Visioni sociali:La Storia/Le storie
26 Novembre 2016 - 27 Novembre 2016
Da ottobre a giugno, otto appuntamenti con otto parole chiave: un “contenitore” di cinema che sappia attraversare i generi, i formati, le provenienze, per offrire una riflessione ad ampio raggio sul mondo che ci circonda, superando ogni tipo di definizione e di etichetta.
Con La Storia/Le storie proponiamo un percorso attraverso alcuni film che negli ultimi vent’anni hanno raccontato l’Italia con un occhio particolare alle vite quotidiane dei singoli: un punto di vista dal basso, per raccontare come la Storia con la S maiuscola influenzi il privato delle persone e al contempo come siano proprio le scelte individuali a dare un senso e spesso una direzione alla vita pubblica. Le donne letterate ai margini della storia, i primi slanci risorgimentali, il Novecento con il suo carico di guerre e di dolore, la Seconda guerra mondiale e il nazifascismo, le rivolte sindacali e la mafia, la sinistra italiana di fronte alla deriva politica del berlusconismo. Tanti tasselli che prendono vita come nelle carte dei cantastorie, perché come cantava De Gregori: «La Storia non si ferma davvero / Davanti a un portone / La Storia entra dentro le nostre stanze / E le brucia / La Storia dà torto o dà ragione / La Storia siamo noi / Siamo noi che scriviamo le lettere / Siamo noi che abbiamo tutto da vincere / O tutto da perdere».
Rassegna a cura di Maria Coletti
sabato 26
ore 17.00 Aprile di Nanni Moretti (1998, 78′)
Film di famiglia e diario intimo, l’ottavo lungometraggio di Moretti comincia il 28 marzo 1994 (vittoria elettorale della destra berlusconiana), termina nell’agosto 1997 quando l’autore decide di tornare al cinema di finzione con il musical su un pasticciere trotzkista, e fa perno sul 18 aprile 1996 quando gli nasce il figlio Pietro, mentre, vinte le elezioni, il centrosinistra dell’Ulivo va al governo. «Sembra semplice, ma non lo è. Sembra un diario minimo, una confessione a bassa voce, una lettera a un amico tenuta dentro a lungo e finalmente spedita, e forse lo è. Aprile, di Nanni Moretti, sfugge alle definizioni, scivola fra le mani. Alcuni si sono irritati, molti vi si sono rispecchiati. Diavolo di un “autarchico”, sempre lì lì per realizzare il “grande” film, e poi ancora a tentare di capire se stesso, l’Italia, il privato che si intreccia con il pubblico, tra rabbie, delusioni, speranze, risate» (Paini).
ore 19.00 L’uomo che verrà di Giorgio Diritti (2010, 117′)
1943/1944. Martina ha 8 anni ed è l’unica figlia di una coppia di poveri contadini. La sua famiglia vive in un paesino alle pendici di Monte Sole e la bambina ha smesso di parlare qualche anno prima quando il suo fratellino è morto dopo pochi giorni di vita. La sua mamma è di nuovo incinta e Martina trascorre le sue giornate aspettando e sognando il suo “nuovo” fratellino. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1944 finalmente nasce il bambino e poche ore dopo le SS iniziano un rastrellamento senza precedenti. È l’inizio di quella che verrà ricordata come la strage di Marzabotto in cui persero la vita 780 civili, in maggioranza donne e bambini. «Recuperando una moralità troppe volte dimenticata, evitando qualsiasi gratuita spettacolarizzazione, Diritti non ci racconta uno dei tanti eccidi dell’ultimo conflitto ma il destino di vittime che la guerra fa cadere sulle persone: evita le trappole della revisione storiografica, dimostra un pudore coraggioso di fronte alla messa in scena della morte e riesce a fare un film che è soprattutto un inno alla vita, aiutato in questo da un cast perfetto dove professionisti (Maya Sansa e Alba Rohrwacher, ottime; Claudio Casadio, sorprendente) e non (la piccola Greta Zuccheri Montanari nel ruolo di Martina; le comparse del luogo) sanno trasmettere un’immagine indimenticabile di verità e di dolore» (Mereghetti).
ore 21.00 Fuoco su di me di Lamberto Lambertini (2005, 100′)
Napoli, 1815. Dopo aver vissuto per tanti anni in Francia, il giovane Eugenio torna a casa per curarsi una grave ferita riportata in battaglia. Sono gli ultimi mesi del Regno di Gioacchino Murat, quando il sogno, forse prematuro, di una Italia unita e indipendente infiammava i cuori del popolo napoletano. «Lo sfondo storico di una Napoli sempre fra comicità e dramma, oleografia e bellezza, serve alla storia di due caratteri, o meglio due possibili modi di essere uomini. Quello del Principe Nicola, alle prese con la stesura di un “Diario Napoletano” e quella del giovane Eugenio, soldato senza vocazione, alla ricerca di sé stesso. Un inatteso sbarco a Procida precipita il giovane nell’amore “assoluto” – romantico – per Graziella, irrealizzabile. Ma non rinuncia, nonostante le accuse di disfattismo del pragmatico cugino Aymon, all’idea di un proprio percorso interiore, rifiutando violenza, guerra, autoaffermazione esclusiva. Eugenio diventa così lo specchio del nonno Nicola. Quanto questi è incapace di agire conseguentemente agli ideali, tanto lui, nel finale “aperto” […], compie la scelta della libertà interiore. Opera drammatica, la cui ricchezza di contenuto si condensa nei temi dell’amore, della libertà, della gentilezza, della famiglia, come vie di una ricerca di sé stessi, allora come ora» (Dal Bello).
domenica 27
ore 17.00 Christine Christina di Stefania Sandrelli (2009, 92′)
Le alterne fortune dell’italiana Cristina da Pizzano – conosciuta anche come Christine de Pisan – che, dopo aver vissuto negli agi della corte di Carlo V, dove il padre fungeva da astrologo e medico, si ritrovò vedova e abbandonata a se stessa in un mondo in cui alle donne ben poco era concesso. Grazie, però, all’incontro con il cantastorie Charleton e con il teologo Gerson, Cristina scoprirà il proprio talento e diventerà una celebre poetessa. «Il personaggio di Cristina, lasciato ai margini nelle storie della letteratura, ha questa forza ribelle, col sentimento rivoluzionario che grida i diritti dei deboli e, al tempo stesso, cerca di affermare un proprio spazio in una società dove le donne, specie se povere o decadute, possono solo sposarsi a un ricco signore o chiudersi in convento anche senza “vera” fede per sentirsi protette come farà sua figlia. Comprendiamo sfogliando mentalmente la filmografia di Stefania Sandrelli che cosa l’abbia fatta innamorare di questa figura femminile coraggiosa, eroica e appassionata ma senza la retorica né dell’eroismo né della passione che infatti non appartengono alla misura con cui Sandrelli la rappresenta. Poi ci sono molte ingenuità, a volte la storia è sbilenca, inciampa, la messinscena è semplice, però ognuna di queste cose, limiti compresi, è anche la forza del film. Che è libero, va avanti seguendo le proprie idee, e il proprio piacere» (Piccino).
ore 19.00 Terramatta di Costanza Quatriglio (2012, 75′)
Una sinfonia di paesaggi di oggi e di ieri, filmati d’archivio e musiche elettroniche, terre vicine e lontane. Una lingua inventata, né italiano né dialetto, musicale ed espressiva come quella di un cantastorie. Nato nel 1899, l’analfabeta siciliano Vincenzo Rabito racconta il Novecento attraverso migliaia di fitte pagine dattiloscritte raccolte in quaderni legati con la corda. Dall’estrema povertà al boom economico, è un secolo di guerre e disgrazie, ma anche di riscatto e lavoro. Il punto di vista inedito è quello di un ultimo che, scrivendo la propria autobiografia, rilegge la storia d’Italia in una narrazione appassionata e travolgente che emoziona e commuove, obbligando a fare i conti con verità contraddittorie e scomode. «Rabito attraversa a piedi un secolo, entrando di diritto nelle pieghe dei grandi eventi collettivi con l’inchiostro sgrammaticato della sua macchina da scrivere. Così facendo, sporca la Storia con la S maiuscola e insieme alla Storia, ci racconta la storia di una vita, di un uomo che in vecchiaia definisce la propria identità nell’urgenza del raccontare. […] Nel realizzare Terramatta, ho accettato la sfida di mostrare ciò che non si vede, di filmare il fuori campo, l’invisibile, per rispettare, anzi esaltare, la potenza evocativa del testo. In questo modo ho cercato nell’oggi le tracce di ieri, filmando i luoghi come fossero abitati dal narratore» (Quatriglio).
ore 21.00 Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca (2000, 108′)
Placido Rizzotto, giovane segretario della Camera del Lavoro (33 anni) viene ucciso in un agguato di mafia ordinato dall’emergente boss Luciano Liggio. È il 1948. Tanto tempo fa. Ma il film di Scimeca è capace di ricordarne la vita raccontando una storia che, come è scritto nel prologo, «sarebbe potuta accadere in qualsiasi posto del mondo». Venti quadri di una ballata da cantastorie per ricordare, come dice Rizzotto nel film, che «i nostri nemici non sono i padroni ma noi stessi. Non si nasce schiavi o padroni, lo si diventa». Una lezione di responsabilità individuale troppo facile da dimenticare e che va invece ricordata. «Quello che ho cercato di cogliere con questo film è la frattura che si determina tra le generazioni in certe particolari condizioni della storia. Padri e figli che si parlano e non si capiscono più. Sconvolgimenti sociali (e politici) che scuotono dalle fondamenta ordini secolari costituiti, fin dentro le stesse famiglie» (Scimeca).