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La Cineteca Nazionale ha presentato alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone quattro restauri di copie uniche, tra cui “The Soldier’s Courtship” (1896), primo “fiction movie” inglese.
05 Ottobre 2011 - 05 Ottobre 2011

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La Cineteca Nazionale ha presentato alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone quattro restauri di copie uniche, tra cui “The Soldier’s Courtship” (1896), primo “fiction movie” inglese.

Sono stati inoltre presentati i restauri di “La serpe” di Roberto Leone Roberti, “Maddalena Ferat” di Febo Mari, entrambi del 1920 e con Francesca Bertini, e “La grazia” di Aldo De Benedetti, del 1929.
Oggi, 4 ottobre 2011, alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, giunte quest’anno alla trentesima edizione, si è tenuta nell’ambito del tradizionale, prestigioso “Collegium”, una tavola rotonda di presentazione e discussione dei recenti lavori di restauro della Cineteca Nazionale e della nuova banca dati di cui si è recentemente dotata l’istituzione per la conservazione del patrimonio cinematografico italiano (e non solo); partner della sessione, l’Haghefilm Foundation, che presenterà l’ultimo restauro sponsorizzato. Interverranno Irela Nunez, Maria Assunta Pimpinelli e Marina Cipriani (Cineteca Nazionale), Hendrik Teltau (del laboratorio Omnimago dove si è svolto il restauro digitale del film di Paul), Ulrich Ruedel e Daniela Currò (Hage Film Foundation). Modera l’incontro Paolo Cherchi Usai.
 
THE SOLDIERS’ COURTSHIP
Tra i restauri presentati, quello che ha maggiore rilevanza internazionale è The Soldier’s Courtship, opera fondamentale della cinematografia inglese, considerato il primo film a soggetto britannico e ritenuto perduto per più di 115 anni, recentemente riscoperto negli archivi della Cineteca Nazionale. Il film, realizzato dal pioniere inglese Robert William Paul nell’aprile del 1896 sul tetto del Teatro Alhambra a Londra, segue una coppia appassionata. La commediola, con Fred Storey e Julie Seale, attori e ballerini rinomati dell’Alhambra, ed Ellen Daws [Ellen Paul], ebbe un grosso successo popolare, diventando poi uno dei titoli del dispositivo flipbook Filoscopio di Henry Short conservato dalla Collezione Barnes e dal Bill Douglas Centre presso l’Università di Exeter e arrivando anche in Italia con il suggestivo titolo di Bacio movimentato in pubblico.
Il restauro
Il restauro è stato effettuato in digitale al laboratorio tedesco Omnimago, utilizzando SCANITY TM, uno scanner di ultima generazione della Digital Film Technology, recuperando e inserendo anche un frammento mancante, preservato per moltissimi anni presso la Collezione Kodak e appartenente al National Media Museum di Bradford. Per stabilire con certezza se la copia originaria fosse colorata, sono state effettuate delle analisi chimico-fisiche della pellicola, eseguite al Dipartimento di Fisica – Università degli Studi Roma Tre, ai Dipartimenti di Chimica e di Scienze della Terra – Università di Roma La Sapienza, all’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario e all’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, nell’ambito di un più ampio progetto di collaborazione con queste istituzioni che la Cineteca Nazionale intende portare avanti. Infine, le immagini restaurate sono state registrate nuovamente su pellicola 35 mm.
 
Il film sarà proiettato lunedì 3 ottobre e mercoledì 5 ottobre al Teatro Verdi di Pordenone.
 
LA SERPE
Film rimasto per decenni praticamente invisibile, nonostante l’inclusione di un brano nella Antologia del Cinema Muto Italiano di Antonio Petrucci, dell’anno 1956, La serpe è un classico ritrovato del cinema muto italiano.
Il soggetto originale, infatti, scritto da Sandro Salvini, che è anche il protagonista maschile del film, e dall’abituale autore/sceneggiatore di Roberti, Vittorio Bianchi, che qui interpreta il padre, esalta al massimo il “personaggio” Bertini, qui diva al suo apogeo, donna fatale e crudele, ma anche indipendente, passionale, vera. Ne La serpe, infatti, queste caratteristiche sono tutte presenti in un intreccio che, da un lato valorizza la versatilità e l’arte dell’attrice, dall’altro conduce a eccessi manieristici che i critici dell’epoca avevano definito coniando il verbo “bertineggiare” (così Angelo Piccioli in “Apollon“, Roma, 31 marzo 1920)
La qualità formale del film, nonostante la complessità pretestuosa della trama (figlie ritrovate, scomparsi redivivi, espiazioni improbabili, etc…) e la recitazione a volte eccessiva della Bertini, rimane apprezzabile in molti aspetti, dalla regia di Roberti (notevoli gli effetti e i primi piani dei protagonisti nelle scene più drammatiche, cosa che fatalmente porta il pensiero allo stile del figlio di Roberti, Sergio Leone), alla costruzione del racconto, con il leit-motiv della musica come incantesimo che scioglie la crudeltà della “Serpe”, fino al valore espressivo affidato al colore (si pensi alle scene campestri rese con viraggio verde combinato al rosa o al viola/blu nelle scene di morte o di vendetta), uso che è precisamente ricostruibile non solo sull’evidenza della copia d’epoca, ma anche grazie alla presenza di precise indicazioni a bordo pellicola.
 
Il restauro
Il restauro è stato eseguito a cura della Cineteca Nazionale presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata di Bologna sulla base di una copia d’epoca del film, su supporto nitrato (infiammabile) e con colorazioni ottenute per viraggio e/o imbibizione, che è risultata, almeno ad oggi, unica al mondo. Si tratta di una copia completa per circa due terzi rispetto al metraggio originario del film (ca. 1050 m contro i 1580 riportati nel visto di censura), con lacune numerose, ma dal carattere sparso e di entità minima, ad eccezione della parte iniziale, di un blocco centrale (compreso tra la didascalia n. 69 e la n. 76), e del finale. Le condizioni di conservazione del supporto si sono rivelate alquanto precarie, a causa di numerosi danni dovuti, con tutta probabilità, a un trattamento maldestro avvenuto intorno alla metà degli anni ’50, quando, dalla copia d’epoca, furono stampati materiali parziali, in bianco e nero, relativi a un brano che fu poi inserito nell’ Antologia del cinema italiano. I Capitolo: il film muto (Antonio Petrucci, 1956). La copia nitrato è stata completamente riparata (un lungo lavoro che ha riguardato in particolare i danni notevoli alle perforazioni). Ne è stato tratto un controtipo b/n sotto liquido per via analogica, che è stato poi acquisito in digitale a 2K. E’ stato eseguito il restauro digitale (Revival), in particolare curando la stabilità dell’immagine. Una volta completato l’editing, con l’inserimento di cartelli per i credits e per l’integrazione, laddove necessaria, delle lacune presenti, dal nuovo controtipo trascritto su pellicola da digitale, si è proceduto alla stampa di due copie positive, riproducendo le colorazioni originarie con il metodo Desmet. La ricostruzione delle lacune è stata condotta grazie a una ricerca su fonti d’epoca: il libretto di sala conservato dalla Cineteca di Bologna, Fondo Martinelli, e la recensione pubblicata in L’illustrazione cinematografica italiana, anno III, n. 8, del 31 marzo 1920 (Biblioteca Nazionale di Firenze).
 
MADDALENA FERAT
Maddalena Ferat è una delle molte eroina di ascendenza letteraria interpretati dalla Bertini, dal carattere passionale e tragico, come, per citare solo alcuni casi esemplari, Odette, Fedora e Tosca. In questo caso, l’opera di riferimento è un romanzo di Émile Zola, Madeleine Férat (a sua volta tratto da una sua opera teatrale del 1865), che è caratterizzato, come tutta l’opera di Zola, da quel naturalismo che, nella variante “verista” italiana, fu particolarmente congeniale alla migliore Bertini, in particolare nell’interpretazione del personaggio di Assunta Spina nel film del 1915 di Gustavo Serena. Il personaggio di Maddalena, giovane orfana in fuga dalle avances del proprio tutore e poi vittima del primo amante, che ritorna fatalmente a distruggerle vita, amori e famiglia, ha in comune con il temperamento della Bertini, bellezza, sensualità e intensità drammatica. La trama è sostanzialmente fedele al romanzo. Maddalena, scappata dal tutore, è accolta da Giacomo, che ne diviene l’amante, ma presto l’abbandona, costretto a un viaggio in un paese lontano. La giovane inizia una relazione con Guglielmo, senza sapere che quest’ultimo è amico d’infanzia di Giacomo. La coppia procede felicemente, con il matrimonio e la nascita di una bimba, ma il ritorno di Giacomo distrugge l’idillio. Maddalena confessa al marito l’antica relazione con Giacomo, ma poi finisce per cedere al primo amante, mentre la figlioletta, malata, si aggrava e muore. Sopraffatta dal destino e dai sensi di colpa, si uccide con il veleno conservato nel vecchio laboratorio del suocero alchimista.

Il restauro
Il film è stato restaurato a partire da una copia positiva d’epoca, su supporto nitrato, con colorazioni per viraggio e imbibizione, che finora è risultata l’unico esemplare del film conservato. La copia in questione, incompleta (è lunga 1160 contro i 1859 riportati nel visto di censura), è priva dei credits iniziali, di circa 20 didascalie, della suddivisione in parti e, soprattutto, dell’intera terza parte. Per la ricostruzione della trama e l’integrazione delle didascalie e delle varie lacune si è fatto ricorso al visto di censura originale, messo a disposizione dal Museo del Cinema di Torino, nel quale il testo delle didascalie è riportato in maniera integrale. Date le precarie condizioni di conservazione (supporto in avanzato stato di decomposizione, molte perforazioni rotte e varie lacerazioni), la copia nitrato è stata completamente riparata e ne è stato tratto, tramite stampa sotto liquido, un duplicato b/n (controtipo) che è stato poi integrato con le didascalie mancanti e con una serie di cartelli integrativi. Una volta completato l’editing, si è proceduto alla stampa di due copie positive colore, riproducendo le colorazioni originarie con il metodo Desmet; oltre a ciò è stata tratta una terza copia positiva in bianco e nero sulla quale è stato applicato un metodo sperimentale di restituzione delle colorazioni originarie, tramite bagni di sostanze coloranti, secondo il procedimento chimico originario di imbibizione e viraggio.Le lavorazioni si sono svolte nel 2002-2003 a cura del CSC-Cineteca Nazionale, in parte presso il laboratorio Studio Cine di Roma (duplicato b/n e copie positive colore con metodo Desmet), in parte presso il laboratorio Augustus Color di Roma (copia colorata con procedimento chimico “d’epoca”).
 

LA GRAZIA 
Tratto dalla novella “Di notte” di Grazia Deledda (Racconti Sardi, 1896), La grazia narra le vicende di Simona, pastorella cresciuta in una famiglia patriarcale in un impervio paese di montagna. Durante la sera di Natale, la quiete familiare è turbata dall’arrivo in paese di Elias, un forestiero che ha avuto in eredità delle terre nel circondario, il quale, per proteggersi dalle insidie di una nevicata, ottiene ospitalità presso la casa di Simona. L’incontro con Elias si trasforma subito in amore, e, dopo la notte passata insieme, il giovane promette a Simona di tornare per sposarla. Invece, nel frattempo, Elias rimane vittima di una valanga ed è salvato da una donna che lo seduce e lo tiene con sé. Quando nasce la figlia della colpa, Simona è costretta dal padre a rivelare il nome del responsabile e i fratelli partono per trovare Elias e vendicare l’onore della sorella. Durante una tempesta, di notte, i fratelli conducono con sé Elias per ucciderlo, quando un fulmine colpisce la bambina che, tuttavia, presa in braccio dal padre, torna miracolosamente in vita. Il segno divino è chiaro e induce il padre a perdonare Simona ed Elias.


Il restauro
L’origine della copia che viene presentata alle Giornate del Cinema Muto 2011- ad oggi l’unica superstite censita nei data base delle collezioni cinematografiche mondiali – è una copia originaria d’epoca, su celluloide infiammabile e deperibile, della versione francese coeva, che venne acquistata e salvata dalla Cineteca negli anni Cinquanta. Alla fine degli anni ’70 ne venne tratto un duplicato negativo (controtipo) che però oltre agli inevitabili difetti – righe e graffi – fotografati dall’originale, aveva anche difetti ulteriori indotti da una tecnologia di laboratorio che, negli anni ’70, agli albori ancora della riscoperta del cinema muto e della conseguente codifica del “restauro” dei film, era in larga parte inadatta a lavorare su opere come questa, coi supporti fragili, ristretti, deformati, rotti…Per altro, l’intervento è servito comunque a portare nel secondo millennio questo film in una edizione comunque integra (oltre 2600 metri come in origine) a dispetto del decadimento e della dissoluzione della copia originaria infiammabile. L’intervento ulteriore in occasione delle Giornate 2011 è stato quello di eliminare una serie di “fuori quadro” presenti nel duplicato negativo (tipico del tempo il sobbalzare repentino della pellicola infiammabile ristretta e deformata negli ingranaggi della macchina da stampa in corsa per duplicarla) e adottare un procedimento di stampa analogica (fotochimica) adeguato e mirato per ammorbidire il contrasto del bianco e nero dell’immagine foto cinematografica. La riscoperta del film e il ritrovamento di altre copie, potranno portare all’attualità un ulteriore e più impegnativo intervento di restauro digitale, mirato a pulire ulteriormente l’immagine e valorizzare in particolare la fotografia del film, a tratti di singolare bellezza.
 

Per ulteriori dettagli e aggiornamenti, si rinvia al sito del festival: www.giornatedelcinemamuto.it
 

 

 

 

 

 

Date di programmazione