“Dal 15 al 19 novembre, al cinema Trevi, la rassegna “Il progetto e le forme di un cinema politico nel centenario della Rivoluzione dOttobre”
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A distanza di un secolo dalla Rivoluzione di Ottobre, nell'epoca della pressoché compiuta digitalizzazione delle immagini tecniche e dei fenomeni culturali ancora solo parzialmente esplorati che essa va producendo senza sosta, i tempi sembrano maturi per misurare la vitalità del progetto di cinema politico elaborato dai due massimi interpreti dell'avanguardia russo-sovietica, Sergej Michajlovic Ejzenstejn e Dziga Vertov. Ma anche, e soprattutto, per verificare alla luce dei problemi posti dal presente la possibilità che questi due progetti rivoluzionari, molto diversi tra di loro e per alcuni aspetti addirittura opposti (tutto interno alle arti quello di Ejzenstejn, decisamente fuori dall'arte e proiettato nella vita associata quello di Vertov), possano mostrare un terreno comune, sorto proprio dalle problematiche innovative emergenti dalla rete. E qui si pensa, in particolare, da un lato alla possibilità che gli standard produttivi della rete possano garantire adeguati livelli di complessità intellettuale e, dall'altro, all'effettiva spinta emancipativa del fenomeno dell'interattività: due fattori a proposito dei quali la discussione critica corrente ha in genere manifestato - a nostro avviso a torto - scetticismo e valutazioni negative. Un intelligente e spregiudicato recupero della lezione teorica e creativa di due grandi maestri del cinema politico potrà essere di grande utilità per mettere meglio a fuoco questo insieme di problemi. Oltre alla celebrazione del centenario della Rivoluzione d'Ottobre, un'ulteriore occasione è offerta dall'edizione francese degli scritti di Dziga Vertov, di imminente uscita presso Les presses du réel per la cura di François Albera, Irina Tcherneva e Antonio Somaini, e quella del fondamentale trattato Il metodo (in due volumi) di Sergej Michajlovic Ejzenstejn, anch'esso in corso di stampa presso Marsilio per la cura di Alessia Cervini. Inoltre la rassegna vuole anche analizzare su come Hollywood e Mosca abbiano trattato il tema della rivoluzione e del comunismo in un solo paese, a partire dagli anni Trenta del Novecento in varie forme cinematografiche, soprattutto commedia e dramma. L'evento prevede anche due giornate di studio, due eventi speciali, una mostra e altre rassegne cinematografiche alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea e alla Casa del Cinema.
Evento a cura di Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico in collaborazione con Fondazione Istituto Gramsci di Roma,NOMAS Foundation, Casa del Cinema, Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale
mercoledì 15
ore 16.30 Presentazione della rassegna di Ermanno Taviani
ore 16.45 La felicità di Aleksandr Medvedkin (1934, 64')
È la storia di Chmyr', un povero contadino in giro per il mondo in cerca di fortuna. Un giorno trova una borsa piena di soldi e compra un cavallo. Arriva l'autunno e fa un buon raccolto, ma il kulak, il proprietario terriero, e il pope, glielo confiscano. In preda alla disperazione, Chmyr' decide di suicidarsi. La polizia zarista lo accusa di libero pensiero, ordina di frustarlo e poi lo manda in guerra. Finita la Rivoluzione d'Ottobre, i poveri contadini e i piccoli proprietari nel paese di Chmyr' decidono di dare vita a una comunità agricola. Chmyr' diventa un kolchoziano, ma il suo lavoro è il peggiore e tutti finiscono per ritenerlo uno scansafatiche. Arriva il giorno in cui Chmyr' può finalmente riscattarsi salvando il pane del Kolchoz dalle mani degli accaparratori. «La felicità non è già più una satira "libera", ma è egualmente un prodotto impensabile appena un paio d'anni più tardi, e non solo perché è un film ancora muto (uno degli ultimi). La stilizzazione estrema di Medvedkin, del suo originale rifarsi ai modelli iconografici del folklore popolare, maliziosamente rivisitati in chiave sovietica: gags irresistibili, come nei migliori film dei grandi comici americani (lo stesso Ejsenstejn sfodera il nome di Chaplin), trucchi fantastici» (Buttafava).
ore 19.00 Presentazione di Alessia Cervini
ore 19.30 La terra di Aleksandr Dovzhenko (1930, 88')
Lo stile poetico di Dovzhenko parla della vita in Ucraina, esaminando i cicli naturali. Esplora aspetti come la vita, la morte, la violenza, il sesso, il tutto sotto una visione idealistica del comunismo, prima dell'insediamento dello stalinismo. Il film è stato giudicato negativamente da molti russi in quanto esplora gli aspetti oscuri della vita nati dalla Rivoluzione. «È un affascinante poema lirico, permeato di un panteismo quasi epico, che celebra la vita e che, nonostante il recente dolore, punta sulla resurrezione più che sulla morte inevitabile. Uno degli ultimi "classici" del muto: oltre al rifiuto del passato (i kulaki, il cristianesimo), esalta il progresso (la gioventù, il trattore, il collettivismo, la liberazione sessuale, la dignità del lavoro manuale). Alcune delle scene più spinte furono tolte dall'edizione per l'estero e dalle copie distribuite nelle sale provinciali: i contadini che raffreddano il trattore con la loro urina; una donna che partorisce durante il funerale» (Morandini).
ore 21.30 La nuova Babilonia di Grigorij Kozincev, Leonid Trauberg (1929, 80')
«Novyj Vavilon rappresenta il culmine dell'avanguardia sovietica, il film più audace e l'ultimo muto della FEKS, la Fabbrica dell'attore eccentrico, punto di contatto tra la libertà linguistica e teorica degli anni Venti e la "coscienza totalitaria" del realismo socialista anni Trenta. Il film deve il suo titolo all'appellativo con cui veniva allora definita in URSS la città di Parigi, "Babilonia contemporanea"; al romanzo di Georges Eekhoud La nouvelle Carthage; e soprattutto alla rappresentazione di Babilonia inIntolerance di David W. Griffith. Il secondo titolo con cui il film è conosciuto, Sturm Neba (Assalto al cielo), deriva invece dal nome che Karl Marx aveva dato alla Comune di Parigi: tra le intenzioni di Grigorij Kozincev e Leonid Trauberg c'era anche quella di dar vita a un melodramma, e questo secondo titolo appariva loro molto promettente dal punto di vista commerciale. I cineasti si ispirarono inoltre ad alcuni romanzi di Zola e in particolare a Au bonheur des dames, o più in generale allo spirito e ai temi della letteratura naturalista» (Natalia Noussinova).
sabato 18
ore 16.30 Presentazione di Carlo Casula
a seguire L'uomo venuto dal Kremlino di Michael Anderson (1968, 162')
Per dimostrare di aver superato lo stalinismo, il governo sovietico libera dalla ventennale prigionia dei gulag l'arcivescovo russo Kiril Lakota, che però viene espulso e si trasferisce nella curia pontificia, a Roma. Nominato cardinale, all'improvvisa morte del papa regnante è eletto a sua volta papa. Ma la vigilia della sua consacrazione ufficiale è offuscata dal precipitare di una crisi internazionale che contrappone drammaticamente Mosca a Pechino... Con Anthony Quinn, Laurence Olivier, Oskar Werner, David Janssen, Vittorio De Sica, Leo McKern, John Gielgud.
ore 20.00 Presentazione di Stefania Parigi
a seguire Sobborghi di Boris Barnet (1933, 98')
«Si tratta del primo film sonoro di Boris Barnet, realizzato dopo il singolare addio al muto, due anni prima, di Ledolom, film che, formalmente assai influenzato da Dovzenko, illustrava ideologicamente una forma dello scontro di classe propria di un periodo di gelo e di repressione. Okrajna, girato sul finire di quest'epoca, si oppone nettamente all'estrema durezza di quel manifesto politico. Realizzato in un breve intervallo di disgelo, coincidente con l'anno della presa del potere da parte di Hitler,Okrajna è non solo un film pacifista, ma anche un'opera che celebra la solidarietà internazionale, tratto caratteristico del suo studio di produzione, il Mezrabpomfil'm. Il film si compone di varie vicende collegate tra loro da un filo conduttore assai esile, quello della cittadina che vi funge da sfondo, e la stessa drammaturgia è costruita sugli avvenimenti della vita quotidiana e sugli eventi tipici dell'epoca descritta. Lo stile è frammentario, non si persegue un'unità di tono, sono presenti "continue digressioni che cercano di cogliere i movimenti interni di una realtà complessa, non ancora irrigidita nel dogma o nell'accademismo" (Jacques Lourcelles). Questo tipo di costruzione drammatica, e il décor provinciale, hanno inevitabilmente suscitato il confronto con l'universo di Čechov. Si tratta, in realtà, di qualcosa di più: qui Barnet raggiunge una forma cinematografica originale» (Eisenschitz).
domenica 19
ore 16.30 Presentazione di Vito Zagarrio
a seguire Alba rossa di John Milius (1984, 114')
«Alba Rossa è un concentrato della filosofia cinematografica del miglior Milius, un western travestito, dove gli accerchiati sono gli yankee, e i pelle(rossa) sono i soldati dell'armata post bolscevica e i Barbudos Cubani, dove l'amicizia è il collante per lottare e rimanere uniti, immersi come anime disperate in una natura bellissima e inquietante, madre disperata di un'umanità sull'orlo del baratro. John Ford e l'epica di un mondo perduto, un crepuscolo degli ideali dove la brama di potere lacera il coraggio dell'eroe senza macchia. Sono queste le solide basi dove il cinema di Milius poggia lo sguardo, un tessuto connettivo dove uno stile asciutto distende la sua elegia visiva, immaginando le debolezze di un paese innalzatosi a garante delle libertà mondiali senza mai guardarsi allo specchio» (Francesco Maggi).
ore 18.45 Presentazione di Alessio Scarlato
a seguire Tre canti su Lenin di Dziga Vertov (1934, 68')
Nel 1934, Dziga Vertov concepisce l'idea di realizzare un film sul grande artefice della Rivoluzione: e nasce quest'opera cinematografica, Tre canti su Lenin, che rievoca l'Ottobre, la vita di Lenin, i primi anni del potere sovietico, e che esprime il significato universale del leninismo nella nostra epoca. Il film è costruito intorno a tre canti popolari anonimi della repubblica dell'Uzbekistan dedicati a Lenin, e ha come soggetti fondamentali le donne dell'Asia Minore, la cui esistenza è stata profondamente modificata dalla Rivoluzione e dall'insegnamento di Lenin. Il primo canto della pellicola ha infatti come tema la vita delle donne asiatiche sotto il vecchio regime, i volti nascosti dai veli neri di crine di cavallo: con la rivoluzione esse escono dallo stato di schiavitù in cui erano costrette a vivere nelle colonie asiatiche della Russia zarista. Il secondo canto è quello sulla morte di Lenin e sul dolore e l'angoscia che la sua scomparsa determinò in chi si era da poco liberato da un'oppressione economica, psicologica, culturale. Il terzo canto è dedicato all'insegnamento di Lenin come base per la costruzione di una vita diversa, più libera e giusta innanzitutto per le donne della Russia sovietica. Il film - che molti considerano come il più riuscito del grande cineasta sovietico - porta in effetti a liveli di grande forza espressiva le teorie e le tecniche cinematografiche a cui Dziga Vertov si è sempre ispirato nella sua attività, con una coerenza rara nell'intera storia del cinema.
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