Rami Elhman e Bassam Aramin, ebreo l’uno, arabo l’altro, hanno entrambi perso una figlia negli attentati dell’altra parte. All’indicibile dolore hanno reagito rifiutando l’idea della vendetta, dell’odio. Si sono conosciuti in un’associazione per la pace e tra loro è nata un’amicizia profonda, entrambi sentendo che l’Altro rappresentava il compimento del proprio percorso. Dedicano il loro tempo a diffondere l’idea che un superamento del conflitto è possibile. Il 20 giugno hanno offerto la loro testimonianza nell'ambito di Diaspora degli artisti in guerra, al Centro Sperimentale di Cinematografia. Francesca Mannocchi ha moderato l'incontro.
Bassam Aramin: «Non c’è altra via che la pace, la pace è la via. Solo se cambio me stesso posso cambiare il mondo. Non ho tempo di odiare chi mi odia perché sono troppo impegnato ad amare chi mi ama. La cosa più importante è scrollarsi di dosso il vittimismo. Il perdono è una cosa personale dobbiamo imparare a perdonare prima noi stessi. Quando ho incontrato l'uccisore di mia figlia gli ho detto: hai ucciso una bambina di 10 anni, se ti perdono non lo faccio per te ma per me perché non voglio che i miei figli si sentano vittime».
Rami Elhman: «Martin Luther King diceva che bisogna sostenere la libertà, la dignità. Non prendete la parte dell'uno o dell'altro. Bisogna sostenere entrambe le parti. Siate per la libertà, siate per la giustizia. L'unico modo per sconfiggere le narrazioni di odio è conoscere l'altro, scoprire la sua cultura, la sua cucina, la sua musica, la sua lingua; scoprirlo un essere umano esattamente come noi».
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