Nel pozzo senza fondo del cinema italiano anni Settanta spuntano fuori le incursioni alla regia di uno dei più celebri scenografi e costumisti, Mario Chiari, e di un attore di una certa notorietà all’epoca, Franco Giornelli, accomunati dal tentativo di realizzare un film personale e fuori dai consueti canoni narrativi e produttivi. Due solitudini a confronto: un sacerdote abbandonato dai suoi fedeli e un eremita che si è allontanato dal mondo e vive nel silenzio della natura. Un prete e un matto, due figure emarginate dalla società, costrette improvvisamente a fare i conti con la realtà grazie a un gruppo di hippy votati alla distruzione e a due bambini: i primi con la violenza, i secondi con la dolcezza riusciranno a risvegliare in loro il desiderio e la forza di confrontarsi e scontrarsi con il mondo. Fino al sacrificio, emblema di una compiuta rinascita. Sono sufficienti alcuni titoli per illustrare la monumentale carriera di Mario Chiari: La carrozza d’oro di Renoir, Carosello napoletano di Ettore Giannini, I vitelloni di Fellini, La tempesta di Lattuada, Le notti bianche di Visconti, Guerra e pace di Vidor, Fantasmi a Roma di Pietrangeli Una vita difficile di Risi, La Bibbia di Huston, Ludwig di Visconti. Il matto rappresenta il culmine della carriera di Franco Giornelli, che si era in precedenza fatto notare e apprezzare ne Il desperado di Rossetti, Gente d’onore di Folco Lulli, Una ragazza piuttosto complicata di Damiani, Contratto carnale di Bontempi.
«Il “matto” del titolo è un uomo che vive da eremita in un bosco da quando la sua famiglia è stata distrutta dalla guerra. Ama gli animali e vede i cacciatori come soldati dalle tute mimetiche che sparano a raffica. La leggenda che si è creata intorno a lui lo condanna all’isolamento: “è pericoloso” dice la gente, “succhia il sangue e taglia le teste”. Soltanto due bambini trovano il coraggio di avvicinarglisi, di stabilire con lui un dialogo e per loro lui si sacrificherà, alla fine, una volta rientrato in quel mondo che, giustamente, aveva rifiutato. Film sinceramente ecologico, Il matto si colloca a metà strada tra l’apologo amaro e la requisitoria veemente. La natura, infatti, e la sua bellezza, minacciata dallo strisciante processo di dissoluzione operato dalla società dei consumi, ne sono i temi centrali, mentre la favola dell’individuo che cerca la salvezza nell’isolamento, è il pretesto narrativo che consente di portare alle estreme conseguenze la denuncia» (Pep., «Il Messaggero»).