Cinema Trevi: Omaggio a Eric Rohmer
28 Febbraio 2010 - 03 Marzo 2010
Lunedì 11 gennaio si spegneva a 89 anni Jean-Marie Maurice Schérer, vero nome di Eric Rohmer, nato a Nancy nell’aprile del 1920, scrittore, critico, professore, ma soprattutto regista. Probabilmente il più anziano dei cineasti della Nouvelle Vague composta da François Truffaut, Claude Chabrol, Jean-Luc Godard e Jacques Rivette. Solo il padre ispiratore André Bazin aveva più anni di Rohmer. Leggendaria risulta la sua riservatezza (poche foto, pochissime interviste), era allergico ai festival anche quando venivano ospitate le sue opere: «Non accompagno mai i miei film in pubblico perché penso non abbiano bisogno di spiegazioni e perché il cinema non è tutto il circo che gli si forma intorno. Per continuare a farlo ho bisogno di vivere la mia vita, entrare nei musei, passeggiare in campagna». Celebre l’aneddoto per cui avrebbe a lungo celato la sua attività alla madre, spacciandosi per insegnante. Nel 1942 si laurea in letteratura e nel 1951 fonda con André Bazin, Jacques Doniol-Valcroze e Joseph-Marie Lo Duca, i «Cahiers du cinema», ovvero le fondamenta ideologiche-critiche della Nouvelle Vague e un anno prima esordisce con un cortometraggio ormai perduto, Diario di uno scellerato. Nove anni dopo realizza il suo primo lungometraggio, l’esordio meno celebre della Nouvelle Vague: Il segno del Leone. In cinquant’anni di carriera, di film ne farà 24.
Rohmer organizzava le sue opere secondo cicli, come i grandi narratori dell’800: i sei racconti morali girati nel decennio tra il 1962 e il 1972; le commedie e i proverbi realizzati negli anni Ottanta. Il suo è stato sempre e coerentemente un cinema parlato sull’amore e sulle infedeltà, dove il paesaggio, preferibilmente di campagna, e i rumori si univano volentieri al sublime e aristocratico chiacchericcio che non avrebbe sfigurato presso la nobiltà francese del Settecento. La qualità più alta di Rohmer, per il collega e amico Bertrand Tavernier, è stata quella di «realizzare film dove il testo, il movimento delle parole assumesse la stessa importanza del flusso delle immagini. Con i Proverbes, i Contes Moraux, ha dato vita non tanto a una serie cinematografica, quanto a un’idea di cinema che lo rende straordinario e rivoluzionario al pari di Godard. Magistrale la leggerezza con cui trasformava schermaglie intellettuali in chiacchiericcio, sulle labbra di giovani, leggiadre interpreti. Un erede, nel cinema, dei grandi moralisti francesi, da Montaigne a La Bruyère, a Voltaire». L’omaggio proseguirà a marzo.
ore 17.00
Il raggio verde (Le Rayon vert, 1986)
Regia: Eric Rohmer; soggetto: E. Rohmer; sceneggiatura: E. Rohmer, con la collaborazione di Marie Rivière; fotografia: Sophie Maintigneux; musica: Jean-Louis Valéro; montaggio: María Luisa García; interpreti: Marie Rivière, Béatrice Romand, Vincent Gauthier, Sylvie Richez, Virginie Gervaise, René Hernandez; origine: Francia; produzione: Les Films du Losange; durata: 98′
«Dotata di una sensibilità superiore alla media, Marie (Rivière), un’impiegata parigina in vacanza, passa da un fallimento sentimentale all’altro, ma l’ultimo giorno incontra un ragazzo simpatico con il quale assiste al fenomeno del “raggio verde”, l’ultimo scintillio del sole quando tramonta sul mare, che dà il titolo a un’opera di Jules Verne» (Mereghetti). «Pur senza darci grandi emozioni, con molta grazia e affettuosa ironia traccia una silhouette, e stende un diario di minimi eventi, che hanno il respiro silenzioso della vita qual è, ma in cui trema la nevrosi e l’anima duole. Il segreto di Rohmer sta nel governare la semplicità della rappresentazione, nel cogliere l’universale dietro la facciata dell’ovvio, nella pittura sfumata di un carattere che trae colore dal gesto e dall’ambiente» (Grazzini).
ore 19.00
Reinette e Mirabelle (1987)
Regia: Eric Rohmer; soggetto e sceneggiatura: E. Rohmer; fotografia: Sophie Maintigneux; scenografia: Joëlle Miquel; musica: Jean-Louis Valéro; montaggio: Marìa Luisa García; interpreti: J. Miquel, Jessica Forde, Philippe Laudenbach, François-Marie Banier, Jean-Claude Brisseau, Yasmine Haury; origine: Francia; produzione: Cer, Les Films du Losange; durata: 98′
«Due ragazze s’incontrano proprio come Bouvard e Pécuchet all’inizio del romanzo di Flaubert (il riferimento è di Rohmer), e mentre diventano amiche commisurano ciò che le differenzia. Mirabelle (Jessica Forde) è cittadina, integrata e assolutamente “normale”; Reinette è campagnola, svitata e sempre disposta a vedere eventi e problemi sotto un profilo bizzarro. La prima ha raggiunto un pacifico compromesso con la realtà che la circonda, la seconda dovrebbe cambiare il mondo. Il film ce le mostra alle prese con la misteriosa liturgia della natura agreste (L’ora bluricorda, oltre a Il raggio verde, anche Il pianeta azzurrodel nostro Piavoli), gli isterismi (Il cameriere del caffè) e le disonestà del prossimo (Il mendicante, la cleptomane e l’imbrogliona, La vendita del quadro). Dietro l’apparente frettolosità, tra il cahier di note e lo sketch, si delineano importanti riflessioni intorno a temi vari della psicopatologia quotidiana, per esempio il rapporto tra la parola e il silenzio. Le protagoniste e gli altri interpreti-personaggi si adeguano con elegante semplicità al dettato dell’autore, il quale fa di tutto per incantarci o alternativamente farci sorridere tenendosi in pectore le sue conclusioni» (Kezich).
martedì 2
ore 17.00
La Femme de l’aviateur (La moglie dell’aviatore, 1981)
Regia: Eric Rohmer; soggetto e sceneggiatura: E. Rohmer; fotografia: Bernard Lutic; montaggio: Cécile Decugis; interpreti: Philippe Marlaud, Marie Rivière, Anne-Laure Meury, Mathieu Carrière, Philippe Caroit, Coralie Clement, origine: Francia; produzione: Les Films du Losange; durata: 106′
«Innamorato di Anne che rilutta, François suppone, sbagliando, che abbia per amante un aviatore. Quando s’accorge dell’errore, forse è tardi per riparare. Girato in 16 mm e 1° della serie Commedie e proverbi. Nel suo calcolato equilibrio tra patetismo e ironia è un film delizioso, di una frivolezza che ha echi profondi nelle regioni del cuore» (Morandini). «E se è vero, come riteniamo, che il cinema di Rohmer è sempre legato alla sfera del narcisismo (se non altro per i narratori dei contes, sintomaticamente prigionieri dell’autosservazione, propensi a elaborare sistemi morali di tipo speculativo, ossessionati dalla voce che vigila e sorveglia dall’esterno), ebbene anche François, che non è protagonista di un conte moral, rientra nella costellazione narcisista e ne assume il sintomo più classico, quello del ritiro dell’interesse libidico dagli oggetti, quel distacco dal mondo esterno che i black-out del sonno ben rappresentano» (Mancini).
Versione originale con sottotitoli in italiano
ore 19.00
Il bel matrimonio (1982)
Regia: Eric Rohmer; soggetto e sceneggiatura: E. Rohmer; fotografia: Bernard Lutic, Romain Winding, Nicolas Brunet; musica: Ronan Girre, Simon des Innocents; montaggio: Cécile Decugis, Lisa Heredia; interpreti: Béatrice Romand, André Dussolier, Arielle Dombasle, Féodor Atkine, Huguette Faget, Thamila Mezbah; origine: Francia; produzione: Les Films du Losange, Les Films du Carrosse; durata: 100′
«Sabina fa la spola fra Parigi, dove ha un pied-à-terre, la casa della mamma e un negozio di antiquariato di Le Mans nel quale è commessa. Liquidato l’ultimo amante, guarda al matrimonio come all’antico traguardo delle nonne: la condizione naturale di quante vogliono sistemarsi con una bella casa, un bell’uomo, bei figli. Ed è sicura di raggiungerlo, fidando nella propria volontà e nelle proprie virtù di seduttrice. Invece fa un buco nell’acqua. Perché l’avvocato parigino su cui ha posto gli occhi, un buon partito ma il primo venutole a tiro, non pensa affatto ad accasarsi, e per quanto Sabina gli faccia la corte se ne tiene alla larga. […] Chicca deliziosa, Il belmatrimonio è tutto un ricamo psicologico, trapunto da Rohmer e dall’attrice adorabile Béatrice Romand d’origine algerina (l’avvocato è André Dussollier) con un senso squisito dei ritmi di recitazione e della tenera ironia. […] Splendido erede dei moralisti e di Marivaux, osservatore divertito delle ragazze di oggi, dotato di qualche punta amarognola e cattiva, Rohmer ci ha dato una opera soltanto in apparenza frivola. Al contrario, un referto sui giochi del Caso, un racconto di filosofia della vita incentrato sul tema della menzogna. Ma brillante e vivace, con dialoghi frizzanti e limpide immagini, da andare a vedere di corsa» (Grazzini).
ore 21.15
Perceval (1978)
Regia: Eric Rohmer; soggetto: Perceval ou le roman du Graal di Chrétien de Troyes; sceneggiatura: E. Rohmer; fotografia: Nestor Almendros; scenografia: Jean-Pierre Kohut-Svelko; costumi: Jacques Schmidt; musica: Guy Robert; montaggio: Cécile Decugis; interpreti: Fabrice Luchini, André Dussolier, Pacale de Boysson, Clémentine Amouroux, Jacques Le Carpentier, Antoine Baud; origine: Francia; produzione: Les Films du Losange, FR3, ARD, SSR, Rai, Gaumont; durata: 140′
«I personaggi di Chrétien de Troyes sono i protoeroi del romanzo moderno. Credo che dopo quest’opera del XII secolo non sia stato più inventato nulla che abbia profondamente sconvolto il genere letterario. Prendiamo un romanzo di Stendhal o di Dashiell Hammett: gli eroi e il modo di raccontare non sono cambiati affatto. Come Perceval questi eroi seguono un tortuoso itinerario morale, sono tormentati, dubbiosi, scossi nella loro fede che mettono in discussione per poi riconquistarla dopo profondi conflitti interiori, contrariamente agli eroi dell’antichità che – presa una posizione morale – la mantenevano fino in fondo, a qualsiasi costo. Perceval è la dimostrazione che l’eroe moderno si modella su quello del passato» (Rohmer). «Intensamente convinto della bellezza e della musicalità dei versi di Chrétien, Rohmer vuole sollecitare lo spettatore a lasciarsi a catturare – al di là dei significati – dalla loro armonia, dall’incanto sonoro, dal fascino del loro ritmo arcaico» (Giulio Fedeli).
mercoledì 3
ore 17.00
Pauline alla spiaggia (1982)
Regia: Eric Rohmer; soggetto e sceneggiatura: E. Rohmer; fotografia: Nestor Almendros; musica: Jean-Louis Valéro; montaggio: Cécile Decugis; interpreti: Amanda Langlet, Arielle Dombasle, Pascal Greggory, Féodor Atkine, Simon de La Bosse, Rosette; origine: Francia; produzione: Les Films du Losange, Les Films Ariane; durata: 95′
«Pauline alla spiaggiaha la stessa leggerezza intinta di malinconia degli altri film dell’autore, obbliga di nuovo a riferimenti letterari che vanno da Marivaux a Musset e riporta in mezzo a un gruppo di interpreti spiritosi e disinvolti la bionda Arielle Dombasle […]. Marion ha invitato la cuginetta Pauline nella sua villa in Normandia per la fine dell’estate. Sulla spiaggia trovano Pierre, un antico flirt di Marion, e lui presenta alle ragazze l’affascinante antropologo Henry. […] Tra discorsi sull’amore e incontri amorosi, amori grandi che divampano minacciosi e amoretti che si consumano in rapide delusioni, la vacanza settembrina termina prima del tempo. Rohmer imbastisce i dialoghi nella linea della grande tradizione e gioca in economia facendo fugacemente balenare davanti ai nostri occhi ora il panorama del Mont Saint-Michel ora il nudo abbagliante della protagonista. Partendo dal motto di Chrétien de Troyes “chi parla troppo si scava la fossa”, l’autore perviene a certe classiche situazioni da “albergo del libero scambio” degne del più acre Feydeau. È un film giovanile e molto antico, scherzoso e tragico; un altro minicapolavoro di un’arte della scrittura e dell’immagine rimasta a lungo misconosciuta. Un’arte che si pratica solo a Parigi» (Kezich).
ore 18.45
L’amico della mia amica (1987)
Regia: Eric Rohmer; soggetto e sceneggiatura: E. Rohmer; fotografia: Bernard Lutic; scenografia: Sophie Mantigneux; musica: Jean-Louis Valéro; montaggio: María Luisa García; interpreti: Emmanuelle Chaulet, Sophie Renoir, François Gendron, Anne Laure Meury; origine: Francia; produzione: Les Films du Losange; durata: 102′
«Léa e Blanche hanno poco più di vent’anni, l’età che sta sulla soglia tra la prima giovinezza e quella che sarà, per sempre, la vita di ognuno. Dunque, Léa e Blanche stanno scegliendo, o così immaginano. Scelgono e decidono in quel territorio sconosciuto e difficile che è la passione: l’attrazione dei corpi, i fantasmi che danno forma al desiderio e l’angoscia che ne viene. L’una vorrebbe essere maestra all’altra, in questa scelta e in questa decisione. Blanche insegna a Léa nello scoperto simbolismo dell’acqua. Che sia quella di una piscina o quella del mare, la sua amica la teme fino a essere bloccata da un panico così fuori misura da rivelare ben più profonde angosce. Le stesse che, più apertamente, tormentano Blanche. E a lei, a propria volta, è Léa che vorrebbe insegnare ad amare. L’una e l’altra, insieme maestre e allieve, si tengono per mano in un’avventura che nessuna ancora conosce davvero. […] Nel mio film, ha detto a proposito di L’amico della mia amica, cerco l’anima dei personaggi (per questo un apologo sulla passione può essere girato senza che nulla o quasi venga mostrato dei corpi) […]. E […] l’anima che egli cerca in Léa e in Blanche è “un’idea” sulla giovinezza, “un’ipotesi” sulla passione, […] che non si impongono allo spettatore perché siano vere, ma proprio solo in forza della loro suggestione architettonica e poetica (cinematografica). Come negli altri suoi film, anche in L’amico della mia amica Rohmer muove poco la cinepresa, preferendo invece le immagini statiche. Un po’ come se non dovesse essere il cinema a rincorrere la vita e a copiarla per conoscerla, ma fosse proprio la vita a doversi adattare alla “forma” del cinema, a una sua idea e a una sua ipotesi» (Escobar).
ore 21.00
Gli amori di Astrea e Celadon (2007)
Regia: Eric Rohmer; soggetto: L’Astrée di Honoré d’Hurfé; sceneggiatura: E. Rohmer; fotografia: Diane Baratier; scenografia: Pierre-Jean Larroque, Pu-Laï; musica: Jean-Louis Valero; montaggio: Mary Stephen; interpreti: Andy Gillet, Stéphanie Crayencour, Cécile Cassel, Véronique Raymond, Rosette, Jocelyn Quivrin; origine: Francia/Italia/Spagna; produzione: Compagnie Eric Rohmer, Rezo Productions, Bim Distribuzione, Alta Produccion, Eurimages, Cofinova 3, Arte/Cofinova 2, Cinemage, Soficinéma 2, Canal +, Centre National de la Cinématographie; durata: 109′
«Il testo è di un erotismo delicato e sottile e occorreva rappresentarlo con la stessa leggerezza. Mi sono reso conto che potevo mostrare sullo schermo cose che forse sarebbero diventate volgari, o persino licenziose, se fossero state narrate con parole attuali, come per esempio la crescita del desiderio. Ma L’Astrée non è un testo libertino, né perverso. Nei miei precedenti adattamenti di testi letterari, Perceval, La marchesa von… e La nobildonna e il duca, la natura è o molto stilizzata o poco presente. Qui ha un ruolo essenziale e il mio sguardo di cineasta era costantemente sollecitato dalla libertà della natura. […] Se ho avuto voglia di adattare questo testo, è naturalmente perché vi ho trovato numerose tematiche dei miei film precedenti, come per esempio, quella centrale della fedeltà. È un tema quasi costante in La mia notte con Maud come in Raccontod’inverno, in La collezionista come in Le notti della luna piena. L’unico testo teatrale che ho scritto, Il trio in mi bemolle, è costruito su una suspense analoga a quella di L’Astrée: vediamo il protagonista ostinarsi in modo folle, come fa Céladon, nel non pronunciare la parola che farebbe scattare la frase che egli attende dalla sua amata, frase che solo la donna può pronunciare» (Rohmer).