Il gioco surreale di Roland Topor
26 Aprile 2017 - 27 Aprile 2017
C’è un solo modo per definire la personalità artistica di Roland Topor: chiamarlo con il suo nome. Infatti quando si cerca di dare una più specifica dimensione professionale al suo “essere artista”, ci si trova di fronte ad una sequela interminabile di definizioni, tutte al tempo stesso irrinunciabili nella loro compiutezza, tanto appropriate quanto insufficienti: scrittore, poeta, satirico, giornalista, attore, sceneggiatore, illustratore, pittore, cineasta, scultore, fumettista, teatrante, animatore e agitatore culturale (a partire dalla fondazione, nel 1961, del movimento “Panico” con Arrabal, Jodorowsky e, fino ai moti della contestazione, in Francia e in Italia, in chiave alternativa e surrealmente ironica)…
L’attività, diciamo così, “grafica” di Topor ha influenzato per oltre un trentennio il gusto dei lettori di giornali, in tutta Europa, ma in modo particolare in Italia: le sue vignette, surreali e mordaci, sono state regolarmente pubblicate sulle prime pagine dei più importanti quotidiani, mentre le sue immaginifiche illustrazioni hanno accompagnato i più importanti interventi di grandi autori nelle pagine culturali, contribuendo non poco alla valorizzazione e al complemento di quei contenuti. Per non parlare del suo capolavoro di illustratore: il nostro Pinocchio, che oggi rappresenta una delle più ricercate rarità bibliografiche.
Una produzione enorme. Eppure, mai accompagnata dalla notorietà che sarebbe stato normale attendersi: il carattere dell’uomo lo impediva. Schivo, rifuggente dal plauso, riservato, nobilmente timido, non incoraggiava né il dovuto encomio né tanto meno la piaggeria. Di lui ci resta una cospicua testimonianza di multiforme geniale produzione artistica, raccolta in volumi di romanzi, collezioni delle più importanti riviste internazionali di comics, quadri e sculture, memorabili trasmissioni televisive, pièce teatrali, significative presenze nel cinema.
In questa sede, a vent’anni dalla scomparsa, ricordiamo principalmente il suo contributo alla cinematografia internazionale e soprattutto italiana.
L’esordio di Topor nel cinema avvenne nel 1971 con la collaborazione a Viva la muerte di Arrabal; l’anno successivo fece Il pianeta selvaggio insieme a René Laloux, mentre quasi vent’anni dopo firmò con Henry Xhonneux il capolavoro di cinema d’animazione Marquis.
Federico Fellini non tardò ad accorgersi di questo genio dell’immaginario e nella seconda metà degli anni Settanta lo coinvolse nei suoi progetti di allora, da Il Casanova a La città delle donne, fino al suo mitico film del cuore, mai realizzato: Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet. Formalmente si trattava di una collaborazione grafica e di suggerimento, ma nella realtà era molto di più: una vera e propria fonte di ispirazione e di stimolo creativo. Fu poi la volta di Roman Polanski che trasformò in un celebre film il romanzo di Topor L’inquilino del terzo piano. Anche come attore Topor seppe lasciare un significativo segno: basti citare Un amore di Swann di Schlondorff, Nosferatu di Herzog, Tre vite e una sola morte di Raul Ruiz e infine lo straordinario Ratataplan di Maurizio Nichetti del 1979.
“Per guadagnare da vivere io non dispongo che dei prodotti derivati dalla mia paura … La realtà in sé è orribile, mi dà l’asma. La realtà è insopportabile senza gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può essere ancora umano.”Per guadagnare da vivere io non dispongo che dei prodotti derivati dalla mia paura … La realtà in sé è orribile, mi dà l’asma. La realtà è insopportabile senza gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può essere ancora umano.”Per guadagnare da vivere io non dispongo che dei prodotti derivati dalla mia paura … La realtà in sé è orribile, mi dà l’asma. La realtà è insopportabile senza gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può essere ancora umano.”Per guadagnare da vivere io non dispongo che dei prodotti derivati dalla mia paura … La realtà in sé è orribile, mi dà l’asma. La realtà è insopportabile senza gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può essere ancora umano.”
mercoledì 26
ore 18.00 Il Casanova di Federico Fellini (1976, 154′)
Liberamente ispirato alle Memorie(1791-98) di Giacomo Casanova con inserimenti poetici presi da Andrea Zanzotto e Tonino Guerra, Il Casanova di Federico Fellini è «un emozionante esempio di arte onirica, non illustrativa di contenuti, cabalistica e avanguardistica» (Kezich) e al contempo il «tentativo di raccontare un personaggio che è un mito comune, Casanova, e un secolo figurativamente notissimo, sfruttato, esausto, il Settecento, dando alla gente la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo, sconosciuto: che non ricordi Goldoni, Strehler, Canaletto, Hogarth e compagnia» (Tornabuoni). «Casanova è, forse, il miglior film di Fellini dopo Otto e mezzo, probabilmente il più svincolato dal fellinismo, certamente il più unitario e compatto […] per ricchezza e genialità di invenzioni figurative, tenuta narrativa, sapienza nel contemperare l’orribile col tenero e il favoloso con l’ironico, capacità di passare dal caricaturale al visionario» (Morandini). Con Donald Sutherland.
ore 20.45 Incontro moderato da Giacomo Carioti con Oscar Cosulich, Maurizio Nichetti, Rinaldo Traini
a seguire Ratataplan di Maurizio Nichetti (1979, 97′)
«A Milano giovane neoingegnere disoccupato, innamorato di un’allieva di scuola di ballo, si arrabatta per campare. Una dolce ragazza della porta accanto spiega che l’amore e la vita non sono poi così inagibili. Esordio di Nichetti con un film di infimo costo in cui la rinuncia all’elemento verbale è una scelta morale prima che stilistica. I suoi temi sono il lavoro, il teatro e l’amore con quello della marginalità in filigrana. I suoi giovani, smarriti tra un’integrazione difficile e un’alternativa mancata, tentano di sopravvivere (o sottovivere?), ma senza piagnistei, tra scampoli creativi, impegni precari e prestazioni sottopagate. Grande e inatteso successo di pubblico» (Morandini). Roland Topor fa la parte del boss.
giovedì 27
ore 18.00 La città delle donne di Federico Fellini (1980, 148′)
«Fantasia onirica sulla falsariga di un film troppe volte rimandato, Il viaggio di G. Mastorna. Anche qui l’io felliniano (nuovamente incarnato in Mastroianni, come ai tempi di La dolce vita e 8 e 1/2) interrompe un viaggio per addentrarsi in una scorribanda nell’universo delle donne: le immagini muliebri della vita d’ogni giorno, le femministe scatenate in congresso, le vecchie insatirite, la moglie malmostosa, le perturbatrici dell’infanzia, le antiche dive del cinema, le puttane del casino, perfino le terroriste; e, in conclusione, un idolo della madre-meretrice-madonna sintetizzato in una caricaturale mongolfiera. Con più angoscia che divertimento, Fellini riprende i sentieri di Amarcord in una progressiva perdita delle illusioni sul ruolo dell’uomo nel mondo contemporaneo. Il film ha il limite dichiarato di mantenersi nell’area autobiografica, sia pure capricciosamente dilatata, senza spingere la sua forza regressiva a quella riscoperta dei “grandi sogni” dell’umanità primitiva teorizzati da Jung» (Kezich).