Gino Sensani e larte del costume
21 Marzo 2018 - 23 Marzo 2018
«Gino Carlo Sensani nasce a S. Casciano dei Bagni (Siena) il 26 novembre 1888 e, rimasto orfano di entrambi i genitori, studia in collegio prima a Perugia, poi a Firenze finché, raggiunta la maggiore età, comincia a viaggiare e frequentare ripetutamente Parigi dove può coltivare i propri interessi artistici in tema di pittura, disegno, grafica, moda. Nel 1911 rientra a Firenze, dove si stabilisce e, l’anno dopo, tiene la sua prima esposizione personale, alla quale segue un ulteriore soggiorno parigino. Nel periodo tra il 1913 e il 1915 partecipa alle più importanti esposizioni internazionali a Monaco, Parigi, Budapest, Stoccolma, Venezia, Roma, e nel 1914 fa il suo esordio come costumista teatrale. Illustra copertine e pagine di riviste di moda, realizza costumi per tableaux vivants e spettacoli teatrali e, parallelamente, continua il suo lavoro pittorico e grafico. Nel 1932, grazie ad Emilio Cecchi, direttore della Cines, Sensani inizia la sua carriera di costumista cinematografico. Nel 1935 viene chiamato da Blasetti al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove inaugura la Cattedra di Storia del Costume, che terrà fino alla sua morte. La sua intensa attività didattica si svolge contemporaneamente alla copiosa opera di costumista e spesso scenografo, attività che lo vedono impegnato in ben 86 film, tra cui si annoverano i più importanti dell’epoca. Finché il 14 dicembre 1947 a Roma, mentre ultima i bozzetti per Faust, la malattia al cuore che lo ha colpito da qualche anno, anche a seguito della perdita della sua amata casa sul Ponte Vecchio a Firenze, perduta sotto i bombardamenti, pone fine alla sua breve, ma intensa e attivissima, vita. L’impostazione che Sensani ha dato al lavoro di costumista è assolutamente rigorosa e innovativa, poiché, da uomo di eccezionale gusto e cultura, egli trasporta sullo schermo il bozzetto ideato per il personaggio dopo una accurata analisi e ricostruzione letteraria, pittorica, storiografica volta a interpretare lo spirito del tempo sul quale il film è imbastito e nel quale gli attori si muoveranno» (Anna Noli).
Rassegna a cura di Arianna Ninchi e Anna Noli
mercoledì 21
ore 17.30 Cavalleria rusticana di Amleto Palermi (1939, 80′)
«Dalla notissima opera letteraria di Giovanni Verga. In un villaggio catanese ritorna, dopo alcuni anni passati in servizio militare, il giovane Turiddu. Egli trova che Lola, un tempo da lui corteggiata, si è sposata con Alfio, un benestante carrettiere del luogo. Il giovane non vuole darsi pace anche perché, nonostante il suo nuovo stato, la donna riprende ad adescarlo. Turiddu amoreggia intanto con Santuzza, figlia di un ricco agricoltore presso il quale egli si impiega. Nonostante l’affetto che la fanciulla gli dimostra egli non esita, benché abbia approfittato di lei, a cedere alle lusinghe di Lola. Il giorno di Pasqua Santuzza, ormai certa di essere abbandonata, informa il marito di Lola della tresca» (cinematografo.it).
ore 19.00 Un’avventura di Salvator Rosa diAlessandro Blasetti (1940, 97′)
Napoli. La rivolta di Masaniello è fallita. Il peso della dominazione spagnola diventa ogni giorno più insopportabile. Il pittore Salvatore Rosa, conosciuto e ammirato dagli spagnoli, ha anche un’altra identità, quella di Formica, sorta di Robin Hood che si batte in favore degli oppressi e trama contro i potenti. «Un’avventura di Salvator Rosa è prodotto e distribuito nella stagione cinematografica 1939-40, quella in cui si cominciano a sentire gli effetti del R.D.L. 4 settembre 1938 n. 1398, sul “monopolio per l’acquisto, l’importazione e la distribuzione in Italia, possedimenti e colonie, dei film cinematografici provenienti dall’estero”. […] Tuttavia, all’epoca, fu soprattutto il film di Blasetti a godere di consensi. Isani […] lo definì addirittura “il miglior film italiano prodotto dal 1930 in poi”» (Gori).
ore 20.45 Incontro con Arianni Ninchi e Anna Noli
a seguire La corona di ferro diAlessandro Blasetti (1941, 109′)
«Il film avrà un largo successo presso il candido pubblico delle sale di tutto il mondo. Tutto questo avviluppato in una fosforescente rete wagneriana. E ombre di significazioni morali e metafisiche, ribellioni di masse dietro l’aspirazione a una generica libertà, che non manca mai in questo genere d’invenzioni. C’è un sapore misto di sangue e di sospiri e alla fine una pace fatta più di stanchezza che di raggiunta purità. In mezzo a tale piena di romanticismo forestuoso, il pio pellegrinaggio partito da Bisanzio per portare in dono al Sommo Pontefice la corona di ferro è quasi sempre dimenticato e sommerso: quando la Sacra corona riappare nel franamento che apre una voragine fra i due popoli della Montagna e del Mare […] quella corona ci si presenta come certi improvvisi e inutili ricordi d’un particolare isolato della lontana infanzia. Più che una fiaba, hai qui un’officina della Fiaba» (Bontempelli).
giovedì 22
ore 16.30 Piccolo mondo antico di Mario Soldati (1941, 107′)
«Nella Lombardia austriaca, Franco (Serato) sposa la figlia (Valli) di un modesto funzionario senza il consenso della nonna aristocratica (Dondini): inizia una persecuzione familiare che si concluderà solo dopo la morte della piccola Ombretta, figlia della sfortunata coppia. È uno dei risultati migliori della cosiddetta tendenza calligrafica, che reagì al clima fascista rivolgendosi alla letteratura nazionale ottocentesca ed esplorando con attenzione le possibilità formali del mezzo cinematografico. […] In perfetta sintonia con l’idea di “realismo storico” propugnata dal regista, si muovono gli operatori Montuori e Gallea, ai quali va il merito delle splendide riprese in esterni (il paesaggio lombardo avvolto nella nebbia e immerso in luci sfumate, in cui giocano un ruolo fondamentale le evanescenti superficie acquatiche)» (Mereghetti).
ore 18.30 I promessi sposi di Mario Camerini (1941, 116′)
«La vicenda ha inizio con l’intimazione a Don Abbondio di non celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Di qui comincia la lunga serie di sventure che si accaniscono contro i due giovani promessi sposi. Dalla cerimonia del matrimonio bruscamente interrotto alla fuga dal paesello; dalla separazione di Renzo al suo faticoso cammino per le strade di Lombardia; dal rifugio di Monza al rapimento di Lucia compiuto dagli uomini dell’Innominato; dalla notte angosciosa passata da lei al castello, alla conversione dell’Innominato; dalle scene della rivolta a quelle del lazzaretto dove infine i due giovani si ritrovano e, dopo la benedizione di Padre Cristoforo, saranno finalmente uniti nel sacramento» (cinematografo.it).
ore 20.30 Via delle Cinque Lune di Luigi Chiarini (1942, 80′)
Il film d’esordio di Chiarini, tratto da un racconto di Matilde Serao, è ambientato nella Roma ottocentesca, tra vicoli e piazzette vicino Piazza Navona. Sora Teta è una donna forte e cinica che si arricchisce prestando denaro alla povera gente. Osteggia l’amore della figlia per un giovane, che poi seduce facendone il suo amante. «Qui vi è prima di tutto, la preoccupazione di comporre un racconto visivo, di parlare allo spettatore attraverso le immagini, di annodare personaggi e particolarità, episodi e contrasti, […] poi vi è il gusto del nostro realismo più schietto, cantante e ironico, semplice e commosso nel dramma» (Palmieri).
venerdì 23
ore 17.00 Eugenia Grandet di Mario Soldati (1946, 112′)
Il film tralascia la parte finale del romanzo – il matrimonio non consumato di Eugenia e la sua consacrazione a opere di beneficenza – per porre l’accento sull’aspetto, certo più intrigante, del salvataggio dalla bancarotta, da parte di Eugenia, del cugino Charles. Nastro d’argento ad Alida Valli quale migliore attrice.
ore 19.00 Il delitto di Giovanni Episcopo di Alberto Lattuada (1947, 92′)
«Il protagonista, che narra di sé in prima persona, è un impiegato dell’Archivio di Stato, un tipo dostoevskiano di “umiliato e offeso”, succube di un uomo prepotente e sanguigno, un certo Wanzer che vive di espedienti e di cui egli ha sposato l’amante Ginevra. A Ginevra lo lega una sensualità avvilente e miserabile, avendo per unico bene lo struggente amore per il figlio Ciro, decenne» (Cosulich).
ore 20.45 Cuore di Duilio Coletti (1947, 105′)
«La maestrina dalla penna rossa, racconta ad un suo allievo della seconda classe elementare, ormai nonno, gli episodi della sua vita alla quale è intrecciata quella del maestro Perboni, suo fidanzato, caduto in Africa nella guerra contro Re Menelik. Nella figura di Perboni, socialista, che per dovere civico va a combattere e a morire per una causa che ritiene ingiusta, è sintetizzata tutta una generazione. Nella vita scolastica di questi insegnanti si inseriscono episodi e figure di quel piccolo mondo, che Edmondo De Amicis ha descritto in pagine indimenticabili, cui s’aggiungono i casi narrati nel racconto mensile “La vedetta lombarda”. Dalla scuola il quadro si allarga a rappresentare, in sintesi, tutta la vita italiana della fine dell’Ottocento, con le sue lotte politiche, i baldi bersaglieri, la modesta vita sociale della borghesia, la modesta attrezzatura urbana» (cinematografo.it).