Dalla Sicilia con passione. Il cinema di Giuseppe Tornatore
22 Novembre 2012 - 25 Novembre 2012
Giuseppe Tornatore inizia la sua precoce carriera realizzando documentari e collaborando con la Rai. Già a ventott’anni, nel 1984, partecipa a una grossa produzione cinematografica, Cento giorni a Palermo di Giuseppe Ferrara: dirige la seconda unità e collabora alla sceneggiatura. Due anni dopo esordisce alla regia con Il camorrista, con il quale vince un Nastro d’argento e un Globo d’oro della stampa estera come miglior regista esordiente. La consacrazione internazionale arriva nel 1988 con il clamoroso successo di Nuovo Cinema Paradiso, che rilancia il cinema italiano. Un film che va dritto al cuore dello spettatore e regala sequenze indimenticabili in virtù di una passione cinefila che si trasforma, nelle mani del regista, in materia viva, motore di vicende umane universali. Emerge la capacità di Tornatore di partire dalle sue radici storiche e culturali, da un tessuto personale e nel contempo condiviso, senza mai ancorarsi ad esse, riuscendo invece a trascenderle in una creazione artistica, in cui generi, stilemi, miti cinematografici sono sempre funzionali alla narrazione. Tornatore racconta Storie con l’afflato del grande narratore che riesce a tramutare il suo paese nel centro dell’universo. Il tema delle origini, di un passato nel quale rispecchiarsi per comprendere dove siamo andati (o finiti…), torna frequentemente nella sua filmografia, da Stanno tutti bene e L’uomo delle stelle, da Malèna a Baarìa, i film in cui più forte si avverte la presenza di un universo magico al quale far riferimento. Ma Tornatore sa e vuole stupire, sfidando lo spettatore con film che spezzano le sue stesse convenzioni: è il caso di Una pura formalità, film unico nel panorama del cinema italiano, de La sconosciuta, o del suo prossimo film, La migliore offerta, in cui si preannunciano echi mitteleuropei e l’incursione in nuovi territori narrativi. Il decimo film della carriera, un punto d’arrivo e di (ri)partenza…
giovedì 22
ore 17.00
Il camorrista (1986)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto: tratto liberamente dal romanzo omonimo di Giuseppe Marrazzo; sceneggiatura: Massimo De Rita, G. Tornatore; fotografia: Blasco Giurato; scenografia: Osvaldo Desideri; costumi: Luciana Marinucci; musica: Nicola Piovani; montaggio: Mario Morra; interpreti: Ben Gazzara, Laura Del Sol, Leo Gullotta, Marzio Honorato, Luciano Bartoli, Nicola Di Pinto; origine: Italia; produzione: Titanus, Arlac Film, Reteitalia; durata: 170′
«Sarebbe ardito annoverare Il camorrista tra i film d’autore, visto che è una saga di stereotipi, a cominciare dall’avvertenza iniziale che lo definisce un tentativo di affresco “contro la violenza e la sopraffazione”. Ciononostante, l’esordio nel lungometraggio di Giuseppe Tornatore (che si fece le ossa con Cento giorni a Palermo di Giuseppe Ferrara) non è trascurabile. Il ritratto del professore, nell’ordine psicologico e comportamentale, il suo ambiguo rapporto con la sorella, le trame che possono avere legato camorristi, servizi segreti, parlamentari, certi sinistri compromessi fra la malavita e le forze dell’ordine, tutto il sistema di favori e minacce che devasta il nostro tessuto sociale sono rappresentati con un piglio didascalico efficacemente popolare. Avendo per modello Il Padrino, ma provandosi a coniugare il cinema sociale alla Francesco Rosi e alla Damiani col melodramma, il giallo d’azione, l’avventuroso e il carcerario, Tornatore rivela già alla prima prova di saper confezionare uno spettacolo che magari come italiani ci lascia ancor più depressi ma ci coinvolge in quella spirale di barbarie. Alla quale conviene, proprio per il suo manierismo, persino l’interpretazione di Ben Gazzara, istrione d’alta scuola con al fianco una Laura Del Sol di doverosa durezza e caratteristi eccellenti fra cui primeggia Nicola Di Pinto nei panni del braccio destro del professore» (Grazzini).
ore 20.30
Nuovo Cinema Paradiso (1988)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto e sceneggiatura: G. Tornatore, con la collaborazione di Vanna Paoli; fotografia: Blasco Giurato; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Beatrice Bordone; musica: Ennio Morricone; montaggio: Mario Morra; interpreti: Salvatore Cascio, Philippe Noiret, Marco Leonardi, Jacques Perrin, Antonella Attili, Agnese Nano; origine: Italia/Francia; produzione: Cristaldifilm, Rai, Les Films Ariane, TF1 Productions; durata: 157′
«Due anni dopo la fine della II Guerra Mondiale a Ciancaldo, un paese siciliano, il cinema è l’unico divertimento. Davanti a una platea chiassosa, ma anche emotiva, il “parroco-gestore” fa passare sullo schermo celebri film americani e italiani, dopo adeguati tagli di cui si occupa l’anziano Alfredo, il proiezionista, che inizia ai misteri della macchina da proiezione Salvatore, un ragazzino di dieci anni figlio di un disperso in Russia e fanatico frequentatore del cinema. Quando la cabina si incendia perché Alfredo ha voluto proiettare anche in piazza un film comico, Salvatore, dopo aver salvato Alfredo, che per le ustioni al volto rimarrà cieco, prende il suo posto nel rinnovato Cinema Paradiso. Ormai adolescente si innamora di Elena, una ragazza benestante. Chiamato alle armi dopo aver chiesto invano un appuntamento a Elena per salutarla prima di partire, non riceverà nemmeno risposta alle numerose lettere che le invia, regolarmente respinte in caserma. Dopo il servizio militare Salvatore non torna più a Ciancaldo poiché Alfredo gli ha detto che il suo avvenire è altrove e dal paese molti sono emigrati in Germania per lavorare. Passano trent’anni»… «Le pagine migliori, anche se spesso le vicende private del protagonista hanno una certa intensità, sono quasi tutte quelle che ci rappresentano, attraverso quarant’anni, i comportamenti degli spettatori al cinema: seguendo le mode, i grandi attori di Hollywood e i vari “generi” italiani, qua e là con accenti ripetitivi, di solito però con una grande vivacità e un colore che, pur con toni di commedia spinti non di rado fino alla farsa, arrivano davvero a proporci uno spaccato di vita nelle sale di provincia italiane prima dell’arrivo della tv: con personaggi godibili anche quando si sfiora la macchietta, con giochi, scherzi e motteggi sempre sorretti, comunque, da sentimenti caldi e sinceri, ed anche, per ragioni, insisto, probabilmente autobiografiche, con uno spirito di osservazione della realtà molto attento e vivace, perfino quando si prediligono soltanto le burle» (Rondi). Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes e Oscar per il miglior film.
venerdì 23
ore 17.00
Stanno tutti bene (1990)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto e sceneggiatura: G. Tornatore, con la collaborazione di Tonino Guerra, Massimo De Rita; fotografia: Blasco Giurato; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Beatrice Bordone; musica: Ennio Morricone; montaggio: Mario Morra; interpreti: Marcello Mastroianni, Michèle Morgan, Marino Cenna, Roberto Nobile, Valeria Cavalli, Norma Martelli; origine: Italia/Francia/Gran Bretagna; produzione: Erre Produzioni, Silvio Berlusconi Communications, Les Films Ariane, TF1 Film Productions, Sovereign Pictures; durata: 126′
Un pensionato parte dalla Sicilia per andare a trovare i suoi cinque figli, che abitano in diverse città del Continente. Viaggio in Italia, in un Paese sconosciuto, aggressivo e doloroso, dove nessuno può ricomporre i frammenti di un passato ormai spezzato. Ritratto interiore di un uomo costretto a guardarsi, per la prima volta, attorno. Non con disincanto, ma con la passione, e l’amore, di un uomo ferito.«Un viaggio non solo in famiglia, ma anche nell’Italia di oggi. Non vista con l’occhio del sociologo e neanche dello studioso di costume, ma con la sensibilità di un autore cui basta un piccolo dettaglio – un ingorgo nel traffico, una gita di pensionati, il restauro di un monumento, un’aggressione in un sottopassaggio – per fare il punto ora partecipe ora ironico su certe cronache minime dei nostri giorni. Un punto “dal vivo”, che i modi di rappresentazione, però, sia negli sfondi sia quando si stringono attorno al personaggio principale, preferiscono trasformare spesso in visionario: proponendo momenti in cui il presente e il passato, i colloqui con i figli grandi e i figli ancora piccoli, certi incubi nel sonno e certe improvvise svolte nel ricordo acquistano dimensioni quasi oniriche di molta grazia figurativa, mentre, nella realtà, una densa malinconia si diffonde a poco a poco su tutte le atmosfere che avvolgono la storia» (Rondi).
ore 19.15
La domenica specialmente (1991)
origine: Italia/Francia/Belgio; produzione: Basic Cinematografica, Titanus Distribuzione, Rai, Paradis Film, Intermédias, Dusk Motion Pictures; durata: 111′
1° episodio: Il cane blu; regia: Giuseppe Tornatore; soggetto: da Il polverone di Tonino Guerra; sceneggiatura: T. Guerra; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Ennio e Andrea Morricone; montaggio: Mario Morra; interpreti: Philippe Noiret, Nicola Di Pinto.
2° episodio: La neve sul fuoco; regia: Marco Tullio Giordana; soggetto: da Il polverone di Tonino Guerra; sceneggiatura: T. Guerra; fotografia: Franco Lecca; musica: Ennio Morricone; montaggio: Sergio Nuti; interpreti: Maria Maddalena Fellini, Ivano Marescotti.
3° episodio: La domenica specialmente; regia: Giuseppe Bertolucci; soggetto: da Il polverone di Tonino Guerra; sceneggiatura: T. Guerra; fotografia: Fabio Cianchetti; musica: E. Morricone; montaggio: Fiorella Gionnelli; interpreti: Ornella Muti, Bruno Ganz.
4° episodio: Le chiese di legno; regia: Francesco Barilli; soggetto: da Il polverone di Tonino Guerra; sceneggiatura: T. Guerra; fotografia: Gianni Marras; musica: Ennio Morricone; montaggio: Cecilia Zanuso; interpreti: il mago Bustric [Sergio Bini], Betty Romani.
«Quel ruolo di gran provocatore, suggeritore, autocontestatore del cinema romano che fu svolto entusiasticamente per decenni dall’emiliano Cesare Zavattini, oggi è stato assunto dal romagnolo Tonino Guerra. È strano che non si sottolinei abbastanza l’affinità fra questi due maestri: scrittori innanzitutto, ma anche pittori, sceneggiatori, politici o ruspanti fabulatori instancabili. Due profeti contadini che celebrano, sull’arco di oltre mezzo secolo e a non troppi chilometri di distanza, il trionfo di Strapaese (l’uno con Suzzara, l’altro con Sant’Arcangelo). […] Da Il polverone (magnifico libretto edito da Bompiani, che non si trova più: a quando l’opera omnia di Tonino Guerra?) il film ruba, traducendolo, il titolo di una breve poesia dialettale, “La dmenga specialment”. […] I capitoli derivano da scritti sparsi e l’ultimo da un’altra poesia, affidati a registi in grado di fare ciascuno il proprio dovere senza rinunciare a se stessi» (Kezich).
ore 21.15
Una pura formalità (1994)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto e sceneggiatura: G, Tornatore; fotografia: Blasco Giurato; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Beatrice Bordone; musica: Ennio Morricone; montaggio: G. Tornatore, Massimo Quaglia; interpreti: Gérard Depardieu, Roman Polanski, Sergio Rubini, Nicola Di Pinto, Paolo Lombardi, Tano Cimarosa; origine: Italia/Francia; produzione: Cecchi Gori Group, Tiger Cinematografica, Film Par Film; durata: 111′
«Se si rinuncia alla smania dell’interpretazione c’è da dire che Una pura formalità inchioda alla poltrona durante l’intera sua durata per la sagacia energica della costruzione drammatica, l’alta tenuta figurativa che ha trovato un supporto nella funzionale fotografia di Blasco Giurato, l’ammirevole concertazione degli attori. Dopo averlo visto si comprende perché Tornatore abbia voluto Roman Polanski (doppiato da Leo Gullolta nell’edizione italiana) per la parte dell’innominato commissario: in questo allucinato dramma notturno di onirismo nordico, tutto giocato sulla corda pazza dell’assurdo, Polanski era l’antagonista ideale di un Depardieu (con la voce di Corrado Pani) la cui straripante fisicità attoriale raramente era stata messa in immagini e guidata con altrettanta violenza di segno espressionista» (Morandini).«Caricato come una molla, di forte tensione drammaturgica, abilmente sospeso tra realtà e visione onirica, il film di Tornatore denota chiaramente una lunga e sofferta maturazione fatta di lavoro a tavolino in fase di sceneggiatura e poi di un’attenta regia con la macchina da presa mobile e nervosa, si da supplire all’angustia della scena, e poi ancora di un lavoro di fino sugli attori, richiamati al massimo della concentrazione e dell’impegno. Insomma, un film che rivela l’abilità, il mestiere, la passione di una vecchia razza di metteurs en scène che sembrava scomparsa» (Natta).
sabato 24
ore 17.00
L’uomo delle stelle (1995)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto: G. Tornatore; sceneggiatura: Fabio Rinaudo, G. Tornatore; fotografia: Dante Spinotti; scenografia: Francesco Bronzi; costumi: Beatrice Bordone; musica: Ennio Morricone; montaggio: Massimo Quaglia; interpreti: Sergio Castellitto, Tiziana Lodato, Clelia Rondinella, Jane Alexander, Tony Sperandeo, Leo Gullotta; origine: Italia; produzione: Cecchi Gori Group – Tiger Cinematografica, Rai; durata: 114′
Joe Morelli, uomo dal passato avventuroso, è uno scopritore di nuovi talenti per il cinema e promette, a quelli che supereranno un accurato provino, una brillante carriera d’attore a Cinecittà. Davanti alla macchina da presa di Joe gli aspiranti attori provano a recitare, ma soprattutto si confessano. Raccontano storie comiche e tragiche, peccati, soprusi, drammi mai rivelati a nessuno. Raccontano la Sicilia, la sua solitudine, il suo bisogno di riscatto, di dignità, di benessere. E, nel caleidoscopio di casi umani, emerge quello di Beata, una trovatella diciottenne che potrebbe cambiare la vita di Joe se l’avventura dell'”uomo delle stelle” non prendesse a un certo punto una piega imprevista. Joe si renderà conto che anche lui, come i siciliani, è solo, incompreso, vinto, capace soltanto di sognare. «L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore è un film cupo seppur con note da commedia all’italiana. Joe Morelli, il personaggio che interpreto, è “figlio” di Alberto Sordi, di Gassman o di Manfredi ma andava rielaborato per essere inserito in questa cornice drammatica. All’inizio Tornatore era preoccupato per il tipo di interpretazione che volevo dare al personaggio ma poi mi ha lasciato completamente libero. Ho un ricordo bellissimo del film anche perché è stato un viaggio dentro la Sicilia, una Sicilia che io non conoscevo. […] Ero abituato a una Sicilia marina. Non a una Sicilia delle montagne, di certi entroterra terribili e scuri, ma anche vivi, raccontati in modo particolare grazie anche alla luce di quel genio che è Dante Spinotti» (Castellitto).
ore 19.00
La leggenda del pianista sull’oceano (1998)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto: dal monologo Novecento di Alessandro Baricco; sceneggiatura: G. Tornatore; fotografia: Lajos Koltai; scenografia: Francesco Frigeri; costumi: Maurizio Millenotti; musica: Ennio Morricone; montaggio: Massimo Quaglia; interpreti: Tim Roth, Pruitt Taylor Vince, Bill Nunn, Clarence Williams III, Mélanie Thierry, Gabriele Lavia; origine: Italia; produzione: Medusa Film, Sciarlò; durata: 169′
«Un neonato viene trovato in un cesto nascosto a bordo del transatlantico Virginian che fa il percorso tra l’Europa e l’America. Lo prende con sé un operaio fuochista e gli dà il nome di Novecento, in omaggio al ventesimo secolo che sta cominciando. Novecento rimane sulla nave e, dopo la morte del padre adottivo, tutto l’equipaggio lo aiuta a crescere. Il ragazzino osserva il variopinto mondo dei passeggeri: i ricchi signori in prima classe, gli emigranti che sognano una nuova vita in America, le ragazze, le merci, la confusione. Da adulto, Novecento si accorge che suonare il piano è il suo grande interesse. Cosi comincia, allieta le serata in sala da ballo con l’orchestra, e la fama della sua bravura si diffonde anche a terra. Un giorno, raggiunto da queste notizie, Jelly Roll Morton, il più grande pianista jazz, sale a bordo per lanciargli una sfida pianistica. Novecento accetta e, dopo una fase iniziale di incertezza, si riprende e vince. Qualche tempo dopo, Novecento annuncia all’amico Max che ha deciso di scendere a terra» (www.cinematografo.it). «Film epico dalle molte bellezze (la sala-macchine; il pianoforte che pattina nella tempesta; la sfida musicale con Jelly Roll Morton…), così ricco a livello metaforico da prestarsi a più chiavi di lettura, non si sottrae all’accusa di ridondanza ripetitiva, specialmente nell’ultima mezz’ora. Ideale erede di Sergio Leone, Tornatore, il più americano dei registi italiani, è un raccontatore di emozioni dal passo di fondista» (Morandini).
domenica 25
ore 17.00
Malèna (2000)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto: Luciano Vincenzoni; sceneggiatura: G. Tornatore; fotografia: Lajos Koltai; scenografia: Francesco Frigeri; costumi: Maurizio Millenotti; musica: Ennio Morricone; montaggio: Massimo Quaglia; interpreti: Monica Bellucci, Giuseppe Sulfaro, Luciano Federico, Matilde Piana, Pietro Notarianni, Gaetano Aronica; origine: Italia; produzione: Medusa, Tele +; durata: 108′
La passione di un ragazzino per la donna più bella del paese, Malèna, negli anni della seconda guerra mondiale. «La storia, che nasce da un racconto-ricordo di Luciano Vincenzoni, lo sceneggiatore di Leone e di Germi, è bella. E Malèna, il film che ha ispirato a Giuseppe Tornatore, è sontuoso: sontuoso per la trionfale bellezza mediterranea di Monica Bellucci, sontuoso per l’ambientazione in una ideale città siciliana che, come un Lego barocco, è composta per tre quarti di Siracusa e per un quarto di Noto, sontuosa per i mezzi che Medusa e Miramax congiunte hanno dato al regista e gli consentono di avvolgere i suoi personaggi con la cinepresa superbamente condotta da Lajos Koltai, di inseguirli con dolly e carrellate tra i panni stesi ad asciugare e le spiagge dorate, di giocare con le immagini e i colori di un’apparentemente eterna estate siciliana. Ma è proprio dal contrasto tra l’anima intimista della storia e la sontuosità della realizzazione che derivano i limiti del film. Tornatore, che non ha mai girato così sapientemente, neanche nei virtuosismi di La leggenda del pianista sull’oceano, spettacolarizza al massimo la fragile storia dell’innamoramento di Renato Amoroso per la bella e solitaria Malèna Scordia. Dalle passeggiate solitarie della magnifica signora lungo il corso di Castelcutò sotto gli occhi concupiscenti dei maschi, i pettegolezzi invidiosi delle donne e l’aperto desiderio dei ragazzini, alle esplosioni dell’appena scoperta sessualità del dodicenne Renato, che, pensando a Malèna, prima ha una comica erezione, poi si dà ai piaceri della masturbazione nella maniera più rumorosa possibile, dalle reazioni urlate del clan familiare alla descrizione della città, tutto nel film è rumoroso, sovreccitato, caricaturale, manieristicamente e volontaristicamente siciliano» (Bignardi).
ore 19.00
Incontro con Giuseppe Tornatore
a seguire
La sconosciuta(2006)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto e sceneggiatura: G. Tornatore, con la collaborazione di Massimo De Rita; fotografia: Fabio Zamarion; montaggio: Massimo Quaglia; musiche: Ennio Morricone; costumi: Nicoletta Ercole; scenografia: Tonino Zera; suono: Gilberto Martinelli; interpreti: Ksenia Rappoport, Michele Placido, Claudia Gerini, Piera Degli Esposti, Alessandro Haber, Pierfrancesco Favino; origine: Italia; produzione: Medusa Film, Manigolda Film, Sky; durata: 120′
Una metropoli italiana, oggi. Irena è una donna arrivata da qualche anno dall’Ucraina. Alle sue spalle ha un viaggio lungo e terribile e poi, in Italia, l’incontro con uomini senza scrupoli che si sono approfittati di lei, della sua ingenuità, della sua giovinezza. Malgrado sia passato tanto tempo, Irena non riesce ancora a dimenticare le tante umiliazioni e violenze subite. Ha un solo ricordo dolce, quello di un amore intenso che però ha perduto. Benché non sia più giovanissima, Irena è ancora una donna affascinante e, nonostante si nasconda dietro un’apparenza dimessa, nei suoi occhi brilla il fuoco della ribellione. Dopo lunghe e ragionate manovre, un giorno convince il portinaio del palazzo in cui vive ad aiutarla e a farla assumere come donna delle pulizie per il casermone di fronte. Irena si impegna senza risparmiarsi e lustra ogni angolo delle scale e dell’androne. Ma in realtà il suo obiettivo è un altro. Tiene d’occhio una famiglia di orafi che abita lì, gli Adacher. Donato e sua moglie Valeria si stanno separando e la loro unica figlia, Tea, sembra soffrirne particolarmente. Irena diventa amica di Gina, la loro anziana domestica e, pian piano, riesce ad entrare in quella casa. Gli Adacher la assumono come donna delle pulizie e Irena inizia a farsi strada nel cuore della piccola Tea. Un giorno, però, all’improvviso, ecco comparire un’ombra del passato di Irena, il suo antico aguzzino “Muffa”, che porta con sé una scia di nuovi orrori e violenze. «La sconosciuta, innescato da un moto d’umanistica pietà per le violenze e le umiliazioni che toccano a tante ragazze emigrate in Italia dai paesi dell’Est postcomunista, si concentra e si sviluppa appieno sul registro di un giallo dell’anima, un noir al femminile, una prolungata e tormentosa partita a scacchi con il passato che alza la posta dei facili pamphlet contro i recessi della cronaca più oscuri e ripugnanti. A sei anni da Malena, il regista più dotato e generoso della sua generazione sceglie le tonalità struggenti di un incubo che si materializza progressivamente negli occhi, nei gesti, nelle azioni della protagonista e del coro di esseri ambigui e sinistri evocati da una trance sul filo del rasoio di Hitchcock e di Polanski. […] La sinuosa onnipotenza di regia, insomma, non specula – come nei thriller seriali – sul pathos della povera perseguitata, bensì lo spende sul piano della lotta disperata per un potere alternativo a quello degli orridi fantasmi che le sono ormai alle spalle» (Caprara).
Ingresso gratuito
ore 21.30
Baarìa (2009)
Regia: Giuseppe Tornatore; soggetto e sceneggiatura: G. Tornatore; fotografia: Enrico Lucidi; scenografia: Maurizio Sabatini; costumi: Antonella Balsamo, Luigi Bonanno; musica: Ennio Morricone; montaggio: Massimo Quaglia; interpreti: Francesco Scianna, Margaret Madè, Nicole Grimaudo, Angela Molina, Lina Sastri, Gaetano Aronica; origine: Italia/Francia; produzione: Medusa Film, Quinta Communications; durata: 150′
«Le vicende di una famiglia siciliana, raccontate attraverso tre generazioni – dal capostipite Ciccio, al figlio Peppino, al nipote Pietro – e 50 anni di Storia italiana. Nella provincia di Palermo, durante il Ventennio fascista, Cicco, un modesto pecoraio, coltiva la passione per i libri e i poemi cavallereschi. Nel dopoguerra, mentre il paese versa nella fame e nella miseria, suo figlio Peppino scopre che il mondo è pieno di ingiustizie e, diventato un fervente comunista, si impegna a tempo pieno nella politica. Per questo, quando incontra Sarina e si innamora di lei, la loro unione viene osteggiata da tutti. Ma a volte la volontà e l’amore riescono a superare ogni ostacolo…» (www.cinematografo.it). «Non crediate ad un film di stampo neorealista. Baaria è visionario, sfarzoso, esagerato, pomposo. Ti travolge con un’inventiva che qua e là sfocia nel bozzetto, e regala nel finale una dimensione onirica ben poco originale. Ma strada facendo, ha momenti memorabili. Sul registro epico – la sequenza dell’occupazione dei braccianti – e soprattutto su quello intimo, familiare. Il gioco della memoria, la rievocazione del passato spingono Tornatore sul terreno del mito. […] Se Tornatore avesse girato il film 20-30 anni fa, ci avrebbe messo Franco e Ciccio, con lo stesso risultato: vittoria piena» (Crespi).