Incontro con con Enrico Pau, Valentina Carnelutti, Vanni Fois, Lorenzo Luccarini, Francesco Pamphili
11 Dicembre 2015 - 11 Dicembre 2015
ore 20.30 Incontro introdotto da Antonio Maria Masia moderato da Alessandra Peralta con Enrico Pau, Valentina Carnelutti, Vanni Fois, Lorenzo Luccarini, Francesco Pamphili
segue un brindisi
a seguire La volpe e l’ape di Enrico Pau (1996, 20′)
«Questo piccolo film esiste perché esiste la follia. Nel 1996 girare un cortometraggio a Cagliari, in pellicola, era una cosa da pazzi. Eppure quella follia si trasmise a molti. Al grande attore e regista Rino Sudano, che per primo mi incoraggiò, a mio fratello Italo, a mia madre Gisella a mia moglie Julie Laub, a tanti amici carissimi, fra i quali Giancarlo Ghirra, Manuela Fiori e Cecilia Sechi, che mi aiutarono non solo economicamente, e a Claudio Morganti, splendido attore di teatro che accettò con generosità di recitare nel piccolo film di un esordiente, che fino ad allora aveva solo frequentato i teatri e non aveva mai visto una cinepresa. La follia prese anche Gian Enrico Bianchi, allora giovanissimo e talentuoso direttore della fotografia, che da allora ha firmato tutti i miei lavori per il cinema. Però c’era Franco Becini a tranquillizzarci, la sua storia, la sua vita difficile, la sua chitarra dal suono metallico, la sua voce, le sue canzoni napoletane, la sua “apiscedda”. C’era il mercato di San Benedetto, c’erano le strade di Sant’Elia, luoghi che ci accolsero, con calore. La “favola metropolitana” di Franco, dell’ultimo cantante di strada è una metafora che racconta la vita di tanti artisti cagliaritani: vissuti in una città che non ha mai troppo amato i suoi cantori. Scoprimmo presto che la città stessa era diventata protagonista del film: bellissima e solare, dolce e insieme malinconica» (Pau).
a seguire L’anatema di Aquilino di Enrico Pau (2001, 12′)
«Leggo sull’Unione Sarda pochi versi emozionanti di un poeta cagliaritano. Si chiama Aquilino Cannas. È più che novantenne, vive appartato nella sua bella casa di via Milano, da cui può guardare la sua città, dall’alto. Dentro quella casa ha coltivato la sua indignazione di poeta civile. Ha visto Cagliari cambiare il suo volto, la sua natura “celeste”. I colli, le bianche colline di Karel come le chiama lui, sono stati sventrati per farne calcina utile per i palazzoni, gli stagni hanno subito l’insulto della città che sale, il golfo degli angeli l’insulto della petrolchimica. Non è però come quei cagliaritani che si lamentano sempre, ma stanno zitti. È un poeta e usa i versi per ferire, lancia il suo anatema con la violenza di una lingua, il cagliaritano, che non perdona, chiama i palazzinari con antichi epiteti cagliaritani – fauneris e benduleris – li accusa di avere distrutto la città celeste. Inevitabile che una poesia così rimanesse lontana, isolata, dimenticata nella città dei “commossi” memorialisti. Lo incontro poco prima della sua morte e ne rimango affascinato, è un uomo coerente, che ha pagato la sua coerenza con una specie di esilio nella sua terra, costretto a vivere nell’oblio. Aquilino mi ha insegnato a guardare alla città come si guarda a un corpo. Un corpo un tempo sano che progressivamente è stato privato della sua bellezza, della sua forza, ridotto all’osso, ecco perché alla fine del mio piccolo documentario grida la sua invettiva: “ognuno ha i suoi forni crematori”. La città, i suoi luoghi, la sua natura, hanno un’anima profonda e una corporeità che l’ottusità del potere ha cercato di trasformare in una specie di larva privata del suo corpo e della sua memoria – senza riuscirci completamente però, perché Cagliari è ancora bellissima a dispetto di tutto e resiste…» (Pau).
a seguire Voci sul mare di Enrico Pau (2010, 22′)
«Più che una Cagliari reale, la città di questo documentario è una città immaginata, forse sognata. Ho usato un procedimento poetico, ho lavorato per analogia, per forti contrasti. Nel documentario è una città che sembra in equilibrio, aperta e solidale. Quella reale, quella vera, invece è più dura e ostile. La presenza dei musicisti africani è quasi onirica, è il mio desiderio di vivere in una città veramente multietnica. Ho recuperato vecchi super 8, vecchi come il vecchio attore dalla bella faccia che gira per la città, vecchi 16 millimetri dei filmakers cagliaritani Olla, Tiragallo, Piroddi, Cao, per guardare verso il passato, per non dimenticare. È il ritratto, forse malinconico, di un luogo del quale mi sento una fibra, un granello, una cellula. Il documentario si intitola Voci sul Mare per non dimenticare che il mare è sempre sullo sfondo di ogni possibile sguardo cinematografico sulla nostra città. L’omaggio a Sant’Elia, ai pescatori, è l’eterno ritorno in un luogo che amo perché dentro quel quartiere scopro una temporalità che sembra sospesa, antica, e insieme familiare, mi fa pensare a mio nonno che dal Poetto partiva con la sua barca a remi per andare lontano a “mare e pagellu” più vicino all’Africa che alla spiaggia. Il mare per me è un confine, uno specchio, un respiro. Negli anni è cresciuto in me il desiderio di creare un “ritratto” sentimentale di Cagliari, dei suoi artisti, delle sue opere d’arte, a volte nascoste, dei suoi monumenti, a volte segreti, dei suoi mercati, abitati da pescatori, commercianti, cantanti di strada, gente comune. Ho provato a cercare la natura profonda della città, la bellezza dei suoi spazi naturali e architettonici, il suo cuore liquido, la forza espressiva dei suoi abitanti, della loro lingua musicale, dei loro volti segnati dalla storia» (Pau).
a seguire Due destini di Enrico Pau e Andrea Lotta(2013, 24′)
«Il 28 febbraio del 1943, nel giorno di quei devastanti bombardamenti sulla nostra città, i destini di tanti si incrociarono. Quello di Corradino Chicca, il nostro testimone, che oggi ha 93 anni, e quello di suo fratello Carletto, quello di Corradino e quello del giovane studente universitario Raniero Pozzar. Raniero e Carletto per sempre perché fu il loro ultimo sulla terra. Niente poi fu come era prima. Una questione di secondi, di attimi, della posizione dei corpi nello spazio. Prima era vita e poi fu morte, una morte che due giovani di diciotto anni non avevano neanche fatto in tempo a immaginare. Dopo le bombe fu solo silenzio, polvere in bocca, corpi smembrati, sangue dappertutto, occhi chiusi per non vedere, un’ultima frase detta in punto di morte. Due destini racconta due storie che finora sono rimaste nascoste dentro la memoria del nostro testimone Corradino Chicca. La memoria è cosa viva, è come un fiume in piena, non accetta di correre dentro gli argini e straripa. Questo non è cinema, è narrazione, perché le storie più belle appartengono alla vita e ne sono diretta conseguenza, raccontare è qualità tipicamente umana, se non racconti dimentichi e noi non vogliamo dimenticare» (Pau).