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Jole Silvani, la regina dell’avanspettacolo
11 Maggio 2012 - 11 Maggio 2012
Jole Silvani, la regina dell’avanspettacolo
Tutta la vita
mi la go dedicada al teatro.
E no go nessun rimpianto
Jole Silvani
 
«”Regina dell’avanspettacolo fra le due guerre”, scrive Pier Maria Paoletti su “Il giorno”; “Nel mondo del varietà, che era il suo regno, era inequivocabilmente considerata la più bella: alta, piena, con occhi ammalianti e profondi… Era stata la donna più bella d’Italia”, la ricorda sull'”Unità” Nicola Fano; il regista Filippo Crivelli la chiama “bionda fatina degli anni venti” e Federico Fellini dirà: «Ho deciso di fare il regista solo per avvicinare tutte le attrici che mi erano piaciute durante la giovinezza, quali Mae West, Joan Blondel [Blondell] e Jole Silvani».
Sono tutti giudizi su Jole Silvani (nome d’arte dell’attrice Niobe Quaiatti, nata a Trieste il 9 dicembre 1910) […] probabilmente l’ultima grande soubrette dell’avanspettacolo italiano. Per quasi trent’anni, a partire dal 1929, con la compagnia “La Triestinissima” di Angelo Cecchelin (che Mario Soldati ha definito “lo Chevalier triestino”) ha fatto conoscere a tutta l’Italia commedie e canzoni nel dialetto che si erano divertiti ad usare anche James Joyce e Umberto Saba.
Paolo Poli, il suo secondo maestro dopo Cecchelin, la vorrà per tredici anni nei suoi spettacoli, ma lei continuerà a lavorare anche nella grande prosa con compagnie di giro e con i teatri stabili di Torino, Roma e Trieste.
Jole Silvani per oltre trent’anni si impegna nel cinema: dopo Lo sceicco bianco, Federico Fellini la vuole nella Città delle donne; sarà diretta anche da Bertolucci, Bolognini e la Wertmüller, assieme ad attori come Mastroianni, Fernandel, Peppino de Filippo, Aldo Fabrizi e Paolo Villaggio. […]
Con Poli stabilisce un rapporto non solo artistico, ma anche – e soprattutto umano -, di profonda e sincera amicizia che arriva sino al punto di condividere, per un decennio, la stessa casa a Roma, nel centro storico della capitale italiana. […] A conferma dello stretto – e affettuoso – legame tra loro due, Poli dopo il ritorno a Trieste di Jole non solo non accoglierà più nessun altro nelle stanze occupate dall’attrice triestina, ma le manterrà così come le aveva lasciate lei, con alle pareti una fotografia – che lo stesso Poli aveva fatto stampare a gigantografia – di Jole che allatta suo figlio Guido (“è l’unica immagine di nudo, parziale, che le sia mai stata fatta”, commenta Poli), due fotografie della Trieste dell’inizio del ventesimo secolo, ovviamente in bianco e nero della Corsa Stadion (poi via Battisti) dove Jole Silvani trascorrerà gli ultimi anni, ospite della sorella, e la splendida testa di cavallo – dipinta – che Giorgio De Chirico aveva voluto regalarle, quando l’aveva sentita ridere fragorosamente al ristorante veneziano “Alla colomba”» (dal libro di Guido Botteri Jole Silvani, Comunicarte Edizioni, 2010).
 
ore 20.45
Incontro moderato da Vieri Razzini con Paolo Poli, Guido Botteri, Graziella Porta, Massimiliano Schiozzi
Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro di Guido Botteri Jole Silvani (Comunicarte Edizioni, 2010)
 
a seguire
La città delle donne (1980)
Regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: F. Fellini, Bernardino Zapponi, con la collaborazione di Brunello Rondi; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia: Dante Ferretti; costumi: Gabriella Pescucci; musica: Luis Enríquez Bacalov; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Marcello Mastroianni, Ana Prucnal, Bernice Stegers, Jole Silvani, Donatella Damiani, Ettore Manni; origine: Italia/Francia; produzione: Opera Film, Gaumont; durata: 148′
«Fantasia onirica sulla falsariga di un film troppe volte rimandato, Il viaggio di G. Mastorna. Anche qui l’io felliniano (nuovamente incarnato in Mastroianni, come ai tempi di La dolce vita e 8 e 1/2) interrompe un viaggio per addentrarsi in una scorribanda nell’universo delle donne: le immagini muliebri della vita d’ogni giorno, le femministe scatenate in congresso, le vecchie insatirite, la moglie malmostosa, le perturbatrici dell’infanzia, le antiche dive del cinema, le puttane del casino, perfino le terroriste; e, in conclusione, un idolo della madre-meretrice-madonna sintetizzato in una caricaturale mongolfiera. Con più angoscia che divertimento, Fellini riprende i sentieri di Amarcord in una progressiva perdita delle illusioni sul ruolo dell’uomo nel mondo contemporaneo. Il film ha il limite dichiarato di mantenersi nell’area autobiografica, sia pure capricciosamente dilatata, senza spingere la sua forza regressiva a quella riscoperta dei “grandi sogni” dell’umanità primitiva teorizzati da Jung» (Kezich).
Ingresso gratuito

 

 

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