Home > CSC – Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa, in collaborazione con Associazione Archivio Storico Olivetti, presenta “Olivetti e il cinema: la storia”
CSC – Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa, in collaborazione con Associazione Archivio Storico Olivetti, presenta “Olivetti e il cinema: la storia”
Centro Sperimentale di Cinematografia
Share SHARE
06 Maggio 2022

 

A cura di CSC - Archivio Nazionale del Cinema d'Impresa
in collaborazione con Associazione Archivio Storico Olivetti
OLIVETTI E IL CINEMA: LA STORIA
I filmati industriali e pubblicitari realizzati da Massimo Magrì per la Olivetti
presentati al cinema Boaro, Ivrea, mercoledì 11 maggio alle ore 21


CSC - Archivio Nazionale del Cinema d'Impresa, in collaborazione con Associazione Archivio Storico Olivetti, presenta "Olivetti e il cinema: la storia", una serata dedicata ai I filmati industriali e pubblicitari realizzati da Massimo Magrì per la Olivetti, al cinema Boaro di Ivrea, 11 maggio alle ore 21.00.

Massimo Magrì (Argirocastro 1940 - Milano 2016) è stato regista e produttore di documentari e filmati pubblicitari. Ha esordito nel mondo della comunicazione alla fine degli anni '50. Nel 1968 è diventato Presidente e fondatore, con Giacomo Battiato, della società di produzione POLITECNE CINEMATOGRAFICA spa, in cui ha operato per venticinque anni, fino al 1993. La sua collaborazione con Olivetti inizia in questi anni, ottenendo numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero.

Quello tra l’Olivetti e il regista è un rapporto intenso, aperto all’innovazione, che emerge dalla selezione di filmati che verranno proiettati nella serata dell’11 maggio a Ivrea. « In Olivetti nessuno si spaventò. Anzi, si incuriosirono. Ci assegnarono un nuovo lavoro, un documentario sulla rivoluzione informatica e sui terminali. Diventammo così collaboratori esterni dell’Olivetti. Da una parte entravamo in contatto con quella che era allora uno stile di management unico, con uomini della comunicazione aperti [...] come Renzo Zorzi e Riccardo Felicioli, con un reparto pubblicitario che annoverava, tra gli altri, poeti come Franco Fortini e Giovanni Giudici, con designer come Bellini, Bonfanti, Von Klier e, ovviamente, lo stesso Sottsass. Dall’altra avevamo modo di imparare un modo di relazionarci al lavoro che sicuramente influenzò tutta la nostra carriera di registi-produttori», notava in un articolo del 2007 Magrì a proposito dei suoi due primi  filmati realizzati nel 1968 per l’azienda su incarico di Ettore Sottsass, a conferma della particolare apertura al nuovo e all’insolito che evidentemente si respirava in quegli anni in Olivetti.

Qui di seguito i filmati che saranno proiettati nella serata:

Le regole del gioco, regia di Massimo Magrì, testo di Franco Fortini, fotografia di Vittorio Storaro, musiche di Evasio Roncarati (1968, durata 17’ e 30″)

Software Olivetti, regia di Massimo Magrì (1969, durata 6’)

Tempo in dare, regia di Massimo Magrì, testo Alberto Projettis, fotografia Giulio Albonico, montaggio Franco Gaioni (1969, durata 16’ e 58’’)

Per gioco. Macchine tradizionali, regia di Massimo Magrì (1970, durata 5’ e 48’’)

Spot / Lettera 32 – Campagna Natale, regia di Massimo Magrì (1977-1978, durata 1’)

Macchina cerca forma, regia di Massimo Magrì, soggetto di Ettore Sottsass (1970, durata 14’ e 36″)

Interverranno Mariangela Michieletto (CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa), Enrico Bandiera (Associazione Archivio Storico Olivetti), Luigi Bellotto (Cineclub Ivrea)

Ingresso libero e aperto a tutti

Estratto da «Documentare il design» di Massimo Magrì

pubblicato su Disegno Industriale, n. 28/2007, Numero unico su “Movie and design”.

«Ho cominciato a fare cinema professionalmente nel 1968, fondando con un amico, Giacomo Battiato, una società di produzione, la Politecne cinematografica, che doveva occuparsi di cinema industriale in attesa di fare esperienza e quattrini per il cinema “vero”. Questo è almeno quello che raccontavo a me stesso e ad agli amici e compagni che passavano una buona parte del loro tempo in assemblee e occupazioni. E che mi guardavano con perplessità e un certo divertito imbarazzo. Forse alcuni di loro sapevano che, a parte le ambizioni artistiche, avevo una grande fiducia nel mestè fa’ ben, avevo voglia di credere che esistesse un mondo industriale “buono” capace di esprimere qualità e cultura oltre che produzione di merci; e che, eventualmente, avrebbe accettato di essere corretto, messo in ordine e spiegato da me, in un racconto cinematografico. Fummo fortunati: venne quasi subito una chiamata da parte di Ettore Sottsass che si era inventato, per uno stand Olivetti a una fiera, una macchina che faceva il verso al cinema dei primordi: una serie di visori che richiamavano quelli dei burlesque degli anni dieci. Realizzammo due brevi filmati. In uno un capellone indianeggiante trascinava al guinzaglio per Portofino una Praxis 48, nell’altro le immagini di cavalli che saltavano ostacoli erano mischiate a linee e forme di stabilimenti Olivetti e di terminali disegnati da Sottsass e Bellini. In Olivetti nessuno si spaventò. Anzi, si incuriosirono. Ci assegnarono un nuovo lavoro, un documentario sulla rivoluzione informatica e sui terminali. Diventammo così collaboratori esterni dell’Olivetti. Da una parte entravamo in contatto con quella che era allora uno stile di management unico, con uomini della comunicazione aperti e problematici come Renzo Zorzi e Riccardo Felicioli, con un reparto pubblicitario che annoverava, tra gli altri, poeti come Franco Fortini e Giovanni Giudici, con designer come Bellini, Bonfanti, Von Klier e, ovviamente, lo stesso Sottsass. Dall’altra avevamo modo di imparare un modo di relazionarci al lavoro che sicuramente influenzò tutta la nostra carriera di registi-produttori. Innanzitutto, sin dagli inizi, l’Olivetti si dimostrò interessata alle nostre proposte. Voleva lavorare con noi non perché ci considerasse i più bravi a mettere in bella copia il pensiero uscito dagli uffici marketing, ma ci aveva scelti perché pensava che il nostro modo di leggere l’oggetto e il suo design avesse senso per ragioni generazionali e culturali, e fosse quindi il modo giusto, più diretto e autentico, di evidenziare le qualità e il valore funzionale del progetto. Potevi, nei limiti di un lavoro industriale, non solo dire ma anche fare quello che ritenevi giusto. Fu l’incontro con il mondo del design industriale di quegli anni. Non che le altre aziende per cui giravamo documentari non “disegnassero” i loro prodotti. Le macchine Fiat, ad esempio. Ma gli altri non mettevano in cima alla comunicazione il design, sintesi delle intenzioni, delle capacità, delle caratteristiche dell’azienda e del prodotto. […]».

Iscriviti alla nostra Newsletter