Cinema Trevi: alle 21.00 omaggio a Paolo Brunatto
23 Novembre 2010 - 23 Novembre 2010
Indossava delle camice senza collo, lunghe, e i capelli grigi e fluenti, raccolti in un codino. Aveva una voce profonda. Parlava lentamente ed era un piacere ascoltarlo. Aveva mille progetti e mille idee in testa. Interiormente ci sembrava il più giovane regista che avessimo mai conosciuto, grazie a un entusiasmo e a una passione incontenibili, impossibile rimanerne indifferenti. Per noi che abbiamo avuto la fortuna, l’onore e il piacere di conoscerlo Paolo era un clandestino del cinema italiano con schegge di utopia (tanto per citare due importanti serie televisive ideate e realizzate da Brunatto, prodotte da Giacomo Rossi e Stefano Rebechi per Cult Network Italia, perfetti esempi di una televisione troppo intelligente per avere un futuro). Geniale era la sua ricostruzione di un cinema borderline che poteva essere l’underground ma anche il marginale italiano che trasversalmente prendeva in esame, dal giovane cineasta horror neo-pulp autodafé Gionata Zarantonello all’autarchico Silvano Agosti, da autori consolidati come Giuseppe Bertolucci, Franco Piavoli, Paolo Benvenuti, Giuseppe Maria Gaudino, Roberta Torre ad autori estremi e controversi come Antonio Rezza & Flavia Mastrella, Rolando Stefanelli. Senza dimenticare Jean Marie Straub e Danièle Huillet e il rosselliniano Claudio Bondì. Fino al più estremo di tutti nella sua poetica naïf: Tony De Bonis. Altrettanto geniale è stato mettere davanti alla macchina da presa un intervistatore sui generis e molto eccentrico come il poeta Valentino Zeichen. Ma Paolo non è stato solo uno dei maggiori cineasti del cinema underground, né uno dei più originali documentaristi, ma anche un sublime entertainer. Indimenticabili sono state alcune sue serate proprio al Cinema Trevi in cui Paolo moderava e animava gli incontri con grandi dosi di umorismo, (auto)ironia e brillante eloquenza. Last but not least doveva essere questo terzo capitolo, Cinema No Future, a chiudere idealmente la trilogia iniziata con Schegge di utopia – L’underground Cinematografico Italiano questo sconosciuto, proseguita con I clandestini del cinema italiano – Omaggio a 12 autori del cinema italiano. Cinema No Future era basato su una massima semplice quanto geniale: il cinema vero e proprio non esiste più. Ci sono delle immagini in movimento che corrono su altri “tubi catodici”, come i vari canali on line (youtube et similia…). Anche stavolta Paolo ci avevi visto giusto. Come sempre.
ore 21.00
Schegge di utopia – L’underground cinematografico italiano questo sconosciuto: Autoritratto di Paolo Brunatto (2004)
Ideazione e regia: P. Brunatto; aiuto regia: Eleonora Orlandi; fotografia: Stefano Bonetti; montaggio Raffaele Maiolino; interpreti: P. Brunatto, Valentino Zeichen; origine: Italia; produzione: Giacomo Rossi, Stefano Rebechi per Cult Network Italia; durata: 41′
Paolo Brunatto disteso sull’amaca. Valentino Zeichen, il poeta, lo interpella. Brunatto filosofeggia non prima di nascondersi nel giardino di casa. Un flusso d’immagini dell’immensa e polimorfica filmografia di Brunatto (da Vieni, dolce morte (dell’ego) ai vari documentari televisivi) interrompe gli sketch (ma non solo) dei due. Si parla di buddismo, cinema sperimentale, cultura, vita. Zeichen smitizza, mentre Brunatto con fare zen ricostruisce il suo passato, le sue passioni. Tra corpi & visioni che Brunatto ha filmato/registrato/ripreso e che si possono vedere nelle lunghe citazioni del suo Autoritratto s’impone quello di Pier Pasolini nel breve documentario della serie Io e…, dal titolo Pasolini e… la forma della città, andato in onda il 7 febbraio 1974. Quel volto scavato e sofferto tra le dune di Sabaudia, ripreso da Brunatto con grande sensibilità, prefigura la futura morte del cineasta friuliano.
Per gentile concessione di Giacomo Rossi – Ingresso gratuito
a seguire
Vieni, dolce morte (dell’ego) (1967-68)
Regia, fotografia, montaggio: Paolo Brunatto; durata: 50′
«Il film che non volle essere un “film”, ma una “non-fiction” creativa e liberata, fu realizzato nel 1967/68 durante un viaggio di 9 mesi (come la gestazione di un bambino) da Roma a Kathmandu, attraverso la Grecia, Turchia, Iran, Pakistan e India (e ritorno), a bordo di un pulmino Volkswagen, che era appartenuto al leggendario Living Theatre. La protagonista assoluta del mio non-film è Poupée Cozzi Brunatto, compagna di una vita. Filmare per vivere, per respirare, per contemplare l’illusorietà di tutte le cose e anche delle emozioni. Il riconoscimento della dimensione onirica dell’esperienza esistenziale. Viaggio interiore, dove i luoghi attraversati, le persone, le cose, sono cause secondarie che riconducono incessantemente la visione ad un’esperienza spirituale, che ha come focus la folgorante scoperta della vacuità dell’ego» (Brunatto).