I fratelli Fabio e Mario Garriba, enfants prodige del cinema italiano, l’attore e il regista, ma anche a sovvertire i rapporti di forza tra i due gemelli, il regista e l’attore, tanto da generare spesso confusione sulle loro apparizioni cinematografiche. Non volendo sciogliere definitivamente il mistero sulla loro presenza nel cinema italiano, lì abbiamo (intra)visti in Vento dell’est di Godard, Lo scopone scientifico di Comencini, Sbatti il mostro in prima pagina di Bellocchio, Non ho tempo di Giannarelli, Una breve vacanza di De Sica, Agostino d’Ippona di Rossellini, La via dei babbuini di Magni, Novecento di Bertolucci, La terrazza di Scola, Sogni d’oro e Bianca di Moretti, Piccoli fuochi di Del Monte. Ma è un film a consacrarli, definitivamente, fin dal principio, nella memoria (e nella storia del cinema italiano): In punto di morte, saggio di diploma al Centro Sperimentale, diretto da Mario e interpretato da Fabio, che vince, a sorpresa, il Pardo d’oro al Festival di Locarno 1971, ex aequo con …Hanno cambiato faccia di Corrado Farina e Les amis di Gérard Blain. Un caso unico nella storia del Centro Sperimentale e del cinema italiano, un saggio di regia che vince uno dei più importanti premi cinematografici del mondo, senza però grandi echi, al punto che l’unico telegramma di felicitazioni il giovane regista lo riceve da Roberto Rossellini con un «bravo, bravo, bravo. A nome mio e del Centro Sperimentale», che vale più dal silenzio della critica, colta alla sprovvista dalla proiezione alle 17 di un fatidico venerdì 13 agosto. Non così la mitica Lotte H. Eisner, che vede il film ed, entusiasta, gli apre le porte della Cinémathèque Française. In punto di morte: film di snodo del cinema italiano, che riprende da I pugni in tasca di Bellocchio il tema della contestazione all’interno della famiglia, ma con una vena singolare, riassunta in modo folgorante dall’ingegnere del suono, Jeti Grigioni (il fonico di Diario di un maestro di De Seta): «Se il cinema italiano fosse stato più serio, oppure più intelligente, si sarebbe accorto che Woody Allen era già nato e abitava a Roma vicino a Campo dei Fiori». Originalità colta da Nanni Moretti, per il quale In punto di morte «anticipava umori e atmosfere di tanti film realizzati poi negli anni ’70».
ore 20.45
I parenti tutti (1967)
Regia: Fabio Garriba; soggetto e sceneggiatura: F. Garriba; fotografia: Elio Bisignani; scenografia: Giacomo Calò; costumi: Franco Della Noce; interpreti: Fabio Garriba, Bianca Bresadola, Renato Tomasino, Anna Rossiello, Nerina Breccia, Gianna Soldano; origine: Italia; produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia; durata: 18′
Un ragazzo immagina di essere morto e di sentire i commenti di familiari e amici. «”Mi sento un cadavere, devo far presto a seppellirmi altrimenti puzzo!”. Da questa osservazione si è sviluppato in me il desiderio di assistere ai miei funerali: desiderio elementare che credo ognuno di noi abbia provato. Si trattava cioè di un mio bisogno personale di vedere morta e seppellita la mia infanzia, la mia adolescenza e chiudere così i rapporti con i familiari per poter resuscitare adulto. Tuttavia nel cortometraggio si crea un’ambiguità che porta a sospettare che il protagonista non sia morto. Questa ambiguità riflette la mia situazione reale. Oggi a un anno di distanza posso dire in sincerità che la cassa caricata sul carro funebre era vuota perché mi ritrovo con addosso ancora il mio cadavere alla ricerca di una fossa dove seppellirlo» (Fabio Garriba).
a seguire
Voce del verbo morire (1970)
Regia: Mario Garriba; soggetto e sceneggiatura: M. Garriba; fotografia: Emilio Bestetti; montaggio: Jobst Grapow; interpreti: Fabio Garriba; origine: Italia; produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia; durata: 16′
Un giovane cerca in tutti i modi di suicidarsi, ma la (s)fortuna non lo assiste e tutti i tentativi falliscono (tragi)comicamente. «Era la prima volta che mi mettevo dietro una macchina da presa e ho voluto provare tutto: carrelli avanti e indietro, accelerazioni, rallentamenti, gags, colore, bianco e nero, viraggi, cinema muto, sonoro, etc… e tutto questo in fretta, anche con confusione, prendendo appunti per film molto più belli che avrei fatto dopo. Ma intanto avevo dimenticato che per fare cinema occorre soltanto fortuna» (Mario Garriba).
a seguire
Il previsto incontro con Fabio Garriba è rimandao a data da destinarsi a causa dei disagi dovuti al maltempo
a seguire
In punto di morte (1971)
Regia: Mario Garriba; soggetto e sceneggiatura: M. Garriba; fotografia: Renato Berta; scenografia: Lidija Yurakic; musica: Dimitri Nicolau Golovnyi; montaggio: Fabio Garriba, M. Garriba; interpreti: F. Garriba, Elio Capitoli, Ercole Ercolani, Jobst Grapow, Luigi Guerra, Maria Marchi; origine: Italia; produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia; durata: 55′
A Orvieto, un giovane di buona famiglia si comporta in maniera irriverente e goliardica nei confronti della famiglia, del mondo del lavoro e delle istituzioni, travolgendo con il suo sarcasmo ogni barriera sociale. Non arrestandosi nemmeno di fronte alla morte, estremo, tragico, gioco. «Non ho voluto raccontare una storia. Ho preso invece un personaggio che con le sue contraddizioni mi permettesse di passare di continuo dalla realtà alla finzione, dal presente al passato come se fossero la stessa cosa. Un personaggio chiuso dentro una città di provincia con giornate tutte uguali fatte da desideri inutili, preti fermi davanti alle chiese, pezzi d’opera cantati a squarciagola, il ridicolo suicidio degli esibizionisti, funerali silenziosi. Ma non ho voluto nemmeno inventare parole nuove e i discorsi sono sempre dei modi di dire così come situazione è un luogo comune. Il rifiuto stesso che il mio personaggio porta contro tutto quello che incontra, non è mai vero e resta sempre un gioco o un sogno, destinato quindi a morire presto per un urlo troppo forte» (Mario Garriba).