Il cinema (delle origini) è femmina: Janet Gaynor
03 Marzo 2013 - 03 Marzo 2013
«Pensavamo di titolare questa rassegna di cinema muto accompagnato dal vivo con Il cinema è donna, ma nel rifletterci più appassionatamente abbiamo deciso per femmina che ci è suonato più autorevole ma non retorico, più impetuoso ma non enfatico, più seducente ma non provocante. Qualcuno ha detto che la donna è come la Natura, generosissima ma spietata, e prendendo per buona questa definizione, seppur estrema, abbiamo compilato il programma includendo non solo dive ma anche registe e autrici. Perché affermiamo che Il cinema è femmina? Sebbene rispondere a una domanda con un’altra domanda cozzi violentemente contro la buona creanza, ci concediamo uno scampolo d’insolenza replicando: “Cosa vagheggeresti se anziché spiegarti il perché e il percome nominassimo semplicemente Francesca Bertini? Greta Garbo? Louise Brooks? Pina Menichelli? Mary Pickford? Leda Gys? Quali e quanti cassetti della tua memoria e della tua anima si spalancherebbero rovesciando cascate di emozioni e di immagini?”. Il cinema come arte prenderebbe immediatamente corpo nel tuo immaginario al di là di tutte le chiacchiere, troverebbe istantaneamente nitida connotazione, schiettissima identità fino alla tanto paradossale quanto legittima asserzione che per quanto volessimo disquisire sul Cinema, per quanto volessimo essere accademici, ecumenici e snob, la donna uscirebbe sempre e comunque dalla porta per rientrare dalla finestra, gettando alle ortiche tutti i possibili papiri e le possibili ciance. Per questa rassegna il Cinema Trevi sarà la nostra spalancata finestra. Buona visione e buon ascolto» (Antonio Coppola).
L’appuntamento di marzo è dedicato a Janet Gaynor. «Nata a Philadelphia il 6 ottobre 1906. Studia al Politecnico di San Francisco. A vent’anni appare in alcuni film di John Ford; suscita molto interesse anche la sua interpretazione in Sunrise [Aurora, n.d.r.] di Murnau. Il suo “partner” abituale era, agli inizi, George O’Brien; ma lo straordinario successo di pubblico che accolse Seventh Heaven (1927) suggellò la nascita di una delle più famose “coppie ideali” di Hollywood: J.G.-Charles Farrell. Per Seventy Heaven (1927) la giovane attrice si vide attribuire il primo “Oscar” dell’Accademia. Il suo stile di recitazione guardava evidentemente a Mary Pickford; la commozione del suo personaggio fisso nasceva da una fragilità, da un tenero spirito di sacrificio già avvertito nella “fidanzata d’America”, ma con qualche venata precisazione sociale in più, al di sopra d’ogni bucolica fantasia» (Tino Ranieri, Filmlexicon degli autori e delle opere).
ore 21.00
Aurora (1927)
Regia: Friedrich Wilhelm Murnau; soggetto: da Die Reise nach Tilsit di Hermann Sudermann; sceneggiatura: Carl Mayer; fotografia: Charles Rosher, Karl Struss; scenografia: Rochus Gliese; musica: Erno Rapee; montaggio: Harold D. Schuster; interpreti: George O’Brien, Janet Gaynor, Margaret Livingston, Bodil Rosing, J. Farell MacDonald, Jane Winton; origine: Usa; produzione: Fox Film Production; durata: 103′
«Sottotitolo: Canzone di due esseri umani. Sedotto da una vamp di città, un campagnolo, marito e padre, medita di sbarazzarsi della moglie, annegandola durante una gita in barca, ma ci ripensa. Arrivati in città, i due si riconciliano, trasformando il loro breve soggiorno in un secondo e allegro viaggio di nozze. Nel tragitto di ritorno li coglie una burrasca e la donna rischia di annegare, ma è salvata da un vecchio pescatore. L’Uomo e la Moglie – così sono chiamati, con la Donna di Città, nei titoli – riaffermano la loro unione amorosa mentre s’alza la luce dell’alba. 1° dei 4 lungometraggi americani di Murnau, prodotto da William Fox, è ancora assai “tedesco”: non per nulla la sceneggiatura è di Carl Mayer, dalla novella Die Reise nach Tilsit di Hermann Sudermann e la scenografia di Rochus Gliese. (Titolo tedesco: Sonnenaufgang – Lied von zwei Menschen). Nella 1ª edizione degli Academy Awards (1927-28) ebbe 3 Oscar: miglior film artistico (premio subito abolito), migliore attrice: J. Gaynor (anche per Settimo cielo e La piccola santa); fotografia: Charles Rosher e Karl Struss che non nascondono reminiscenze di luce espressionista. È diviso in 3 parti: la 1ª cupa, quasi da noir e la 3ª drammatica, angosciosa sino al più tradizionale happy end che esalta il moralismo sentimentale di fondo, fino a quel momento controllato dallo stile. Nella parte centrale in città, la più ampia, si sviluppano, grazie ai ricchi mezzi messi a disposizione, il geniale impiego della mobilità della cinepresa, della luce, della profondità di campo, ma anche la direzione degli attori (e dei loro corpi), il ricorso alle gag comiche, la tipizzazione delle figure di contorno: il tono è euforicamente hollywoodiano. “La sensibilità del regista stringe in un solo nodo il momento reale e il momento simbolico” (F. Savio). Rifatto nel 1939 a Berlino da Veit Harlan con Verso l’amore. Ridistribuito in una copia restaurata dalla BIM nell’estate 2004 con una colonna musicale di Hugo Riesenfeld» (Morandini).
Accompagnamento musicale del M° Antonio Coppola – Didascalie in italiano