceneggiatura non li hanno dotati intenzionalmente, lasciando che si rivelassero soltanto in quella precisa situazione: come partecipanti di una grandiosa festa all’aperto» (S. Pradna). Il film venne da molti critici interpretato come una metafora anticomunista, cosa che l’autore medesimo smentirà più volte: «Ho lasciato di proposito le cose come fuori dal tempo: non si vedono pompe di benzina o altri riferimenti temporali chiari, i vestiti sono in sostanza gli stessi abiti borghesi che si portano in Europa da due secoli, ma il caso volle che si vedesse in Ivan Vyskocil, l’anfitrione, una rassomiglianza con Lenin (il che non era assolutamente nelle mie intenzioni), così ebbi un sacco di problemi» (Nemec).
copia proveniente da Narodni Filmovy Archiv, Praga
venerdì 20
ore 17.30
Zert (Lo scherzo, 1969)
Regia: Jaromir Jires; soggetto: Milan Kundera; sceneggiatura: M. Kundera, J.Jires, Zdenek Blaha; fotografia: Jan Curik; montaggio: Josef Valusiak; musica: Zdenek Pololanik; interpreti: Josef Somr, Jana Ditetova, Ludek Munzar, Jiri Cimicky, Emil Haluska, Jaromir Hanzlik; origine: Cecoslovacchia; produzione: Filmove Studio Barrandov; Durata: 80′
Il film di Jires, tratto dall’omonimo romanzo di Milan Kundera (il quale collaborò anche alla sceneggiatura), è ambientato nella prima metà degli anni Cinquanta, gli anni più duri dominati dal regime staliniano. «Ludvik Jahn, il protagonista di Zart […] impersona un altro aspetto di un passato che non si è riusciti a controllare. Jahn non ha sopportato il torto inflittogli dalla storia, l’espulsione dall’università e i sei anni di permanenza nelle miniere. […] Si è trasformato in un cinico che desidera per lo meno vendicarsi, in maniera infantile e fallimentare, del proprio passato. La forza delle reminiscenze di Ludvik deriva dal fatto che il passato non gli ritorna alla mente in maniera meccanica, per uno stimolo esterno […]: i ricordi emergono qui dal magma delle sue associazioni più profonde e libere» (J. Cieslar). Vincitore di un premio al Festival di San Sebastian.
ore 19.00
Cerny Petr (L’asso di picche, 1965)
Regia: Milos Forman; soggetto e sceneggiatura: M. Forman, Jaroslav Papousek; fotografia: Jan Nemecek; musica: Jiri Slitr; montaggio: Miroslav Hajek; interpreti: Ladislav Jakim, Pavla Martinkova, Jan Vostrcil, Vladimir Pucholt, Pavel Sedlacek, Zdenek Kulhanek; origine: Cecoslovacchia; produzione: Filmove Studio Barrandov; durata: 85′
«Pieno di aspettative nei confronti del figlio, lo fa assumere in un supermercato promettendogli un roseo futuro. Il ragazzo, però, è pieno di problemi, insoddisfatto, apatico. Esordio di Forman nel lungometraggio. È un’acuta, amara, realistica analisi delle giovani generazioni e dei loro problemi in una grigia e soffocante realtà socialista sul filo di un linguaggio leggero e decontratto, fatto di simpatia e lucidità, ironia e tenerezza, invenzioni gaie e notazioni amarognole. Il trentenne regista-sceneggiatore (con Jaroslav Papousek) ricorre quasi sempre ai “lunghi fuochi”, cioè piazza la cinepresa lontana dagli attori che così agiscono e sono ripresi il libertà con ammirevoli effetti di verità e autenticità» (Morandini). Premiato al festival di Locarno nel 1964.
ore 21.00
Lasky jedne plavovlasky (Gli amori di una bionda, 1965)
Regia: Milos Forman; soggetto e sceneggiatura: M. Forman, Jaroslav Papousek, Ivan Passer; fotografia: Miroslav Ondricek; musica: Evzen Illin;montaggio: Miroslav Hajek; interpreti: Hana Brejchova, Vladimir Pucholt, Vladimir Mensik, Ivan Kheil, Jiri Hruby, Milada Jezkova; origine: Cecoslovacchia; produzione: Filmove Studio Barrandov; durata: 88′
«Un film leggero, ma frizzante come vinello, è venuto a Venezia dalla Cecoslovacchia. Gli amori di una bionda di un regista, Milos Forman, del quale in Italia non si è ancora visto nulla, ma che ha già mietuto molti allori nei festival internazionali col suo film precedente, L’asso di picche (ne parlammo da Locarno l’anno scorso). Un giovanotto di trentatré anni, sveglio e simpatico, di ambizioni moderate, che davvero sembra avere il cinema nel sangue, tanta è la sciolta naturalezza con cui sa offrirci, guidando la macchina da presa e gli attori, una schietta immagine del mondo. Non che abbia molte cose da dire, questo Forman, ma anche se il suo universo è per ora limitato al paesaggio delle nuove generazioni, egli lo guarda con scrupolo, sforzandosi di penetrarne le diverse componenti psicologiche e di individuare i fattori che concorrono a distinguere i giovani cecoslovacchi non tanto da quelli di altri Paesi quanto dai loro stessi genitori. […] Il raccontino ha dunque la levità d’una farfalla, ma anche la sua varietà di colori e di tremiti. I ritratti dei protagonisti sono incisi con precisione, le sfumature sentimentali sono colte con grazia, il tocco è sempre sincero, le figure escono spontanee da un campionario quotidiano col loro esatto peso: i giovani freschi, spontanei anche nell’impaccio, i vecchi avvizziti nei pregiudizi piccolo-borghesi. Benché il rischio di Forman sia di cadere nel bozzetto e nella macchia, la virtù maggiore del film sta nell’equilibrio fra ironia e tenerezza, nel guardare ai personaggi e al mondo circostante con un risolino che non ha niente di acido. Forman è dalla parte dei giovani, perché son quelli che sia pure umilmente sprigionano la maggiore quantità di energia spirituale, e tuttavia si sforza di comprendere anche i sentimenti degli anziani, per ottenere una visione unitaria della vita e della storia» (Grazzini).
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