Il professor Matusa e i suoi hippies. Cinema e musica in Italia negli anni 60-70
18 Gennaio 2012 - 18 Gennaio 2012
«A volte sembra che andare a frugare nel cinema popolare italiano, come nel caso del cinema musicale degli anni ’60 e dei cosiddetti “musicarelli”, sia una sorta di ultima frontiera per cinefili incalliti, e un modo attraverso cui critici ormai attempati cercano di conservare quell’aria sbarazzina che avevano da giovani. Non sempre è andata così, anche perché le varie ondate di “rivalutatori” che si sono avvicendati avevano finalità, modi e culture molto diversi. Gli appassionati recensori della rivista francese “Midi Minuit Fantastique”, che amavano l’horror e il mitologico, avevano poco in comune con Goffredo Fofi, che di cinema popolare disquisiva in tempi non sospetti sulla più sessantottina delle riviste di cinema, “Ombre rosse”. E Fofi stesso aveva un approccio abbastanza diverso da quello di quel gruppo di giovanissimi critici che a metà anni Settanta, riuniti attorno alla frenetica attività di alcuni cineclub, proponeva una personale di Raffaello Matarazzo (il re del melò italiano anni Cinquanta, fino a quel momento neanche lontanamente considerato un “autore” con una propria poetica) con lo scopo abbastanza apertamente dichiarato di mandare in pensione quello strano ibrido tutto italiano tra crocianesimo e marxismo che sottendeva la nostra “critica di papà” (parafrasando quel “cinema di papà” definizione resa celebre da François Truffaut). Poi ci sono state le fanzines. […] Perché allora ci occupiamo qui dei musicarelli? Forse perché il critico sbarazzino (anche se ormai identificato e, a parole, respinto) fa capolino dentro di noi. Certo, la questione autobiografico-anagrafica c’entra. La stagione di quei suoni e quelle visioni rappresenta una parte della nostra adolescenza. Vissuta in prima persona, o, pochissimi anni dopo, scoprendo quei suoni e quelle visioni “in seconda battuta”, dai reperti discografici e cartacei dei cugini più vecchi, e di fronte al piccolo schermo televisivo, è già questo merita delle considerazioni. […] Ma al di là di questo, ci affascina un mondo come quello dei musicarelli che non ha avuto rivalutazione critica e battaglie intellettuale, non ha nemmeno goduto del fascino maledetto dell’invisibile ed è anzi stato più volte attraversato dal fenomeno del revival, proprio come succede per le canzoni che contiene» (Steve Della Casa, Paolo Manera, dall’introduzione del libro Il professor Matusa e i suoi hippies. Cinema e musica in Italia negli anni ’60).
ore 17.00
Rita la zanzara (1966)
Regia: George Brown [Lina Wertmüller]; soggetto: Sergio Bonotti; sceneggiatura: L. Wertmüller; fotografia: Dario Di Palma; scenografia: Fabrizio Frisardi; costumi: Folco, Elio Costanzi; musica: Bruno Canfora; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Rita Pavone, Bice Valori, Giancarlo Giannini, Turi Ferro, Vittorio Congia, Tanya Lopert; origine: Italia; produzione: Mondial Te.Fi. – Televisione Film; durata: 115′
Rita è una giovane allieva di un collegio femminile ed è innamorata del suo professore di musica, Paolo, timidissimo e goffo. Una notte, però, Rita entra furtivamente nella sua camera e scopre che Paolo ha una doppia vita. «Dopo il successo di Gian Burrasca, Goffredo [Lombardo] mi chiamò per farmi fare un film musicale, quelli che allora si chiamavano “i musicarelli”, un genere considerato di cassetta, piuttosto commerciale, sull’onda del successo dei cantanti e delle canzoni. La sua idea, quella volta, però, era di puntare sulla qualità; ci mettemmo d’accordo per avere tutto il meglio: dal cast ai costumi, e su una storia di una vecchia operetta cui era molto affezionato poiché aveva decretato il successo di sua madre, Leda Gys. Accettai e riuscii ad avere, oltre a Rita Pavone, Giancarlo Giannini, con il quale nacque una grande amicizia e complicità, e poi addirittura Bice Valori, Turi Ferro, Milena Vukotić e Peppino De Filippo. Rita la zanzara fu un successo. Con beata incoscienza, mi ero buttata a capofitto nel progetto» (Wertmüller). Una curiosità la presenza nel film, tra le Collettine che affiancano Rita Pavone, di Loredana Bertè, Stefania Rotolo e Silvia Dionisio.
ore 19.00
Terzo canale… avventura a Montecarlo (1970)
Regia: Giulio Paradisi; soggetto e sceneggiatura: Ugo Tucci, Berto Bandini, Eddy Ponti, G. Paradisi; fotografia: Gianfranco Romagnoli; scenografia e costumi: Mario Molli; musica: New Trolls; montaggio: G. Paradisi; interpreti: The Four Kents, Jody Clark, New Trolls, Ricchi e Poveri, Sheila, Mal e The Primitives; origine: Italia; produzione: San Marco Cinematografica; durata: 100′
Il gruppo musicale The Trip vuole partecipare a un festival a Montecarlo, ma per una serie di circostanze sfortunate non faranno molta strada… «È destino che i musicarelli siano profetici per quanto riguarda le reti televisive: prima con I teddy boys della canzone si anticipa la nascente seconda rete, qui addirittura la terza rete, che poi in realtà è una Telemontecarlo molto aperta ai gruppi rock. Ma si rimarrà a Roma, con finale trionfale alle Terme di Caracalla. Occasione unica per vedere in azione molti gruppi, tutti sotto contratto con la scuderia di Amerigo Crocetta, il leggendario fondatore del Piper di Roma» (Della Casa, Manera).
ore 20.45
Presentazione del libro di Steve Della Casa e Paolo Manera Il professor Matusa e i suoi hippies. Cinema e musica in Italia negli anni ’60 (Bonanno Editore, 2011)
Partecipano Steve Della Casa, Luciano Ceri, Marco Giusti
a seguire
Maschio femmina fiore frutto (1979)
Regia: Ruggero Miti; soggetto: Gianni Barcelloni, Lidia Ravera, Enzo Ungari; sceneggiatura: L. Ravera; fotografia: Sergio D’Offizi; scenografia: Claudio Cinini; costumi: Franco Carretti; musica: Anna Oxa; montaggio: Daniele Alabiso; interpreti: Anna Oxa, Giovanni Crippa, Massimo Boldi, Chiara Moretti, Benedetta Fantoli, Paola Rinaldi; origine: Italia; produzione: Cinemaster; durata: 97′
«Forse lo zenith delle produzioni di Galliano Juso e trionfo assoluto della sua estetica trash-pugliese. Anna Oxa, nel suo unico film, si sdoppia in due gemelli, uno maschio, l’altro femmina, che arrivano a Roma da Bari e percorrono strade diverse, salvo poi finire entrambi a cantare come fossero una persona unica dal sesso ambiguo, come spiega appunto il titolo. Già questa partenza è micidiale, per non dire della costruzione dei due personaggi della Oxa e del femminismo alla romana modellato da Lidia Ravera, con la complicità del povero Enzo Ungari e di Gianni Barcelloni, che la cantante deve reggere sulle spalle. Il fatto è che i due gemelli, con tanto di accento pugliese, arrivano in una Roma anni ’70 e fanno i soliti folli incontri da cinema sotto-bertolucciano come se fossero stati affidati a Juso per una vacanza premio. Certo, è anche per questo che si ama il film. Così si va da Carlo Monni che fa il guru alla toscana, grandissimo, a Massimo Boldi ancor giovane, a Ninetto Davoli tardo-hippy all’intellettuale di Mario [in realtà Fabio] Garriba (Dio mio!), a Jimmy il fenomeno fan della discomusic. Una bomba. Ho visto allora il film come qualcosa di irripetibile. Ruggero Miti ha poi supervisionato artisticamente la mega sitcom di Raitre Un posto al sole. Ma non ha mai più girato un capolavoro così» (Giusti).
Ingresso gratuito