Bianco e Nero – 570
Il nuovo numero della rivista del Centro Sperimentale di Cinematografia “Bianco e Nero”, anche questo a carattere monografico, è dedicato al contributo creativo delle donne alla cultura cinematografica e all’industria del cinema nell’epoca della sua prima esistenza, quella del muto.
Il contributo delle donne allo sviluppo dell’industria e della cultura cinematografica del periodo muto è oggetto da circa un decennio di un interesse sempre più vivo da parte di ricercatrici e ricercatori di tutto il mondo, impegnati a riscoprire forme e modalità dell’iniziativa femminile nelle prime quattro decadi della storia del cinema. Anche per quanto riguarda l’Italia, i campi di indagine si stanno per la prima volta allargando ad ambiti di ricerca in passato trascurati. La riscoperta del lavoro delle numerose donne che furono attive nell’industria cinematografica italiana tra l’inizio del Novecento e i primi anni Trenta in ruoli creativi, tecnici e manageriali (registe e sceneggiatrici ma anche attrici, produttrici, operaie e perfino pedagoghe) contribuisce a delineare una fase della storia del cinema in cui l’apporto femminile appare assai più consistente e rilevante rispetto a quello dei decenni successivi.
All’interno di questo contesto si collocano i lavori qui presentati, nella convinzione che approcci disciplinari e metodologie d’indagine ormai acquisiti siano maturi per contribuire a inaugurare, nella sua complessità, una nuova prospettiva storica e teorica a forte vocazione transnazionale.
La maggior parte dei nomi presenti in questo numero – da Armanda Giunchi a Maria Gasparini, da Renée de Liot ad Angelina Buracci, da Bianca Virginia Camagni alle cantanti d’opera prestate al cinema – sono pressoché sconosciuti, o misconosciuti, o mal conosciuti. Ma anche la ricezione italiana di Sarah Bernhardt cantante o lo stile registico di Elvira Notari restano argomenti solo parzialmente investigati, per non parlare del lavoro delle oscure coloriste della Cines o dei miti partenopei incarnati da giovani attricette di provincia.
Non si può però inscrivere questo lavoro collettivo di ricerca nell’ambito della scoperta o riscoperta di figure o temi originali, cioè rubricarlo come studio applicato a zone inesplorate della storia del cinema. Il senso della ricerca è costituito da una particolare cura nei confronti dell’oggetto di studio, un’attitudine comune a studiose e studiosi chiamati a interrogare archivi e cineteche, ad esplorare cioè nuove fonti dirette e primarie. La finalità consiste nel restituire a tanti gesti silenziosi di donne del passato una nuova vita, un posto e un ruolo nella storia del cinema attraverso la precisa individuazione del lavoro creativo da loro condotto all’interno dell’industria cinematografica del primo periodo.
Non si tratta più di riconoscere l’autorialità femminile, come è accaduto a partire dagli anni settanta grazie al lavoro della Feminist Film Theory sulla regia e sullo sguardo, ma di ricostruire l’autorevolezza di queste presenze e delle loro variegate mansioni a lungo scambiate per assenze o mai considerate nella sbrigativa archiviazione dei loro contributi dati per marginali, minoritari e poi irrimediabilmente dissolti insieme a tanti loro film.