Cinema Trevi: Un Professore nel cinema: Luigi Chiarini
02 Maggio 2010 - 02 Maggio 2010
In un prezioso quanto memorabile volumetto Luigi Chiarini 1900 – 1975. «Il film è un’arte, il cinema è un’industria» (CSC, 2001), il curatore Orio Caldiron scriveva: «Quello di ricordare Luigi Chiarini – un nome che forse dice poco o nulla ai giovani cinefili di oggi, ma che ha detto moltissimo alla mia generazione, oltre che a quella che mi ha preceduto e ad un paio di generazioni dopo la mia – non è solo un diritto e un dovere per il Centro Sperimentale di Cinematografia […], un’istituzione che a metà degli anni ’30 egli contribuì a promuovere – erede matura della blasettiana Scuola Nazionale di Cinematografia dei primi anni ’30 -, che nel 1935 inaugurò e che, da allora sino all’avviato dopoguerra, quando da destra lo cacciarono dal suo posto di comando a Via Tuscolana 1524, egli resse con grande sapienza didattica, con illuminata apertura culturale (si pensi al rapporto diarchico che la C.S.C. si stabilì fra lui e quell’Umberto Barbaro, che tutti sapevano comunista) e con il colto amore al cinema che ebbe per oltre quaranta anni». E, come scriveva giustamente l’amico Francesco Savio, «Chiarini è stato un grande “operatore culturale”. Ha fondato il Centro Sperimentale e i periodici “Bianco e Nero” e “Rivista del Cinema Italiano”; ha curato, per Laterza e Bulzoni, due collane di studi sullo spettacolo; ha diretto sei edizioni della Mostra di Venezia; ha insegnato – primo in Italia – Storia e critica del cinema nelle Università (a Pisa e poi a Urbino, presso l’Istituto dello spettacolo di sua creazione); ha scritto libri di teoria e d’intervento, curato la critica cinematografica su “Il Contemporaneo” e dato il suo contributo all'”Enciclopedia dello Spettacolo”; ha diretto cinque film – tre dei quali assai validi – e collaborato a varie sceneggiature. In quest’attività infaticabile lo sorresse il suo gusto per il cinema d’arte e lo spronò una tenace allergia al cinema mercantile e filisteo». Memorabile risulta poi la sua esperienza da direttore alla Mostra del Cinema di Venezia, raccontata da un testimone d’eccezione come Tullio Kezich che lavorò al suo fianco per tre lunghi e intensi anni: «Mercuriale e imprevedibile nella gestione della quotidianità, il Professore fu sempre fermissimo sulle linee generali della sua direzione. Per la Mostra di Venezia, che gli fu affidata in un momento di piena decadenza dell’istituzione anche dal punto di vista dei finanziamenti, Chiarini ideò una cura drastica. Fin dall’inizio il suo proposito fu quello di allineare la manifestazione cinematografica alla Biennale d’arte; e quindi di ignorare, riferendosi alla sua distinzione teorica fra cinema e film, tutto ciò che riguardava il primo termine (affari, mondanità, opportunità di lancio, equilibri diplomatici) e puntando esclusivamente sul secondo. Intendeva fare del Palazzo del cinema un’appendice della mostra d’arti figurative, il padiglione internazionale della produzione d’autore. La scelta radicale gli procurò l’odio delle “contesse”, allora imperanti al Lido, per l’improvviso calo del livello mondano. Lo odiarono osti e albergatori ritenendo che la sua linea avrebbe prodotto una fuga della clientela, tanto che a un certo punto riempirono i muri del Lido di manifesti verdi con la scritta “Via Chiarini!”. […] Oggi mi rendo conto che Chiarini poteva fare a meno dei divi perché il grande richiamo massmediologico della Mostra era lui: nei mesi a ridosso dell’inaugurazione, per un motivo o per l’altro, finiva sempre sui giornali e non di rado in prima pagina. […] In definitiva ci si può chiedere che cosa dirà la storia del nostro eroe? Dirà che da intellettuale spregiudicato, non di rado ispido e discutibile, lascia un’imbarazzante lezione di indipendenza assoluta. Qualcuno continuerà a ripetere, per spiegare tutto, che Chiarini aveva un brutto carattere. Ma a quest’accusa il Professore ha già risposto in vita con una frase famosa: “In Italia quando dicono che hai un brutto carattere, vuol solo dire che hai un carattere».
ore 17.30
Via delle Cinque Lune (1942)
Regia: Luigi Chiarini; soggetto: liberamente tratto dal racconto O Giovannino o la morte di Matilde Serao; sceneggiatura: L. Chiarini, Umberto Barbaro, Francesco Pasinetti, [Piero Pierotti non accreditato]; fotografia: Carlo Montuori; scenografia: Guido Fiorini; costumi: Gino C. Sensani; musica: Achille Longo; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Luisella Beghi, Olga Solbelli, Andrea Checci, Gildo Bocci, Teresa Franchini, Maria Jacobini; origine: Italia; produzione: CSC; durata: 80′
Il film d’esordio di Chiarini, tratto da un racconto di Matilde Serao, è ambientato nella Roma ottocentesca, tra vicoli e piazzette vicino Piazza Navona. Sora Teta è una donna forte e cinica che si arricchisce prestando denaro alla povera gente. Osteggia l’amore della figlia per un giovane che poi seduce, facendone il suo amante. «Qui vi è prima di tutto, la preoccupazione di comporre un racconto visivo, di parlare allo spettatore attraverso le immagini, di annodare personaggi e particolarità, episodi e contrasti, […] poi vi è il gusto del nostro realismo più schietto, cantante e ironico, semplice e commosso nel dramma» (Palmieri).
ore 19.00
La bella addormentata (1942)
Regia: Luigi Chiarini; soggetto: liberamente tratto dalla commedia omonima di Pier Maria Rosso di San Secondo; sceneggiatura: L. Chiarini, Umberto Barbaro, Vitaliano Brancati; fotografia: Carlo Montuori; scenografia: Guido Fiorini; costumi: Gino C. Sensani; musica: Achille Longo; montaggio: Maria Rosada; interpreti: Luisa Ferida, Amedeo Nazzari, Osvaldo Valenti, Teresa Franchini, Pina Piovani, Margherita Bossi; origine: Italia; produzione: Cines; durata: 90′
In un paese siciliano una ragazza viene sedotta e poi abbandonata dal notaio presso cui lavora. Per disperazione la giovane è spinta a prostituirsi, ma viene salvata da un giovane, lavoratore nelle zolfare, che costringe il notaio a sposarla. «Chiarini ha l’estro e lo stile per queste “interpretazioni” di paese, le quali si allacciano alla nostra splendida letteratura, dai siciliani a Di Giacomo, a Murolo, a Barbarani. E il film ha un arroventato vigore, una fiorita gentilezza, una sapida comicità di personaggi minori» (Palmieri).
ore 20.45
La locandiera (1944)
Regia: Luigi Chiarini; soggetto: liberamente tratto dalla commedia omonima di Carlo Goldoni; sceneggiatura: L. Chiarini, Umberto Barbaro, Francesco Pasinetti; fotografia: Carlo Nebiolo; scenografia: Guido Fiorini; costumi: Gino C. Sensani; musica: Achille Longo; montaggio: Maria Rosada; interpreti: Luisa Ferida, Armando Falconi, Osvaldo Valenti, Camillo Pilotto, Elsa De Giorgi, Paola Borboni; origine: Italia; produzione: Cines; durata: 71′
Le vicende amorose dell’estroversa e intelligente Mirandolina goldoniana – presa tra amori, corteggiatori, litigi ed equivoci – sono la materia da plasmare cinematograficamente per il teorico e studioso Luigi Chiarini. «Occorre subito dire che Luigi Chiarini ha, con mano felice e lieve, saputo compiere il lavoro senza incorrere, per quanto ha potuto, nel cosiddetto teatro filmato che di solito non è certo immune dai difetti di rendere cattivi servizi al teatro e al cinema. Con molta abilità egli è riuscito a porre pittorescamente in evidenza quel grazioso settecento veneziano e particolarmente goldoniano» (Blandi).