I tarantinati
08 Gennaio 2013 - 13 Gennaio 2013
In concomitanza con l’uscita nelle sale dell’ultimo film di Quentin Tarantino, Django Unchained, omaggio al celebre Django di Sergio Corbucci, la Cineteca Nazionale presenta una rassegna di film e registi che hanno contribuito a formare l’immaginario tarantiniano, passando attraverso vari generi, dallo spaghetti-western al poliziesco, dal peplum al thriller. Un breve viaggio nel cinema d’azione italiano, quando eravamo maestri del ritmo cinematografico e nulla avevamo da invidiare ai registi hollywoodiani. Molti di questi autori sono scomparsi senza poter godere di una tardiva riscoperta, altri continuano a inseguire progetti e sogni cinematografici, in nome di un passato che sembra aver lasciato tracce vitali solo oltreoceano.
Questa rassegna offre l’occasione per riflettere sulla vitalità dei generi all’interno dell’industria cinematografica e sull’estrema professionalità di registi capaci di muoversi tra il Far West e le metropoli, a loro agio in qualsiasi contesto narrativo e produttivo. Una scuola che sembra essersi esaurita, senza eredi, se non lo stesso Tarantino, ma pronta a riemergere, in ogni momento, dalla polvere dell’oblio.
martedì 8
ore 17.00
Il grande duello (1972)
Regia: Giancarlo Santi; soggetto e sceneggiatura: Ernesto Gastaldi; fotografia: Mario Vulpiani; scenografia: Francesco D’Andria; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Sergio Bardotti; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Lee Van Cleef, Peter O’Brien, Marc Mazza, Jess Hahn, Dominique Darel, Horst Frank; origine: Italia/ Austria/Francia; produzione: Mount Street Film, Corona Filmproduktion, S.N.C. – Société Nouvelle de Cinématographie; durata: 110′
«Giancarlo Santi ed il suo unico western e il suo unico film ad aver avuto un minimo di visibilità. Sfortunato Santi, lui che è stato aiuto di Ferreri, Petroni e Leone. Lui che era sui set de La donna scimmia, Controsesso, Da uomo a uomo, Il Buono, IlBrutto e il Cattivo e C’era una volta il West. Chissà quante scene mitiche ha girato di mano sua. Era naturale che il suo primo (e purtroppo ultimo) western (anche se Giù la testa doveva girarlo lui inizialmente) avesse come protagonista Lee Van Cleef, con cui aveva già avuto a che fare e che faceva scadere il suo contratto italiano proprio con questo film. L’inizio del film è strepitoso, con Van Cleef che fa terra bruciata intorno a sé. Lui è Clayton, lo sceriffo alla caccia di Philip, Peter O’Brien (il futuro giornalista Alberto Dentice) accusato dai fratelli Saxon vogliono la sua impiccagione. Il film cerca dei risvolti quasi investigativi per dare spessore alla trama con uno stile che però è mutuato direttamente da quello di Leone. […] Le musiche di Bacalov ,assolutamente avvolgenti,diverranno famose per essere state usate da Tarantino nella sequenza animata della storia di Oren-ishi in Kill Bill Vol.1. Sicuramente Santi avrebbe potuto dare di più al genere se avesse potuto» (Gianluigi Perrone).
ore 19.00
Ehi amico… c’è Sabata, hai chiuso! (1969)
Regia: Frank Kramer [Gianfranco Parolini]; soggetto e sceneggiatura: G. Parolini, Renato Izzo; fotografia: Sandro Mancori; scenografia e costumi: Carlo Simi; musica: Marcello Giombini; montaggio: Edmondo Lozzi; interpreti: Lee Van Cleef, William Berger, Pedro Sanchez [Ignazio Spalla], Nick Jordan [Aldo Canti], Linda Veras, Franco Ressel; origine: Italia; produzione: P.E.A.; durata: 105′
«Il dopo Sartana di Parolini si chiama Sabata, ma anche Lee Van Cleef e, soprattutto, Alberto Grimaldi. […] Per Sandro Mancori, direttore della fotografia abituale di Parolini, il film era bellissimo. “Grimaldi prese Parolini dopo aver visto il suo Sartana. Gianfranco è un po’ il rovescio della medaglia di Sergio Leone. Lui riesce con l’intelligenza a rovesciare le situazioni più violente. Io con Grimaldi avevo fatto l’operatore in una serie di piccoli western con Robert Hundar. Ormai aveva fatto i soldi con i film di Leone”. Grandi i titoli di testa, che scorrono mentre entra in scena Sabata e si accende un sigaro. Il titolo del film è scritto e recitato, come se fosse un video, mentre per la regia leggiamo: “È un film di Frank Kramer”, con il nome di Frank Kramer scritto in rosso. Tutto il film è pieno di continue trovate, di regia, di fotografia, di montaggio, di musica, che sottolineano le invenzioni del regista» (Giusti).
ore 21.00
Navajo Joe (1966)
Regia: Sergio Corbucci; soggetto: Ugo Pirro; sceneggiatura: Dean Craig (Piero Regnoli), Fernando Di Leo; fotografia: Silvano Ippoliti; scenografia: Aurelio Crugnola; costumi: Marcella De Marchis; musica: Leo Nichols (Ennio Morricone); montaggio: Alberto Gallitti; interpreti: Burt Reynolds, Aldo Sambrell, Nicoletta Machiavelli, Fernando Rey, Franca Polesello, Tanya Lopert, Peter Cross (Pierre Cressoy); origine: Italia/Spagna; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, C. B. Film; durata: 93′
Uno dei rarissimi film western italiani che si occupa degli indiani d’America, narra le gesta dell’indiano Navajo Joe, che aiutato solo dalle ragazze di un saloon, fronteggia un’intera banda di criminali. Questi, guidati dai fratelli Jeffrey e Duncan, sono uomini senza scrupolo, dediti a violenze e efferatezze di ogni genere sia contro gli indiani che contro i bianchi.
mercoledì 9
ore 17.00
Maciste all’inferno (1962)
Regia: Riccardo Freda; soggetto: Eddy H. Given [Ennio De Concini]; sceneggiatura: Oreste Biancoli, Piero Pierotti; fotografia: Riccardo Pallottini; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Luciano Spadoni; musica: Carlo Franci; montaggio: Ornella Micheli; interpreti: Kirk Morris [Adriano Bellini], Hélène Chanel, Angela Zanolli, Andrea Bosic, Donatella Mauro, Vira Silenti; origine: Italia; produzione: Panda Cinematografica; durata: 92′
Nella Scozia del XVII secolo Martha Gunt prende possesso del castello della sua famiglia, ma una maledizione di una sua antenata, condannata al rogo per stregoneria, grava sul paese e anche su di lei, perché nessuna la vede di buon occhio. Rischia di fare la stessa fine, ma interviene Maciste, che si reca negli inferi per salvarla. «Nel suo libero ricorso a un leggendario che si muove nel tempo e nello spazio con una eclettica agilità, è esemplare che il Maciste di Maciste all’inferno diventi in qualche modo anch’egli, imprevedibilmente, una sorta di eroe nordico, la cui impresa parte da una Scozia di streghe e paure e scende nelle profondità della terra e dei miti» (Fofi).
ore 19.00
Vai gorilla (1975)
Regia: Tonino Valerii; soggetto e sceneggiatura: Dino Maiuri, Massimo De Rita; fotografia: Mario Vulpiani; scenografia: Umberto Turco; costumi: Luca Sabatelli; musica: Franco Bixio, Fabio Frizzi, Vince Tempera; montaggio: Antonio Siciliano; interpreti: Fabio Testi, Renzo Palmer, Claudia Marsani, Al Lettieri, Saverio Marconi, Adriano Amidei Migliano; origine: Italia; produzione: Capital Film; durata: 100′
La guardia del corpo Marco Sartori (Fabio Testi) viene assunto come guardia del corpo per difendere l’imprenditore edile Sampioni (un indimenticabile Renzo Palmer) dalle minacce di un gruppo di rapitori violenti e senza scrupoli. Ottimo esempio di action movie che preannuncia per temi e per atmosfere a Il grande racket (1976) di Enzo G. Castellari e a I padroni della città (1976) di Fernando Di Leo. Per Mereghetti: «Truce e tagliato con l’accetta, ma meno cretino ed efferato di tanti prodotti analoghi».
ore 21.00
Roma come Chicago (Banditi a Roma) (1968)
Regia: Alberto De Martino; soggetto: Giacinto Ciaccio, Massimo D’Avack, Carlo Romano; sceneggiatura: G. Ciaccio, M. D’Avack, C. Romano, Dino Maiuri, Massimo De Rita, A. De Martino, Fabio Carpi, Lianella Carell, Piero Tellini; fotografia: Aldo Tonti; scenografia: Nedo Azzini; costumi: Piero Gherardi, Elio Micheli; musica: Ennio Morricone, Bruno Nicolai; montaggio: Otello Colangeli; interpreti: John Cassavetes, Gabriele Ferzetti, Anita Sanders, Nikos Kourkoulos, Riccardo Cucciolla, Luigi Pistilli; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 104′
«Cultissimo spaghetti-noir con John Cassavetes protagonista. […] Qui siamo proprio nel gangster basso, scalcinata replica di Alberto De Martino al Banditi a Milano di Carlo Lizzani. Un mazzo di sceneggiatori folle che va da dal vecchio Piero Tellini al doppiatore Carlo Romano. Cassavetes evade di prigione per vendicarsi dello stupro e della morte della moglie, Anita Sanders. […] Visto oggi ha una fotografia (di Aldo Tonti) e un’ambientazione strepitose, qualcosa di pre-tarantiniano, di Hollywood alle prese con il nostro cinema delle pratiche basse. Fantastico. Uscito in Francia come Rome comme Chicago. Frase di lancio: “Vi farà rivivere le terrificanti e drammatiche gesta di una banda di fuorilegge che seminò la morte per le strade di Roma”» (Giusti).
giovedì 10
ore 17.00
Città violenta (1970)
Regia: Sergio Sollima; soggetto: Dino Maiuri, Massimo De Rita; sceneggiatura: Sauro Scavolini, Gianfranco Calligarich, Lina Wertmüller, S. Sollima; fotografia: Aldo Tonti; scenografia: Francesco Bronzi; musica: Ennio Morricone; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Charles Bronson, Jill Ireland, Telly Savalas, Michel Constantin, Umberto Orsini, George “Demostene” Savalas; origine: Italia/Francia; produzione: Fono Roma, Unidis, Universal Productions France; durata: 109′
«Jeff Heston è un killer che, a causa del tradimento della sua donna, Vanessa, finisce in carcere. Uscito, dopo essersi vendicato di un uomo che tentò di ucciderlo, scopre che Vanessa vive con un boss della malavita, il quale, avendo prove dell’assassinio di cui è stato responsabile, lo riscatta per averlo nella sua banda. Vanessa trama contro Jeff: lo costringe ad uccidere il boss e poi lo denuncia» (Poppi/Pecorari). «Provo una grande stima per questi registi italiani cancellati, sconosciuti ai cinefili, ma dotati di savoir-faire, d’abilità e spesso anche di talento […]. Qualcuno a volte “sfonda il soffitto” e appare nei titoli delle riviste di cinema […]. Sergio Sollima è uno di questi. Dalle prime immagini è già dato il tono: aggressività, mestiere, interpreti noti, rigore […] montaggio nervoso, violenza e lirismo […]. È pertanto gradevole lasciarsi trascinare da una successione ininterrotta di tempi forti, una girandola di movimenti, un crescendo lirico d’immagini battenti. Viva stato, lo ricordiamo ai giovanissimi, un grande operatore)» (www.anica.it). «Mario Bava ricorre all’estetica del fumetto per dirigere una variazione sullo schema dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. E si diverte a mettere alla berlina l’egoismo umano, trattando i suoi personaggi come topi in trappola» (Mereghetti).
ore 19.00
Il dolce corpo di Deborah (1968)
Regia: Romolo Guerrieri; soggetto: Luciano Martino, Ernesto Gastaldi; sceneggiatura: E. Gastaldi; fotografia: Marcello Masciocchi; scenografia: Amedeo Fago; costumi: Gaia Romanini; musica: Nora Orlandi; montaggio: Eugenio Alabiso; interpreti: Carroll Baker, Jean Sorel, George Hilton, Evelyn Stewart, Luigi Pistilli, Michel Bardinet; origine: Italia/Francia; produzione: Zenith Flora, Lux C.C.F.; durata: 95′
Marcel, appena sposato con Deborah, è sempre ossessionato dal suicidio della sua ex fiamma. A complicare il tutto, c’è qualcuno che perseguita la giovane coppia di sposini. «Avvincente e ben condotto, Il dolce corpo di Deborah presenta anche qualche buon momento di suspense grazie all’uso intelligente di un refrain di musica classica usato ossessivamente come preludio alle apparizioni del finto spettro. La frase con cui si conclude il film, pronunciata da Carroll Baker, «Non si è mai ricchi abbastanza», condensa in sé tutto il cinismo dei personaggi di questi film che si muovono in ambienti ultralussuosi, ma per i quali una prospettiva di ulteriore arricchimento è già movente sufficiente a giustificare i più efferati delitti» (Bruschini-Tentori).
ore 21.00
Incontro moderato da Marco Giusti con Enzo G. Castellari, Alberto De Martino, Ruggero Deodato, Roberto Girometti, Romolo Guerrieri, Gianfranco Parolini, Franco Rossetti, Giancarlo Santi, Tonino Valerii
a seguire
El Desperado (1967)
Regia: Franco Rossetti; soggetto: Ugo Guerra, F. Rossetti; sceneggiatura: U. Guerra, F. Rossetti, Vincenzo Cerami; fotografia: Angelo Filippini; scenografia: Giorgio Giovannini; costumi: Gaia Romanini; musica: Gianni Ferrio; montaggio: Antonietta Zita; interpreti: Andrea Giordana, Rosemary Dexter, Dana Ghia, Franco Giornelli, Aldo Berti, Giovanni Petrucci; origine: Italia; produzione: Elio Scardamaglia, Daiano Film; durata: 92′
Film amatissimo da Tarantino, diretto dallo sceneggiatore di Django Franco Rossetti, ex allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia, e interpretato dall’astro nascente Andrea Giordana, reduce dal successo televisivo de Il conte di Montecristo. «Nell’immensità del West un uomo contro tutti. Atroci violenze e inaudite maledizioni pesano su una terra e su una gente» (frase di lancio). Western barocco, girato in Almeria e alle Cave della Magliana, che riprende da Django l’idea dell’eroe ricoperto di fango («Alzandosi dalla poltrona è meglio controllare che qualche schizzo non sia finito anche sul nostro vestito», «Film mese»).
Ingresso gratuito
venerdì 11
ore 17.00
5 bambole per la luna d’agosto (1970)
Regia: Mario Bava; soggetto e sceneggiatura: Mario Di Nardo; fotografia: Antonio Rinaldi; scenografia e costumi: Giulia Mafai; musica: Piero Umiliani; montaggio: M. Bava; interpreti: William Berger, Ira Fürstenberg, Edwige Fenech, Howard Ross, Hélène Ronée, Teodoro Corrà; origine: Italia; produzione: P.A.C. – Produzioni Atlas Cinematografica; durata: 87′
«Maestro del film dell’orrore, Mario Bava torna dopo un’assenza, lunghissima per gli appassionati del genere, con una vicenda che non ha nulla da invidiare ai film precedenti. Pochissime persone in un’isola deserta, e morti misteriose una dopo l’altra, come le ciliege, in un’atmosfera ricca d’incubo che ricorda quella dei “piccoli indiani” della Christie. Ma qui ci sarà anche un risvolto finale […]. Un film, insomma, che soddisfa in pieno gli amanti delle forti emozioni, e si fa apprezzare anche per effetti formali (il regista è stato, lo ricordiamo ai giovanissimi, un grande operatore)» (www.anica.it). «Mario Bava ricorre all’estetica del fumetto per dirigere una variazione sullo schema dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. E si diverte a mettere alla berlina l’egoismo umano, trattando i suoi personaggi come topi in trappola» (Mereghetti).
ore 19.00
Non si sevizia un paperino (1972)
Regia: Lucio Fulci; soggetto: L. Fulci, Roberto Gianviti; sceneggiatura: L. Fulci, R. Gianviti, Gianfranco Clerici; fotografia: Sergio D’Offizi; scenografia: Pier Luigi Basile; costumi: Marisa Crimi; musica: Riz Ortolani; montaggio: Ornella Micheli; interpreti: Tomas Milian, Irene Papas, Barbara Bouchet, Florinda Bolkan, Georges Wilson, Marc Porel; origine: Italia; produzione: Medusa Distribuzione; durata: 105′
«In un piccolo paese del profondo Sud d’Italia regna il terrore. Nel giro di pochi giorni sono stati compiuti alcuni omicidi, tutti eseguiti con la medesima tecnica, tutti di carattere primordiale, crudeli. E tutti apparentemente inspiegabili, ingiustificati. I sospetti si accentrano di volta in volta sull’uno o l’altro personaggio, una rete di accuse, di diffidenze, di timori, di rancori si va stendendo su tutto il paese: l’intera comunità è sotto accusa. Ognuno guarda al suo vicino come al possibile assassino, ma al tempo stesso l’inchiesta giudiziaria urta contro il muro invalicabile dell’omertà e s’impiglia nella rete degli interessi personali» (www.anica.it). «Un film importante per la genesi del thriller italiano, in cui Fulci dimostra di conoscere perfettamente i meccanismi della paura; con in più il merito di discostarsi dai canovacci del cinema alla Argento, all’epoca già inflazionati, puntando invece sull’ambientazione insolita (con gli omicidi compiuti alla luce del sole) e su un’atmosfera morbosa tra sacro e peccato originale. Memorabile la barbara esecuzione della Bolkan sulle dolci note di Quei giorni insieme a te, cantata da Ornella Vanoni. Il film ebbe problemi con la censura (per la scena in cui la Bouchet si mostra nuda a un bimbo, in realtà un nano maggiorenne) e venne duramente attaccato dai cattolici. È arduo vederlo integrale in tv» (Mereghetti).
ore 21.00
Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972)
Regia: Sergio Martino; soggetto: dal racconto Il gatto nero di Edgar Allan Poe; sceneggiatura: Luciano Martino, Ernesto Gastaldi, Adriano Bolzoni, Sauro Scavolini; fotografia: Gianfranco Ferrando; scenografia e costumi: Riccardo Domenici; musica: Bruno Nicolai; montaggio: Attilio Vincioni; interpreti: Edwige Fenech, Anita Strindberg, Luigi Pistilli, Ivan Rassimov, Angela La Vorgna, Enrica Bonaccorti; origine: Italia; produzione: Lea Film; durata: 96′
In una cittadina veneta accadono misteriosi omicidi. Viene accusato dei misfatti il decadente scrittore Olivier Ruevigny, ma la sua morte rimette tutto in gioco. «Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave è probabilmente uno dei più fedeli adattamenti del racconto di Poe per lo schermo. Nonostante le varie contaminazioni, che vanno dal thriller stile Argento alle incursioni nell’erotico, il film di Martino mantiene sempre ben presente il senso del racconto di Poe, pur con le evidenti trasformazioni. L’atmosfera è a metà strada tra il gotico-decadente e il thriller, tra l’horror italiano degli anni Sessanta e gli incubi creati da Poe» (Bruschini-Tentori).
sabato 12
ore 17.00
La belva col mitra (1977)
Regia: Sergio Grieco; soggetto e sceneggiatura: S. Grieco; dialoghi: Enzo Milioni; fotografia: Vittorio Bernini; scenografia: Lucia Terzuolo; costumi: Patricia Merluzzi; musica: Umberto Smaila; montaggio: Francesco Bertuccioli, Adalberto Ceccarelli; interpreti: Helmut Berger, Marisa Mell, Richard Harrison, Vittorio Duse, Marina Giordana, Nello Pazzafini; origine: Italia; produzione: Supercine; durata: 99′
«Poliziesco poco conosciuto, diretto da Sergio Grieco alla sua penultima fatica, con un Helmut Berger nel ruolo di un bandito pazzo e feroce (Turatello?), era rimasto dimenticato dai più se Quentin Tarantino non lo avesse dichiarato uno dei suoi film preferiti di ogni tempo e non lo avesse inserito, con tanto di musica di Umberto Smaila e faccioni di Berger e di Nello Pazzafini, in primo piano nel suo Jackie Brown. […] Eccessivo, con stupri, omicidi e rapine, vede il perfido Berger affrontare tranelli e doppi giochi dei suoi e della polizia» (Giusti). «Il povero Visconti non ne sarebbe contento, ma Helmut Berger, protagonista di alcuni dei suoi ultimi lavori, anche riciclato nel poliziesco all’italiana, tutto morti, stupri, sangue, pallottole e cazzotti, sa cavarsela da attore di classe. Merito anche della sua grinta perversa e di quello sguardo intenso ai confini della dissociazione che in questa parte di feroce criminale lo soccorre parecchio» (M. G., «Il Resto del Carlino»).
ore 19.00
Un tipo con una faccia strana ti cerca per ucciderti (1973)
Regia: Tulio Demicheli; soggetto e sceneggiatura: Mario Di Nardo, Sebastiano Moncada, José G. Maesso; fotografia: Francisco Fraile; Nando De Luca; montaggio: Angel Serrano; interpreti: Christopher Mitchum, Barbara Bouchet, Malisa Longo, Eduardo Fajardo, Paola Senatore, Arthur Kennedy; origine: Italia/Spagna; produzione: B.R.C. Produzioni, Tecisa Film; durata: 83′
Un noir d’altri tempi, pienamente calato nel paesaggio livido di una Torino anni Settanta, che parte come un melò introverso e si trasforma quasi subito in un revenge-movie duro e cupo, violentissimo, che non risparmia colpi bassi a nessuno. Chris Mitchum, figlio di Robert, è un personaggio amletico fin nello sguardo impassibile, incerto se consumare la sua vendetta contro chi gli ha ammazzato il padre o rifarsi una vita e lasciar perdere tutto. Nel mezzo, due bellissime del cinema italiano come Malisa Longo e Barbara Bouchet, qui alle prese con due personaggi finemente scritti e altrettanto bene interpretati. Tra i film italiani più amati da Tarantino, che lo saccheggia a più riprese nel corso della sua opera, di questa pellicola di Demicheli, paradossalmente, proprio nel nostro paese si erano perse le tracce dai tempi della sua uscita in sala.
ore 21.00
I padroni della città (1976)
Regia: Fernando Di Leo; soggetto: F. Di Leo; sceneggiatura: Peter Berling, F. Di Leo; fotografia: Erico Menczer; scenografia: Francesco Cuppini; costumi: Giulia Mafai; musica: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Amedeo Giomini; interpreti: Jack Palance, Al Cliver, Harry Baer, Vittorio Caprioli, Edmund Purdom, Gisela Hahn; origine: Italia/Germania; produzione: Cineproduzioni Daunia ’70, Seven Star Film; durata: 95′
«Durante la mia adolescenza lavoravo come commesso in un video-store di Santa Monica ed è stata significativa per la mia professione una delle prime cassette che ho visto: I padroni della città. Non sapevo che il film fosse italiano e neanche avevo mai sentito il nome di Fernando Di Leo: ricordo soltanto che dopo quella visione rimasi totalmente folgorato… Di Leo aveva realizzato fra le strade di Roma una storia di gangster che avrebbe potuto benissimo essere stata girata da Don Siegel: c’era la stessa grinta nella regia, la stessa secchezza dei grandi noir americani. E Jack Palance, poi, era semplicemente grandioso nella parte dello sfregiato». Parola di Quentin Tarantino.
domenica 13
ore 17.00
Quel maledetto treno blindato (1978)
Regia: Enzo G. Castellari [Enzo Girolami]; soggetto e sceneggiatura: Sandro Continenza, Sergio Grieco, Romano Migliorini, Laura Toscano, Franco Marotta; fotografia: Giovanni Bergamini; musica: Francesco De Masi; montaggio: Gianfranco Amicucci; interpreti: Bo Svenson, Ian Bannen, Peter Hooten, Fred Williamson, Michel Pergolani, Jackie Basehart; origine: Italia; produzione: Films Concorde; durata: 99′
Francia, 1944. Cinque soldati americani, in attesa di giudizio, riescono a fuggire durante un bombardamento. Tentano di mettersi in salvo scappando in Svizzera, ma durante il viaggio si renderanno protagonisti di un’azione eroica. «Gli echi più evidenti sono quelli di Quella sporca dozzina di Aldrich, ma il film trasuda un po’ più di latina, anzi romanesca, simpatia» (Spiga). Oggetto di culto per Quentin Tarantino, fonte di ispirazione per il suo ultimo film Inglourious Basterds, è uno dei rari (e sfortunati) film di guerra del cinema italiano anni Settanta. Castellari mischia con ironia le carte, sovvertendo il concetto di eroe, caro al cinema americano, per una visione più disincantata della Storia e dei suoi, spesso inconsapevoli, protagonisti. La stessa filosofia di Tarantino: «I miei personaggi non [sono] i soliti eroi stereotipati, ma uomini comuni catapultati in uno sporco affare durante la seconda guerra mondiale». «L’abbiamo visto insieme a Venezia e Quentin mi sussurrava: “Questo come l’hai girato?”. Per Pergolani rideva sempre, soprattutto quando ruba la motocicletta» (Castellari).
ore 19.00
Uomini si nasce poliziotti si muore (1976)
Regia: Ruggero Deodato; soggetto: Fernando Di Leo, Alberto Marras, Vincenzo Salvioni; sceneggiatura: F. Di Leo; fotografia: Guglielmo Mancori; scenografia: Franco Bottari; costumi: Giovanna Deodato; musica: Ubaldo Continiello; montaggio: Gianfranco Simoncelli; interpreti: Marc Porel, Ray Lovelock, Adolfo Celi, Franco Citti, Renato Salvatori, Silvia Dionisio; origine: Italia; produzione: C.P.C. Città di Milano, T.D.L. Cinematografica; durata: 100′
Uomini si nasce, poliziotti si muore è considerato fra i più violenti e anticonvenzionali polizieschi degli anni Settanta. Il merito è da addebitare da una parte al regista Ruggero Deodato e dall’altra alla sceneggiatura scritta da Fernando Di Leo. Risulta inedita la definizione psicologica e comportamentale dei due poliziotti protagonisti, appartenenti a una brigata anticrimine che ha completa libertà d’azione nella lotta contro la delinquenza: Alfredo e Antonio non esitano ad ammazzare a sangue freddo i criminali, mantenendo anche nelle situazioni più trucide un atteggiamento cinico e scanzonato.
ore 21.00
Milano odia: la polizia non può sparare (1974)
Regia: Umberto Lenzi; soggetto e sceneggiatura: Ernesto Gastaldi; fotografia: Ernesto Gastaldi; scenografia: Giorgio Bertolini; costumi: Renato Ventura; musica: Ennio Morricone; montaggio: Eugenio Alabiso; interpreti: Tomas Milian, Henry Silva, Laura Belli, Gino Santercole, Mario Piave, Ray Lovelock; origine: Italia; produzione: Dania Film; durata: 97′
«Sulla carta, Giulio Sacchi – capello lungo, occhiali scuri e tic assortiti – è un incrocio tra l’Andrew Robinson di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! e il Tony Musante di New York ore 3: l’ora dei vigliacchi, ma nelle mani dell’attore cubano diventa qualcosa di più: l’impersonificazione di un furore ancestrale e assoluto, un outsider destabilizzante che calpesta le regole del vivere civile. È per questo che Giulio Sacchi fa paura e ribrezzo: non (solo) perché uccide senza distinzione vecchi e giovani, donne e bambini, ma per l’impudenza con cui si fa beffe delle vittime, anche dopo la morte, come se fosse l’insulto, e non il piombo, a dar loro il colpo di grazia. Come tanti altri, è deciso a prendersi con la forza una parte di quel benessere da cui si sente escluso. […] A dispetto degli strali della critica, che tira al bersaglio sul film e sullo stesso Milian, Milano odia: la polizia non può sparare è un film solido, capace di filtrare gli umori del periodo in un racconto cinematografico gagliardo e di creare personaggi che si imprimono nella memoria. […]. Rispetto alle atmosfere del precedente Milano rovente, Lenzi adotta un tono più aspro, senza alcuna tentazione crepuscolare. […] Milano odia: la polizia non può sparare è […] un nero metropolitano, che aggiorna, il modello della “belva umana” in un contesto sociale credibile» (Curti).