Eccentrico italiano: Nel delirio dei sensi
22 Febbraio 2012 - 22 Febbraio 2012
Ritorna uno degli appuntamenti cinefili che ha contrassegnato le passate stagioni del Cinema Trevi. Una finestra sul cinema eccentrico italiano, possibilmente invisibile e poco visto, fratello più giovane di quello spazio di chicche “cinetecarie” pronte per una seconda vita alla luce del proiettore chiamato (In)visibile italiano. Si ricomincia con tre film che analizzano i sensi in una variante specificamente erotico-lugubre. Non tanto la leggerezza, la lievità, la felicità, la joi du vivre di matrice brassaniana, quanto l’abisso, la follia, la violenza sadiana come l’interpretava Bataille («L’essenza delle sue opere [di De Sade] è la distruzione: non solamente la distruzione degli oggetti, delle vittime messe in scena […] ma anche dell’autore e della sua stessa opera»). Film squilibrati, a tratti irrisolti, ambiziosi ed eccessivi che si arrischiavano non tanto a raccontare delle storie ma a delineare atmosfere oniriche e visionarie, spesso debitrici delle visioni autoriali di un Buñuel o del Pasolini di Salò o le 120 giornate di Sodoma. La stagione dei sensi (1969), diretto da Massimo Franciosa, con sceneggiatori quali Barbara Alberti e Dario Argento (quest’ultimo prossimo all’esordio dietro la macchina da presa), è un manifesto antisessantottino sulla cosiddetta emancipazione femminile, mascherata da una patina pop lounge (l’apertura con coreografia da musical beat sulle morriconiane note di Gloria cantata da Patrick Samson; le scenografie bizzarre degli interni del castello). La tesi di fondo tocca da vicino le concezioni misogine di un Otto Weininger in cui il sesso maschile (impersonato da un ambiguo, quanto affascinante Udo Kier) rappresenta la Bontà, la Verità, l’Oggettività, mentre il sesso femminile una nemesi irritante. Ma se il film di Franciosa è sessista, ma leggero come un ritornello beat, La cerimonia dei sensi (1979), opera d’esordio del pittore Antonio D’Agostino, come scrivono gli studiosi Franco Grattarola e Andrea Napoli, ha invece « ambizioni allegorico-politiche ispirata a un racconto di Pasolini». La messe dorée – Nella profonda luce dei sensi (1975), opera seconda e ultimadello scenografo Beni Montresor, vuole essere, all’interno di una raffinata cornice viscontiana, un ritratto spietato e impietoso di una società che faceva – negli anni Settanta?! – i conti col fallimento della rivoluzione sessuale reichiana e le conseguenti utopie già deludenti ed effimere sul nascere. Tutte le tre opere sono non a caso invisibili, spesso all’epoca manomesse dalla censura cinematografica e in taluni casi televisiva o produttiva. Gli stessi autori sono tre figure “eccentriche” ed anomale: Massimo Franciosa, dopo un apprendistato di sceneggiatore in coppia con Pasquale Festa Campanile, firmerà in pochi anni un pugno di film a metà tra la commedia e il grottesco, per poi tornare a scrivere copioni cinematografici. Antonio D’Agostino ha avuto un passato d’insegnamento all’Accademia di Belle Arti a Venezia e nel campo cinematografico è stato assistente volontario per Teorema di Pier Paolo Pasolini e autore negli anni Settanta di numerosi cortometraggi su celebri artisti d’avanguardia, come informano gli esperti Grattarola e Napoli. Stanco delle manomissioni in chiave hard dei suoi primi due film – il secondo è l’erotico Eva Man (1980) – D’Agostino finirà a essere regista di film a luci rosse con lo pseudonimo di Richard Bennett. Beni Montresor, allievo dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia e studente del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, entra nel mondo come scenografo e costumista negli anni Cinquanta (tra l’altro, per I vampiri di Freda), successivamente intraprende una fortunata carriera internazionale nell’opera lirica, anche come regista. Ma forse la chicca più invisibile è il cortometraggio d’animazione La centrale dei sensi (1962) di uno dei padri dell’animazione italiana: Gibba. In questo corto niente sesso, quanto, piuttosto, un documentario didattico sui vari sensi dell’essere umano. I testi di Alfredo Giordano e Ansano Giannarelli sono piacevolmente in netto contrasto con i disegni liberi e bizzarri di Gibba. La pulsione dei sensi mai è stata così ossimorica.
ore 17.00
La stagione dei sensi (1969)
Regia: Massimo Franciosa; soggetto: Amedeo Pagani, Pier Giuseppe Murgia, Barbara Alberti; sceneggiatura: B. Alberti, Dario Argento, Franco Ferrari, Peter Kintzel; fotografia: Alessandro D’Eva; scenografia: Franco Bottari; musica: Ennio Morricone; montaggio: Sergio Montanari; interpreti: Udo Kier, Laura Belli, Edda Di Benedetto, Eva Thulin, Susanne von Sass, Gaspare Zola; origine: Italia/Austria; produzione: West Film, Rapid Film, A. & P.; durata: 86′
«Sul finire dell’estate, quattro ragazze, Monica, Claudia, Michèle e Marina, e due giovani, Marco e Peter, s’avventurano al largo su di un motoscafo. D’improvviso viene a mancare la benzina; la terraferma è lontana; vicina è la notte: per fortuna c’è, a portata di remi, un’isola, su cui sorge un antico castello, a picco sull’acqua. Il giovane che vi abita, Luca (il quale ha appena strangolato l’amante, gettandone il corpo in un pozzo) non si dimostra molto ospitale con i nuovi venuti: ombroso e scostante, s’apparta da solo, mentre essi si accomodano liberamente nel maniero» (www.cinematografo.it). «Tra falò anticonsumistici, vaneggiamenti assortiti, abbozzi di una guerra tra i sessi (ma le hippie dell’epoca accettavano così passivamente la prevaricazione maschile?) e modeste audacie, un film senza genere (ma anche senza scopo)» (Mereghetti). Sicuramente tra i film più eccentrici che si siano mai visti, con un Udo Kier, più ambiguo e sadico che mai, pronto a impersonare futuri mad doctor e vampiri aristocratici nel dittico horror Warhol/Morrissey: Il mostro è in tavola… Barone Frankestein e Dracula cerca sangue di vergine e… morì di sete!!! (1974).
a seguire
La centrale dei sensi (1962)
Regia: Gibba [Francesco Guido]; soggetto: Alfredo Giordano, Ansano Giannarelli; fotografia: Elio Gagliardo; scenografia: Silvio Severi; musica: Sandro Brugnolini; origine: Italia; produzione: Corona Cinematografica; durata: 9′
Rarissimo documentario didattico-scientifico sui sensi, in cui alla voce dello speaker rigorosa nel suo intento pedagogico (grazie al testo di Alfredo Giordano e Ansano Giannarelli) si contrappongono gli estri e le bizzarie visive dei uno dei padri del cartone animato: Gibba. Ecco che cosa ricorda il nostro degli anni alla Corona, la casa produttrice del corto in questione: «Per oltre cinque anni lavoro con loro dirigendo il reparto di animazione. Lì firmo le animazioni per il medio metraggio misto dal vero 100mila leghe nello spazio… e una decina di cortometraggi di animazione in parte parascientifici in parte d’evasione». Un viaggio melanconico e struggente negli anni Sessanta e sulle promesse avanguardistiche (non mantenute) del cinema d’animazione italiano.
ore 19.00
La cerimonia dei sensi (1979)
Regia: Antonio D’Agostino; soggetto e sceneggiatura: A. D’Agostino; fotografia: Lamberto Caimi; musica: Pier Luigi Pezzera; montaggio: Enzo Monachesi; interpreti: Franco Pugi, Ornella Grassi, Camillo Besenzon, Sergio Fiore Pisapia, Luca Emiliani, Eva Robins; origine: Italia; produzione: Cooper Film; durata: 90′
«Con una prassi forse non completamente corretta dal punto di vista formale, anticipammo alcuni giudizi sul film di Antonio D’Agostino dopo una intervista all’interessato e comunque incoraggiati da sua esplicita richiesta. Non fummo teneri con La cerimonia dei sensi che allora si completava con il pretitolo Out off, esprimendo dubbi sulla possibilità che un distributore volesse accollarsi l’opera-prima del pittore “visionario” (come ci sembra dal film), e tuttavia augurando al neo-regista che la pellicola potesse essere mostrata al pubblico. Si è preso ora l’incarico il Blue Moon, specializzato in prodotti anomali, […]. Del film, realizzato da una cooperativa di amici in quel dì scrivemmo dopo l’intervista ( e dopo aver visto il film): “È la storia di un profeta – storia forse sognata durante uno stato di coma – tornato (o venuto) al mondo per ripercorrere l’itinerario di Cristo con tutte le varianti che scaturiscono dall’attuale gestione politica. Dalla strage di Brescia all’Italicus, dal “suicidio” di Pinelli ai rigurgiti dello squadrismo fascista, non c’è momento di questa travagliata epoca che non vi sia riflesso. Ma ci sono anche “miracoli” che il protagonista opera a suo danno e a beneficio del potere strumentalizzante”. Opera figurativamente rifinita – giudicavamo e giudichiamo – è però intrisa di un didascalismo ingenuo e sfrontato, avanzando anche l’ipotesi che nel personaggio principale si potesse intravvedere qualche somiglianza con Curcio. Ipotesi negata dall’autore che si considera nemico della violenza, e anche della pornografia, non ritenendo tale le numerose scene di orge sessuali del film evocanti motivi pasoliniani (anche questi negati, come le ascendenze bunueliane e felliniane, però marcatissime). Sensibili anche le contaminazioni “pittoriche”, ma più omogenee, data la padronanza specifica dell’autore sulla materia» (Aurora Santuari).
ore 20.45
La Messe dorée – Nella profonda luce dei sensi (1975)
Regia: Beni Montresor; soggetto, sceneggiatura e dialoghi: B. Montresor; fotografia: Jean Monsigny; scenografia: Alberto Boccianti; costumi: B. Montresor; musica: Severino Gazzelloni; montaggio: Jacques Witta; interpreti: Lucia Bosè, Maurice Ronet, Eva Axen, Stefania Casini, Trillie, Yves Morgan Jones; origine: Francia/Italia; produzione: Les Films de la Seine, Eldorado Film, S.C.E.T.R.; durata: 95′
«Pescando un po’ a casaccio negli “inferni” di Rimbaud e di Bataille, di Robbe-Grillet e di Resnais, di Fellini e di Visconti, l’eclettico Montresor ha composto una sorta di malinconica liturgia del sesso, visto come “l’ultima spiaggia” dove l’uomo possa ancora illudersi (ma solo illudersi, appunto) di sopravvivere al primo destino di morte» (Zanelli). «Di fatto, La Messe dorée è uno di quei film come si potevano fare solo allora, e in cui non succede quasi niente, o per lo meno niente che abbia senso compiuto. Lucia Bosé e Maurice Ronet […] organizzano un sontuoso banchetto in una villa decadente. I convitati sono tutti giovani e belli. Dopo un pranzo da Grande abbuffata e danze medioevali, tutti si appartano per attività sessuali a uno, due o tre partecipanti. […] Il film si apriva con una citazione di Santa Teresa (“Ansiosa di perdermi in te, desidero morire”), una ragazza scrive su un piatto “Questo è il mio corpo, mangiatelo tutti”. Una delle poche cose che dice Ronet, in un film quasi senza dialoghi, è “Per noi non c’è nessun Messia”. Senza volere cavare un senso da questo groviglio, è evidente che tira aria di Georges Bataille. Mentre le pose pittoriche degli ospiti seminudi evocano sicuramente le foto di Pierre Zecca per La moneta vivente di Klossowski – una specie di utopia sulla libera circolazione dei corpi, che Montresor sicuramente conosceva. Al di là delle citazioni annusate qua e là, tutto rimane un arabesco onirico dove si sente covare qualcosa di oscuro. Noioso e irritante? A giudizio di chi scrive no. Inafferrabile, si ferma sempre un attimo prima di diventare cialtronesco» (Pezzotta).