Home > Totò un comico eterno (parte seconda)
Totò un comico eterno (parte seconda)
22 Ottobre 2017 - 29 Ottobre 2017
Prosegue la retrospettiva a 50 anni dalla morte del celebre attore napoletano. Come scriveva giustamente Alberto Moravia a proposito de Il comandante (1963), un film curioso e spesso ingiustamente trascurato, «abbiamo sentito spesso lamentare che Totò sia stato sprecato in tanti film abborracciati e commerciali; che se avesse trovato il suo regista e il suo film sarebbe stato un grande interprete sul serio e non soltanto un comico bon à tout faire. Ebbene, secondo noi coloro che parlano in questo modo di Totò, sbagliano. Se Totò avesse coltivato delle ambizioni di interprete “serio” avrebbe finito per commettere gli stessi errori d’un Petrolini di cui tempo fa ci avvenne di vedere alcuni film tra i quali una commedia di Molière. Questi errori di presunzione artistica e di velleità interpretativa, Totò li ha evitati perché, al contrario di Petrolini, egli s’è mantenuto fedele alle sue origini di attore comico felice ed estroso nonché alle tradizioni del teatro popolare napoletano. Vorremmo dire di più: Totò è un attore così vitale e così intenso che egli si rivela completamente in pochi fotogrammi come in un film intero. Per questo, poco importa se il film ch’egli interpreta sia un film d’arte oppure un canovaccio commerciale; il suo gioco espressivo, naturale e pieno come un respiro, non aspetta che un pretesto, qualsiasi pretesto, per svilupparsi per conto suo in maniera autonoma, impermeabile e indifferente. Siamo dunque nella commedia dell’arte o nel teatro rustico e arcaico piuttosto che nella recitazione colta e consapevole. Totò è insomma un attore che ha bisogno soprattutto di occasioni; ed è giusto per questo che invece di pochi film di qualità ne abbia fatto cento di tutti i generi». Ed è su questa particolare visione che ci si è basati nella selezione dei film interpretati dal grande comico, consapevoli del fatto che ogni film si inserisce in quel particolare e raffinato mosaico chiamato “il cinema di Totò”.
 
domenica 22
ore 17.00 L’imperatore di Capri di Luigi Comencini (1949, 85′)
«Quando dovetti fare un film su Capri con Totò pensai che se ne poteva fare una satira abbastanza vera per riuscire intelligente, pur rimanendo popolare. Nel film, del mio progetto, è rimasta una sola scena, quella in cui Totò è costretto a buttarsi in mare vestito per recuperare certi soldi, cadutigli in acqua e suggerisce così agli snob annoiati l’idea di fare il bagno vestiti. Era tanto vera questa ipotesi che la rivista “Life” pubblicò i fotogrammi di questa scena come documenti di un episodio reale delle stravaganze capresi, e vuoi per questa pubblicazione, vuoi per il film, l’anno dopo a Capri accadde veramente ad alcuni villeggianti del gran mondo facessero il bagno con i vestiti addosso» (Comencini).
 
ore 18.30 Totò cerca casa di Mario Monicelli e Steno (1949, 90′)
Uno sfollato senza casa si fa assegnare un posto di custode, con annesso alloggio in un appartamento di quattro stanze. Purtroppo il lavoro è quello di guardiano del cimitero e nella casa si aggira un fantasma… «”Il primo incontro di Totò col neorealismo” è la lapidaria definizione con cui Monicelli si è pronunciato sul film. L’impronta prettamente teatrale, di puro surrealismo, trova un nuovo elemento di confronto con la tematica sociale. Gli espliciti e continui attacchi lanciati da Beniamino Lomacchio [Totò] contro il pubblico rappresentante di quella ufficiale uguaglianza e rinascita è l’attacco “più lucido e più sottile alla retorica post-resistenziale dell’Italia ricostruita (e normalizzata)”» (Settuario).
 
ore 20.30 Napoli milionaria di Eduardo De Filippo (1950, 102′)
«È la trasposizione cinematografica dell’omonima versione teatrale che Eduardo presentò in teatro nel 1945. Al film partecipano grossi artisti, Carlo Ninchi nella parte del brigadiere, il regista Mario Soldati interpreta il ragionier Spasiani mentre a Totò viene affidato il ruolo di Pasquale Miele inesistente nella versione teatrale. Famosa la scena in cui Totò si finge morto per impedire che la polizia scopra la farina nascosta sotto il letto; da antologia la scena in cui Totò entrato in una latteria estrae da un pezzo di pane: il tovagliolo, la forchetta, la saliera, la carne, il contorno, gli spaghetti. La partecipazione di Totò al film è a titolo gratuito ma Eduardo per mostrargli la sua riconoscenza gli fa recapitare una collana di Bulgari con un biglietto in cui esprime la sua gratitudine: “Caro Antonio, la sincerità dell’impulso, che ti ha spinto ad essermi vicino nel mio film Napoli milionaria ha reso spontaneo e significativo il gesto stesso. A parte qualunque interesse, questa collaborazione che io ti ho chiesto ci riporterà, seppure per pochi giorni, ai tempi belli e squallidi della nostra giovinezza. Ogni qual volta penso a te, Amico, te l’ho detto a voce e voglio ripetertelo per iscritto, ho l’impressione di non essere più solo nella vita. Questa benefica certezza mi viene senza dubbio dalle infinite dimostrazioni pratiche di affetto che tu, in qualsiasi occasione, mi dai”. Ennio Flaiano su “Il mondo” scriveva: “[…] E si veda l’amico del protagonista, quel tale che vive facendo il morto a pagamento per evitare perquisizioni […]. Quest’invenzione comica è anche la più grande interpretazione di Totò, qui finalmente attore calmo, rassegnato, mai farsesco e prepotente come invece lo vediamo nei sui films”» (www.antoniodecurtis.com ).
 
martedì 24
ore 18.00 47 morto che parla di Carlo Ludovico Bragaglia (1950, 82′)
Il barone Antonio Peletti è avarissimo. Ha nascosto l’eredità ricevuta dal padre, sottraendone la metà al figlio Gastone. Gli abitanti del paese gli fanno credere che è morto ed è finito all’inferno. Grandi elogi della critica per Totò, finalmente in un ruolo all’altezza delle sue doti, non solo comiche. Con Silvana Pampanini, Adriana Benetti e Carlo Croccolo.
 
ore 20.00 Guardie e ladri diMario Monicelli e Steno (1951, 106′)
«Un ladro (più per necessità che per vocazione) truffa un americano ma è da questi riconosciuto durante una distribuzione di pacchi-dono. Inseguito da un grasso carabiniere sfugge alla cattura, ma da quel giorno il tutore della legge non gli dà tregua poiché rischia di essere radiato dall’Arma se entro tre mesi non riuscirà ad arrestarlo» (Chiti-Poppi). «La commedia degli anni ’50 era un’evoluzione della farsa, quella che io e Steno facevamo anche con Totò, che si è gradatamente tramutata in commedia di costume. Con Guardie e ladri già nonera più farsa e cominciava ad essere commedia di costume» (Monicelli).
 
mercoledì 25
ore 17.00 Dov’è la libertà…? di Roberto Rossellini (1954, 91′)
Dopo vent’anni di prigione per aver ucciso un tale che riteneva avesse insediato la sua onestissima moglie, un barbiere (Totò) torna in famiglia. Ma la meschinità e l’ipocrisia dei parenti gli fanno dubitare della riacquistata libertà. «Non è tra i migliori di Rossellini, benché ogni tanto esca fuori la zampa del leone, e nemmeno tra i peggiori di Totò, anzi può dirsi un’introduzione all’altra faccia della luna dell’attore» (Flaiano).
 
ore 19.00 Racconti romani di Gianni Franciolini (1955, 98′)
«Ispirandosi ad alcuni dei Racconti romani di Alberto Moravia scelti da Sergio Amidei […] e sceneggiati, oltre che da loro, anche da Age […], Furio Scarpelli e Francesco Rosi, il film cerca di far convivere il pessimismo dello scrittore con la bonarietà della commedia all’italiana: ne esce un ibrido curioso, vivacizzato – forse troppo – da un cast brillante, che testimonia la nascente tentazione del cinema italiano a stemperare nel rosa certe componenti di più seria analisi sociale» (Mereghetti). Con Franco Fabrizi, Maurizio Arena, Silvana Pampanini, Giovanna Ralli, Totò. David di Donatello per la miglior regia.
 
ore 20.45 I soliti ignoti di Mario Monicelli (1958, 100′)
«Totò vi compare in due sole scene, dando ad entrambe un sapore intenso, che mette tra parentesi i pur bravissimi attori che vi partecipano. Nella prima Totò fa un suo commento, dopo la sgangherata proiezione del filmato sulla banca, dichiarandosi pronto a impartire una lezione di scasso per un compenso di 50.000 lire. Nella seconda, sulla terrazza, tiene la lezione con una vecchia cassaforte, come un vero professore che cita anche in latino (“in corpore viri”), pronunciando la famosa battuta su fu Cimìn, scambiato subito da Mastroianni per un cinese. La scena si conclude con l’arrivo del brigadiere e con la battuta di Totò, che fingendo di stendere i panni, dice come vede, si lavicchia. Pur nella brevità delle due scene, de Curtis tratteggia un personaggio esemplare e indimenticabile, freddo e scientifico, d’una ironia clownesca, che lascia intravedere un’intera vita di esperienza, ma anche di fallimento, nel settore dello scasso. La sua apparizione in vestaglia sulla terrazza nella seconda scena, ripresa in campo lungo e zoom, è luminosa, intensa, assorbente, ma trasmette anche un’aria di malinconia, come di un uomo rimasto povero dopo tutti i tentativi fatti per arricchirsi, e getta una luce sinistra sull’esito che avrà l’impresa alla quale stanno per accingersi quei “giovani” ai quali è diretta la lezione su come aprire una cassaforte. L’apparizione di Totò, soprattutto nella seconda scena, diventa come un parafulmine di tutto il film: Dante Cruciani è ben noto alla polizia del quartiere (il brigadiere, salendo le scale, lo chiama per nome con un intercalare che presuppone un’abitudine e Cruciani stesso dice che il giorno prima la polizia aveva fatto un controllo) ed è quindi un fallito, come saranno i cinque poveri diavoli alla fine della loro storia e forse anche della loro vita» (Bispuri).
 
giovedì 26
ore 17.00 Arrangiatevi di Mauro Bolognini (1959, 105′)
Peppino Armentano, alla disperata ricerca di una casa per la sua famiglia, si vede offrire uno splendido appartamento a prezzo irrisorio, ma ben presto si svela il mistero. Divertente commedia degli equivoci che unisce l’emergenza case con gli effetti della legge Merlin. «Il film di Bolognini […] si fa notare subito per l’accuratezza e la dignità della realizzazione che si avvale di una sceneggiatura fluida e scorrevole, di un dialogo vivace e brillante, di un’interpretazione calzante e priva di sciatteria di Laura Adani (la cui scelta per il ruolo della protagonista è già un fatto significativo e lodevole) e di un De Filippo e un Totò che si impegnano, con risultati talora felici, a non affidare interamente le loro parti al tranquillo e monotono calco di un logoro cliché. Ma queste qualità di esecuzione, di correttezza formale, sarebbero ben povera cosa, costituirebbero un risultato modesto e marginale, se il film non si segnalasse per l’immediatezza con cui sa cogliere taluni volgari luoghi comuni e pregiudizi ipocriti del costume italiano, dandone una versione ironica e divertita, di un divertimento ambiguo però, a mezzo tra le velleitarie impennate satiriche e gli effetti comici di dubbio gusto» (Ferrero).
 
ore 19.00 Risate di Gioia diMario Monicelli (1960, 106′)
Durante la notte di San Silvestro la comparsa di Cinecittà Gioia Pennicotti, chiamata da tutti Tortorella, incontra casualmente il vecchio amico Umberto Pennazzutto, soprannominato Infortunio, che è ridotto a far da palo al ladro Lello. Tortorella crede ingenuamente che Lello la corteggi, finendo invece in prigione al posto suo. «La capacità di ascolto dell’attore [Totò], di partecipazione a certi sentimenti e drammi viene evidenziata durante i vari sfoghi della donna, persino senza far ricorso alla parola. Sorride, soffre alle pungenti parole di lei, sul suo modo di essere uomo e cavaliere, ruoli messi continuamente in discussione dalla profonda insoddisfazione della compagna. Il lungometraggio sembra ripercorrere, in veloce panoramica, l’intensa vita lavorativa dell’artista fino a mostrarcela nella pacata figura di uomo saggio. È sicuramente il lato paterno dell’attore, quello più fragile, che non si è abituati a gustare» (Settuario).
 
ore 21.00 Sua eccellenza si fermò a mangiare di Mario Mattoli (1961, 100′)
Ernesto (Ugo Tognazzi) sorpreso dalla moglie al telefono con l’amante Lauretta (Masiero), finge di parlare con il medico di Mussolini, Tanzarella. Totò intercetta la telefonata, si finge Tanzarella ed estorce del denaro ad Ernesto, poi con Lauretta si reca al pranzo dato dai suoceri di questi in onore di un ministro (Raimondo Vianello). Sparisce un servizio di posate d’oro che viene trovato addosso all’incolpevole ministro. «Il film doveva chiamarsi E il ministro si fermò a mangiare ma l’inevitabile censura boccia il titolo. Il film segna anche la fine del sodalizio Totò-Mattoli: il regista aveva l’abitudine di chiamare i suoi attori “senti coso”, Antonio de Curtis, che in passato aveva sorvolato su questo modo di fare, non ne può più e dopo questo film chiude ogni rapporto di lavoro col regista. Scriveva Morando Morandini: “Con la mimica prodigiosa, i lazzi […], l’inimitabile tempo, Totò domina da cima a fondo questa pochade che avrebbe dovuto trovare il suo pepe nell’ambientazione […]. Il film è inoffensivo sotto ogni aspetto e, senza Totò, sarebbe il deserto anche sul piano della comicità più facile […]”. E Leo Pestelli: “I comici e in particolare Totò sono gli artefici del modesto divertimento”» (www.antoniodecurtis.com).
 
venerdì 27
ore 17.00 La mandragola di Alberto Lattuada (1965, 102′)
«L’angolo visuale dal quale è osservata la storia di Callimaco, il giovinotto che con l’aiuto di un parassita, d’un frate e della madre di Lucrezia, e il favore di Nicia, marito stupidotto, riesce a godere delle grazie di madonna, è ora modificato. Ciò che in Machiavelli era nuda contemplazione, così ghiaccia da risultare caustica, e celebrazione dell’astuzia intesa come misura dell’intelligenza della storia nei confronti degli sciocchi e degli ignobili, in Lattuada diviene la maliziosa ironia d’un intellettuale e gusto della beffa licenziosa. Per certi aspetti siamo alle soglie del Settecento, più che ai primi del Cinquecento, nel regno del ridicolo più che del sardonico» (Grazzini). «Il film, caratterizzato da una sceneggiatura teatrale di Luigi Magni e da una regia che si concede all’attualità, unitamente ad una scenografia impeccabile, ma molto vicina al gusto manieristico di Zeffirelli, non presenterebbe particolare interesse se non vi fosse de Curtis ad interpretare il ruolo marginale, ma molto importante di fra’ Timoteo, fortemente “tipizzato”, come nel testo originale, ma portatore di una recitazione umanizzata e densa di fermenti e di grovigli psicologici» (Bispuri).
 
ore 19.00 Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini (1966, 89′)
«Antonio de Curtis e Pier Paolo Pasolini: è possibile immaginare due cineasti tanto diversi? Il primo è un comico, scatena la sua fantasia in piena libertà; il secondo è un intellettuale, la sua vita, le sue poesie, i suoi film sono atti politici. Il principe è un conservatore di spiccate simpatie monarchiche, il regista un uomo di sinistra pronto al duello dialettico con chiunque, anche con il partito di riferimento; l’arte di Totò si muove nel solco di una tradizione culturale, quella di PPP è spesso violenta opera di sperimentazione. In comune Totò e Pasolini hanno almeno una cosa, la timidezza. La sera in cui s’incontrano, in casa del principe, Pasolini gli parla di un progetto cinematografico tra lunghe pause di imbarazzato silenzio; Antonio de Curtis ascolta compunto, covando dentro di sé il disgusto per i jeans sdruciti di Ninetto Davoli. Da quest’incontro stentato nasce Uccellacci e uccellini, girato subito dopo La mandragola e ancora prodotto da Alfredo Bini» (Anile). «Padre e figlio, in giro per il mondo, incontrano un corvo parlante (con la voce di Francesco Leonetti) che gli fa la morale, secondo la filosofia razionale di un intellettuale marxista. Quando si stancano delle sue chiacchiere, lo mangiano. Film-saggio di stimolante originalità, il 4° film lungo di P.P.P., operetta poetica nella lingua della prosa, propone in brevi favole e in poetici aneddoti una riflessione sui problemi degli anni ’60: crisi del marxismo, destino del proletariato, ruolo dell’intellettuale, approssimarsi del Terzo Mondo. Con la sua divagazione evangelico-francescana, è anche un apologo umoristico che in alcuni momenti ha l’umiltà e la densità del capolavoro. Due Nastri d’argento a Pasolini (soggetto) e Totò (attore). Premiato al Festival di Cannes» (Morandini).
A seguire l’episodio inedito Totò al circo
 
a seguire La terra vista dalla luna di Pier Paolo Pasolini (ep. de Le streghe, 1966, 30′)
Ciancicato (Totò), con il figlio Basciù (Ninetto Davoli), si unisce ad Assurdina (Silvana Mangano), una sordomuta dai capelli verdi che in un attimo mette in ordine la baracca dei due. La donna muore e riappare da fantasma per seguitare ad accudire i due poveretti. «Pasolini improvvisa un teatrino da paese dei balocchi, con Totò che somiglia a Pampurio e la Mangano alla fatina dai capelli turchini […]. Bello, forse geniale. L’invenzione poetica è costante, il gusto è squisito. La Mangano e Totò deliziosi nel lungo balletto burlesco» (Orsini). «Ma non si può forse chiedere troppo alla rapidità charlottiana […] di questa cosetta, ma però bellina, rallegrata da un grande Totò pienamente uomo proprio quando è più liberamente maschera come nei suoi giorni migliori» (Fofi).
 
a seguire Che cosa sono le nuvole? di Pier Paolo Pasolini (ep. di Capriccio all’italiana, 1968, 22′)
In un teatro viene rappresentata una versione in chiave comica della tragedia di Shakespeare Otello. I personaggi sono attori-marionette: Totò interpreta Jago, Ninetto Davoli è Otello, Laura Betti è Desdemona, Franco Franchi è Cassio, Ciccio Ingrassia è Roderigo. Una riflessione amara, ma con un raggio di luce finale, sul significato dell’esistenza umana, tra il vivere e l’apparire, la vita e la morte.
 
sabato 28
ore 17.00 Questa è la vita di Giorgio Pastina, Mario Soldati, Luigi Zampa, Aldo Fabrizi (1954, 101′)
Nell’episodio di Zampa con Totò, Rosario, afflitto dalla fama di essere un menagramo, chiede e ottiene dal giudice la patente di jettatore, con la quale specula traendo soldi dalle vittime che minaccia di portare jella. «Il film a episodi è ispirato a quattro novelle di Pirandello, l’episodio interpretato da Totò è della durata di circa 15 minuti. Pare che anche in questo film la censura abbia messo lo zampino: nella scena finale in cui Totò ottenuta dal tribunale la patente di jettatore alza il pugno in direzione del paese e grida: “Ed ora a noi due!”, ma su questa inquadratura una voce fuori campo commenta: “Ma la lotta col paese non ci sarà perché anche per Rosario Chiarchiaro la vita tornerà a sorridere, con e senza patente”. Scriveva Tullio Cicciarelli: “La patente è la biografia di uno jettatore […]. L’episodio ondeggia fra il grottesco e la consueta perizia facciale del comico napoletano”. E Mario Gromo: “La patente trasforma in commediola, e talvolta in farsa, una stridente situazione drammatica […] e Totò è qua e là efficace”» (www.antoniodecurtis.com ).
 
ore 19.00 Tempi nostri di Alessandro Blasetti (1954, 129′)
«Tempi nostri, che uscì con il sottotitolo in parentesi Zibaldone n. 2, presenta notevoli affinità con il precedente Questa è la vita, costituito, anche questo, di vari episodi. Mentre il primo è però affidato a vari registi, il secondo ha la firma del solo Blasetti, che costruisce con garbo e profondità di sguardo un affresco variegato sui sentimenti italiani, dagli abissi della disperazione (Casa d’altri), al desiderio di vivere (DonCorradino), al trionfo dell’amore puro (Mara), all’amore materno (Il pupo), all’eccezionale rievocazione nostalgica di un passato che vuole prolungarsi nel presente. Va subito detto che l’ultimo episodio, appunto La macchina fotografica, è il peggiore in assoluto. Tratto da un soggetto di Age e Scarpelli, questo episodio dal titolo insignificante costituisce la banale coda al magnifico film di Blasetti, poi addirittura soppresso all’uscita nelle sale. Tempi nostri è anche la prima coproduzione italo-francese dei film interpretati da Totò che, nel ruolo improbabile e improponibile di un attempato gagà, si esibisce per nove minuti insieme ad una stucchevole Sofia Loren e a un Mario Castellani ridicolmente di gesso, con uno scampolo, per fortuna breve, del suo vecchio repertorio, con le mossette e le smorfie della prima maniera, riproposte con la massima distrazione» (Bispuri).
 
ore 21.15 Le motorizzate di Marino Girolami (1963, 104′)
Cacace, disoccupato, si traveste da metropolitano appropriandosi dei doni che gli automobilisti danno ai vigili per il giorno della Befana e, inoltre, fa multe di cui intasca i proventi. Scoperto, viene arrestato, ma al processo dimostra di aver apportato benefici alla circolazione stradale e promette di non travestirsi più da vigile. Mantiene la promessa, infatti lo vediamo travestito da poliziotto stradale mentre multa due belle straniere. «Ancora un film di parodia, stavolta viene preso di mira Imotorizzati di Mastrocinque. Film a episodi centrato sulla satira alle donne al volante e al nuovo codice della strada da poco introdotto in Italia. Tutti gli episodi hanno come protagoniste le donne, tranne Il vigile ignoto che ha per protagonista Totò» (www.antoniodecurtis.com ).
 
domenica 29
ore 17.00 Le belle famiglie di Ugo Gregoretti (1964, 107′)
Nell’episodio con Totò, Esmeralda (Sandra Milo), donna dalla mania di proteggere sempre qualcuno, esce di senno quando il marito (Totò), arteriosclerotico, e l’amante (Jean Rochefort), epilettico, guariscono e non hanno più bisogno delle sue cure. Torna serena quando il medico di famiglia, respinto in passato perché integro, è uscito menomato da un incidente. «Ma nel complesso il film è divertente ed efficace, riuscendo appieno Gregoretti nei suoi agrodolci intenti sarcastici. Generalmente buoni anche i molti interpreti, diversi da episodio a episodio. Ricordiamo Totò, spassosissimo nei panni del marito arteriosclerotico» (Biraghi).
 
ore 19.00 Gli amanti latini (latin lovers) di Mario Costa (1965, 97′)
«Il film, caricatura del latin lover italiano, costituito di cinque episodi tutti diretti da Mario Costa, si inserisce nel filone dei film a episodi, ormai dirompente negli anni ’60, come già Le motorizzate e Le belle famiglie e successivamente Le streghe e Capriccio all’italiana, mentre i più lontani precedenti sono Questa è la vita, Tempi nostri e L’oro di Napoli, tutti e tre del 1954. L’episodio che riguarda Totò è certamente il più riuscito, sia dal punto di vista dello spunto narrativo (un impiegato che si finge colpito da un male incurabile per trarne i benefici della solita colletta e poi fuggire in Francia con l’amante), sia per l’impianto recitativo, nel quale presenta maggiore spicco il duetto con Mario Castellani, che ricostruisce, con le dovute modifiche e i dovuti adattamenti alla situazione, allo stile del film e ai tempi mutati, il medesimo intreccio di gags e di gesti del famoso sketch del wagon lit di Totò a colori, che qui risulta più fresco e più realistico, perché depurato della struttura farsesca ed esagerata» (Bispuri).
 
ore 20.45 Il mostro della domenica di Steno (ep. di Capriccio all’italiana,1968, 20′)
Un vecchio signore (Totò) che ha l’abitudine di recarsi due volte a settimana dal barbiere, odia la moda dei “capelloni”, cioè quei ragazzi che portano i capelli lunghissimi, e riesce in tutti i modi e con tutti i travestimenti (prete, prostituta, zampognaro) ad attirarli con l’inganno e a raparli a zero con forbici e macchinetta. I malcapitati, vergognandosi per la calvizie, si nascondono in un capannone. Ma…
Date di programmazione