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Enzo Jannacci, il cantore degli ultimi
03 Maggio 2013 - 03 Maggio 2013
Nomini Jannacci e subito per incanto appaiono quegli occhiali spessi sopra un naso un po’ grande. Nomini Jannacci ed ecco gli echi di quella voce un po’ stonata, originalissima, quasi pre-punk, sempre sul punto di spezzarsi. Nomini Jannacci e vengono in mente quelle giacche e quelle cravatte sempre troppo strette indossate da un uomo a metà tra un Buster Keaton e uno Charlot, con quelle scarpe da tennis, che da sole, insieme all’aria perennemente terrorizzata o completamente eterea e aliena del loro padrone, raccontavano la follia e il disagio sociale del boom e della crisi con un’ironia sempre accompagnata da una pietas verso gli ultimi, i poveracci. Ma il repertorio musicale e lirico di Jannacci è stata anche una colonna sonora di un pugno di film che hanno raccontato un’altra Italia: in La vita agra (1964), che Carlo Lizzani aveva tratto dal romanzo di Luciano Bianciardi, il protagonista si trova al bar Jamaica, in via Brera, luogo di ritrovo per molti artisti, e Jannacci canta L’ombrello di mio fratello. Oppure la struggente canzone dedicata alla protagonista femminile di Romanzo popolare (1974) di Mario Monicelli, quella Vincenzina e la fabbrica scritta con un altro talento geniale come Beppe Viola. Ed è sempre Mario Monicelli che lo vuole attore nella parte di Gavino Puddu, il venditore sardo di castagnaccia accanto a Monica Vitti, sua moglie, nel film a episodi Le coppie (1970). Come scrive giustamente Antonello Catacchio, l’episodio interpretato da Enzo «si chiama Il frigorifero, oggetto del desiderio raggiunto solo a rate. Non importa se non si sa cosa mettere dentro quel simulacro, l’importante è avere quel 180 litri e venerarlo». Jannacci al cinema ha fatto veramente di tutto. Ha scritto canzoni e colonne sonore, ma anche sceneggiature, talvolta le due attività per lo stesso film, come per Saxofone di Renato Pozzetto (1978), o apparendo per l’ultima volta come attore ne La bellezza del somaro di Sergio Castellito(2010). Ma forse rimarrà alla storia per il ruolo da protagonista nel curioso ed eccentrico L’udienza (1972)di Marco Ferreri. Ma non tutti sanno che Jannacci ha interpretato un altro ruolo da protagonista nel cortometraggio L’informazione è ciò che conta (1968-1969) di Nato Frascà per conto di Olivetti. E anche in questo caso Enzo è un uomo disorientato da una società dei consumi che si manifesta in maniera invasiva con i mille segnali della pubblicità. Enzo Jannacci si è spento nella sua Milano il 29 marzo 2013 all’età di 77 anni. «…e io ho visto un uomo,/ per caso, una sera,/svuotarsi di tutto/il suo dolore:/rumore di neon/che c’era in vetrina/si udiva soltanto,/in via Lomellina…/La gente guardava,/ma non domandava/se avesse qualcosa…/magari, un malore…/Un uomo che piange/non ha un volto duro:/il bavero è alzato,/la giacca, blu scuro;/ed era lì, solo,/e niente chiedeva:/e questo, la gente/non se lo aspettava!/Son quasi le sette,/le sette di sera;/e a casa, il marito/già aspetta la cena;/ma forse ha bisogno/d’un po’ di comprensione…/E lascia la spesa,/e di lì non si muove./Da un po’ son passate/le sette di sera:/rientra e controlla;/il marito già c’era./”Sai, Gino, son stata/a fare la spesa:/mi sono fermata/giù in via Lomellina;/perchè… ho visto un uomo…/piangeva da un’ora…/Ma forse, un balordo;/magari un malore!» (Enzo Jannacci, E io ho visto un uomo).
 
ore 21.00
L’informazione è ciò che conta (1968-1969)
Regia: Nato Frascà; soggetto e sceneggiatura: N. Frascà; testi: Riccardo Felicioli, N. Frascà, Giovanni Giudici, Michele Pacifico, Alberto Projettis; fotografia: Maurizio Centini; musica: Nando De Luca; interpreti: Enzo Jannacci, Renata Lunati; origine: Italia; produzione: Olivetti durata: 23′
Nel 1968 Frascà viene invitato dalla Olivetti a ideare e realizzare un documentario sull’informazione; fra il 1968 e il 1969 si occupa della redazione del soggetto e della sceneggiatura e sceglie come protagonista Enzo Jannacci. Le riprese del documentario e una parte della colonna sonora sono realizzate a Milano, il montaggio a Roma. Il documentario racconta le peripezie di un disorientato e goffo Jannacci, che arrivato in treno nella metropoli milanese, gira per la città, subito colpito da segni, suoni, segnali, fantasmi, legati all’ambiguità, ma anche alla necessità dell’informazione; informazione che deve presentarsi come capacità di ordinamento razionale dei dati ed organizzazione della memoria. L’occhio di Jannacci, e della camera che lo segue, è alle prese però con una realtà, quella appunto dell’informazione, che in fondo non riesce a comprendere e con cui, alla fine non “comunica”, venendone invece invaso e scosso. L’azienda non accetta il filmato, vorrebbe eliminarne delle parti, la cui carica ironica e sottilmente destabilizzante non è in linea con l’utilizzo promozionale per il quale il prodotto era stato richiesto e concepito e che l’Olivetti infatti non utilizzerà. Frascà scrive: «L’IBM (o l’Olivetti che è lo stesso) vorrebbe sostituirsi a me? Allora le mie barricate: opporre l’oggetto indigesto». Il documentario, che sembrava perduto, è invece conservato nell’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa di Ivrea, e, proiettato una prima volta nel 2004, ha il suo riconoscimento critico nel 2009 alla 66ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, in una retrospettiva significativamente intitolata Questi fantasmi 2. Cinema italiano ritrovato (1946-1975).
Copia proveniente dall’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa di Ivrea
 
a seguire
Il frigorifero (ep. de Le coppie, 1970)
Regia: Mario Monicelli; soggetto e sceneggiatura: Ruggero Maccari, Rodolfo Sonego, Stefano Strucchi; fotografia: Carlo Di Palma; scenografia: Giulio Coltellacci; musica: Enzo Jannacci; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Monica Vitti, Enzo Jannacci; origine: Italia; produzione: Documento Film; durata: 48′

Per pagare l’ultima rata del frigorifero, due coniugi sardi, emigrati a Torino, prendono una decisione singolare… «Ho un ricordo molto bello del rapporto con Monicelli e la Vitti, che stimo tantissimo. Un’attrice eccezionale, una bellezza intensa, particolare. Monicelli l’ho conosciuto in quella occasione, siamo diventati amici e siamo sempre in contatto. Penso che mi abbia scelto perché gli piaceva il mio modo così, un po’ schizzato, che avevo da giovane. Ma avrebbe potuto scegliere chiunque…» (Jannacci). «In quest’ultimo, la Vitti confermava le sue capacità comiche già speri­mentate, mentre il protagonista maschile, Enzo Jannacci, era al suo debutto cinematografico, e con lui ho faticato molto perché egli è uno spirito talmente libero, bizzarro, straordinario, che non è inqua­drabile nel personaggio di un film» (Monicelli).

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