Con la morte di Giulio Petroni il cinema e il mondo della cultura perdono un personaggio controcorrente, non allineato sulle posizioni dominanti, che negli ultimi anni della sua vita si è divertito a sparare invettive in ogni direzione, non preoccupandosi minimamente di inimicarsi qualcuno, tanto ormai non aveva più nulla da perdere. Sembrava aver perso tutto Petroni, tranne la lucidità e la voglia di denunciare con la sua penna affilata, con la quale firmava (e editava con la sua casa editrice, Dalia), arroventati pamphlet (Le ceneri del cinema italiano, Le ceneri del cinema italiano: tragico aggiornamento, Sgarbo a Sgarbi e la sua band, Trash), oltre a rinverdire la sua vena letteraria (aveva esordito con La città calda nel 1961 per Feltrinelli, seguito da Il rivale per Marsilio e da una serie di romanzi targati Dalia: Le speranze e gli inganni, Il rancore, La quadrupla verità, Lore Blum, La strega di Colobraro). Un cecchino, l’ha definito Giampiero Mughini, in un celebre articolo su «Panorama», dal titolo emblematico: Intellettuali, vi sparo a raffica. «Il fatto è che quasi tutti noi, quando scriviamo, qualche tabù lo abbiamo. Può essere l’amico di gioventù, o il fratello della fidanzata, o il sodale dell’avventura intellettuale di un tempo, o il coautore della casa editrice che ti versa i diritti. Ognuno di noi, anche se ben disposto a menare le mani, a qualcuno lo risparmia o di qualcuno tace. Petroni no». Non faceva sconti Petroni, a nessuno, nemmeno a se stesso.
Dopo avergli dedicato una retrospettiva in tempi non sospetti, nel 2005, prima della rivalutaziona tarantiniana (grazie a Kill Bill) e veneziana (con la proiezione di Tepepa nel 2007), lo ricordiamo con tre grandi film, per i quali, come ha scritto Marco Giusti dopo la morte, «non c’è fan del cinema western che oggi non l’abbia omaggiato a dovere in tutto il mondo. Di questo sarebbe stato contento. Viva Petroni!». Nella speranza che qualche studioso raccolga la sfida lanciata in vita dal regista e scrittore e approfondisca una filmografia che, da Ceylon (fu direttore del Dipartimento Cinematografico nel dopoguerra e vi girò due cortometraggi) a Cinecittà, dalla commedia (La cento chilometri, I piaceri dello scapolo, Una domenica d’estate, I soliti rapinatori a Milano) al western, ha abbattuto i confini cari al nostro cinema, a cominciare dalla dicotomia genere-autorialità.
ore 17.00
Da uomo a uomo (1967)
Regia: Giulio Petroni; soggetto e sceneggiatura: Luciano Vincenzoni; fotografia: Carlo Carlini; scenografia: Franco Bottari; costumi: Luciano Sagoni; musica: Ennio Morricone; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: John Philip Law, Lee Van Cleef, Luigi Pistilli, Anthony Dawson, Mario Brega, José Torres; origine: Italia; produzione: Sancro International, P.E.C.; durata: 120′
«Come in Notte senza fine (Pursued) di Raoul Walsh, il bambino Bill assiste al massacro della sua famiglia a opera di un gruppo di pistoleri dei quali ricorda soprattutto gli stivali. Bill cresce, diventa John Philip Law, e incontra il più vecchio Ryan, cioè Lee Van Cleef. Ovviamente Bill si vuole vendicare […]. In Kill Bill di Quentin Tarantino c’è una citazione-omaggio chiarissima, cioè la storia di O-Ren bambina che è praticamente ripresa dalla scena di John Philip Law bambino che si vede massacrare i genitori. C’è perfino il teschio d’argento in comune tra i due film. Ma Petroni minimizza: “L’unica cosa presa dal mio film è la musica di Morricone. E poi, se vogliamo, un inizio molto violento” (“Cine 70”). Però su “Uncut” lo stesso Tarantino ne parla come uno dei dieci film (e l’unico spaghetti) che fanno da base d’ispirazione per leggere Kill Bill. Anche perché è il film che rappresenta tutti i film di vendetta western fatti in Italia» (Giusti).
ore 19.10
La notte dei serpenti (1969)
Regia: Giulio Petroni; soggetto: Enzo Gicca Palli; sceneggiatura: E. Gicca Palli, Giulio Petroni; fotografia: Mario Vulpiani, Silvio Fraschetti; scenografia: Franco Bottari; costumi: Gaia Romanini; musica: Riz Ortolani; montaggio: Antonietta Zita; interpreti: Luke Askew, Luigi Pistilli, Chelo Alonso, José Torres, William Bogart [Guglielmo Spoletini], Franco Balducci; origine: Italia; produzione: Madison Cinematografica, Ascot Cineraid; durata: 108′
«Rarissimo western violento di Petroni, che vede protagonista lo scucchione Luke Askew, curioso attore e cantante americano, qui nella sua unica apparizione in Italia, ancora fresco di Will Penny e di Easy Rider, ma anche di hippy-movies subcormaniani. […] Askew interpreta un ubriacone, un cowboy finito perché si considera l’artefice della morte di suo figlio, che viene assoldato da una banda di balordi, un sindaco, un oste, una prostituta e un sacrestano, per far secco un orfanello che ha ereditato diecimila dollari […]. Di gran culto, anche se Petroni non ne vuole quasi parlare, lo considera un film minore, poco riuscito. Carlo Aguilar lo vede invece come il miglior film del regista, e «uno dei più strani spaghetti western, che propone una storia di autoredenzione quasi degna di Lord Jim» (Giusti).
ore 21.10
Tepepa (1969)
Regia: Giulio Petroni; soggetto e sceneggiatura: Franco Solinas, Ivan Della Mea; fotografia: Francesco Marin; scenografia: Guido Josia; costumi: Gaia Romanini; musica: Ennio Morricone; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Tomas Milian, Orson Welles, John Steiner, José Torres, Luciano Casamonica, Anna Maria Lanciaprima; origine: Italia/Spagna; produzione: Filmamerica, S.I.A.P., P.E.F.S.A.; durata: 136′
«Uno dei migliori film di Giulio Petroni e grande spaghetti western del periodo rivoluzionario. […] Il cast è stellare con Tomas Milian in stato di grazia come peone incazzato e poi come capo rivolta e Orson Welles come cattivissimo colonnello Cascorro che conferisce una particolare aurea alle sue scene, visto come sono sontuose e geniali. […] Tutto il film è sregolato e fantastico, dall’uso del grande schermo ai colori grigiastri, alle invettive di Tomas Milian, che parla per la prima volta con la propria voce sia nella italiana sia in quella inglese. Uno dei punti più alti del genere. E unica apparizione di Welles in uno spaghetti western» (Giusti).
Per gentile concessione di Gioele Centanni per Klaudia Film s.r.l.