La quiete (prima) dellattesa. Il cinema di Mario Brenta
09 Dicembre 2015 - 10 Dicembre 2015
Dopo la breve rassegna ad aprile, prosegue l’omaggio a Mario Brenta. Lo sguardo sul suo cinema, rigorosamente (e lucidamente) appartato, si estende ai documentari, che prolungano il lavoro sul tempo (l’attesa…) e sulla memoria, perché «”fare un film è nostalgia, un altro patetico tentativo di fuggire la morte”: Mario Brenta non sfugge a questa verità, che dichiara senza mezzo termini in chiusura del suo penultimo lavoro, Calle de la Pietà, e non rinuncia all’idea di un cinema in transito sulla marginalità di luoghi e figure (ormai) estranee al flusso della vita comunemente intesa. Sappiamo bene – anche solo per aver visto il suo film più frequente, il buzzatiano Barnabo delle montagne – che per lui il tempo della vita è quello che si pone in ascolto della visione, che ode il fruscio di un mondo da scrutare con la dimestichezza delle emozioni. Ricordiamo del resto la fiaba intrinseca nell’infanzia del piccolo Maicol in fuga nella metropolitana da una madre distratta, così come siamo stati a caccia di vermi nel fango alla periferia di una Milano subproletaria assieme al protagonista di Vermisat. Tutte storie che raccontano il cinema di un’altra Italia in cui viaggiare con lo sguardo»(Massimo Causo).
mercoledì 9
ore 17.00 Vermisat di Mario Brenta (1974, 86′)
«Disperato, crudele ritratto di un emarginato, un ex contadino che vive di espedienti: caccia i vermi nelle rogge o nei fossati (vermi da esca per pescatori: da cui il titolo del film) e poi, scacciato da questo suo habitat naturale dall’inquinamento, vende il sangue a disinvolte cliniche private. Atipico esordio del veneziano Brenta, premiato a Saint-Vincent come migliore opera prima. Parabola sommessamente tragica sulla violenza delle istituzioni, realizzata con una ruvida capacità di osservazione e con lucidità impietosa, ma anche con rispetto e pudore profondi: non una concessione alla violenza, non un compiacimento del laido, non un’esasperazione polemica e predicatoria» (Morandini).
ore 19.00 Corpo a corpo di Mario Brenta e Karine de Villers (2014, 90′)
Dalla scena allo schermo non c’è che lo spessore di una tela. Ma su questa tela bianca molteplici universi s’intrecciano e si giustappongono dando vita ad uno spettacolo cinematografico autonomo, a sé stante che trae origine, senza bisogno di un testo scritto, dalle improvvisazioni degli attori durante le prove di Orchidee di Pippo Delbono: le orchidee, questi fiori nello stesso tempo veri e falsi, come la nostra epoca d’altronde. Ed è attraverso il corpo di questi attori dal fisico e dal carattere singolari che il film tocca l’emozione. Nudo, arrampicato su dei tacchi a spillo, mezzouomo-mezzadonna, il corpo diviene l’oggetto di uno sguardo che scava nel profondo dell’immaginazione e del desiderio…
ore 21.00 Maicol di Mario Brenta (1989, 80′)
«Una ragazza sgallettata dimentica il figlio Maicol su un vagone della metropolitana milanese, ma non se ne preoccupa più di tanto. La mattina dopo il bambino le viene riportato dalla polizia. I bambini non si perdono mai. È un film duro, sgradevole, senza indulgenza per i buoni sentimenti. Parla di abbandono, disamore, solitudine, emarginazione a Milano. Brenta ha uno stile ruvido, ascetico. Non giudica: constata. E va a segno» (Morandini).
giovedì 10
ore 17.00 Barnabo delle montagne di Mario Brenta (1994, 124′)
«Da un racconto lungo (1933) di Dino Buzzati. 1920: in un frangente di pericolo un guardaboschi armato ha paura. Perde la faccia e il posto. Va a fare il contadino, mentre gli anni passano, macerati nel senso di colpa, nell’espiazione. Quando torna in montagna, gli si presenta l’occasione del riscatto […]. Film lento e ascetico, dominato dal silenzio con rari dialoghi. L’azione cede il posto alla riflessione e alla contemplazione. Oltre all’amore per la montagna, il tema è conradiano (Lord Jim), quello della seconda occasione, ma ribaltato in positivo. Un’orgia di ascetismo al rallentatore. Esige attenzione agli incanti minimi e alle minacce della natura, ai trasalimenti del cuore. Girato sulle Dolomiti di Lavaredo, in alta quota e nella Bassa padana, alle foci del Po» (Morandini).
ore 19.30 Robinson in laguna di Mario Brenta (1985, 24′)
Tutte le mattine, all’alba, da quasi cinquant’anni, Gildo Scarpi attraversa a remi la laguna di Venezia per andare a coltivare la terra in un’isola abbandonata. Se ne sta lì, con i suoi cani; ogni tanto il fratello Luigi lo va trovare. Spesso, la nebbia li costringe a passare la notte sull’isola. Venezia è lì, a due passi, eppure lontana nella sua confusione di turisti, di vaporetti, di piccioni… In passato sede di un ospedale, l’isola di Poveglia è ora abbandonata. Delle sessantaquattro isole della laguna di Venezia, più di quaranta sono in stato di abbandono e vanno lentamente in rovina.
a seguire Agnus Dei di Mario Brenta e Karine de Villers (2012, 27′)
«Forse per un oscuro presentimento, prima di essere ricoverato all’ospedale per un’operazione che non sarebbe riuscita, mio padre mi ha raccontato, perché ne facessi un film, una storia rimasta sepolta per più di cinquant’anni. Era la storia di un collegio, di un monaco, di un giovane adolescente, di un abuso sessuale. Quell’adolescente era mio padre» (de Villers).
ore 20.30 Incontro moderato da Italo Moscati con Mario Brenta, Karine de Villers, Fabio Ferzetti
a seguire Black Light di Mario Brenta e Karine de Villers (2014, 6′)
Oscurità, istante che non esiste, giusto l’attimo fuori dal tempo e dallo spazio prima che la Luce crei l’Universo. L’artista danza nel buio della sala teatrale creando con il suo corpo di luce figure che si incalzano sullo schermo in una fantasmagorica storia dell’evoluzione della vita. «C’è molta più saggezza nel tuo corpo che scienza nella tua mente», Friedrich Nietzsche (Così parlò Zarathustra).
a seguire Calle de la Pietà di Mario Brenta (2010, 60′)
Calle de la Pietà è la cronaca reale e immaginaria dell’ultimo giorno di vita di Tiziano Vecellio, ventiquattr’ore tra il mattino del 26 agosto 1576 e il mattino successivo, e dell’ultimo suo quadro, la Pietà. «Sublime sul piano plastico, cromatico, ritmico, Calle de la Pietà, oltre la gioia estetica che si rinnova ad ogni inquadratura, ad ogni pennellata della macchina da presa, apre uno spazio di serena meditazione sulla condizione umana che ci arricchisce tutti e, oserei dire, ci mette per un istante di fronte alla sua vanità» (Depuyper).