Antonio Pietrangeli (1919-1968), Valerio Zurlini (1926-1982) e il recentemente scomparso Florestano Vancini (1926-2008), tre registi di cui solo adesso si riesce a percepire pienamente la grandezza, lungo due direttrici, destinate a convergere: l’uomo (e la donna, soprattutto, vista come prospettiva privilegiata per registrare i cambiamenti sociali) e la Storia, con il peso della guerra che, esaurita la ricostruzione e iniziata l’era del boom, incombe sulle coscienze imponendo finalmente un esame, prima di tutto interiore. Lungo questi percorsi si è andati alla ricerca di ulteriori affinità elettive (le vite e le carriere dei tre registi si intrecciano) con film e registi guidati dalla medesima sensibilità, vera e propria cifra stilistica di uomini che alla macchina da presa chiedevano delle risposte alle loro ansie esistenziali. Nel programma di questo mese troverete quindi film, cortometraggi e documentari di registi come lo “zurliniano” Sergio Capogna (Plagio vs. La prima notte di quiete), Franco Indovina, Enzo Battaglia, Vincenzo Gamna, Eriprando Visconti, Gianni Vernuccio, Renato Dall’Ara, Bruno Paolinelli, Vittorio Armentano, Anna Lajolo e Guido Lombardi. Nomi da dizionari dei registi, dietro i quali si celano traiettorie imprevedibili. Tutte da approfondire.
domenica 1
ore 17.00
I dolci inganni (1960)
Regia: Alberto Lattuada; soggetto: Franco Brusati, Francesco Ghedini, da un’idea di A. Lattuada; sceneggiatura: A. Lattuada, F. Brusati, F. Ghedini, Claude Brulé; fotografia: Gabor Pogany; musica: Piero Piccioni; montaggio: Leo Catozzo; interpreti: Catherine Spaak, Christian Marquand, Juanita Faust, Marilù Tolo, Milly, Antonella Erspamer; origine: Italia/Francia; produzione: Titanus, Laetitia Film, S.G.C., Les Films Marceau Cocinor; durata: 95′.
L’adolescenza di Francesca: la scuola, la danza, il nuoto, la libertà, i primi amori…«Forse il miglior film di Lattuada (benché non apprezzato in Italia), che qui torna al mondo dell’adolescenza già esaminato in Guendalina. Il ritratto della protagonista è ottimo, e serve da legame tra ambienti e personaggi secondari, altrimenti bozzettistici. La descrizione dei turbamenti della fanciulla, fatta con un’attenzione e un’intelligenza non comuni, ha provocato al film molte noie con la censura» (Sadoul). «Il film, così, nonostante risulti un po’ chiuso e schematico, si segue con interesse, per merito, anche, della sottile, calda e delicata interpretazione della sua protagonista, Catherine Spaak, figlia del nostro amico Charles Spaak, sceneggiatore di tutti i film di Cayatte: ha diciassette anni davvero e riesce limpidamente ad esprimere tutte le contraddizioni, le confuse speranze, timori, i pallori di quella difficile età; con una grazia innata eppur sapientissima» (Rondi). Nel film compare una giovanissima Donatella Raffai.
Vietato ai minori di anni 16
ore 19.00
La noia (1963)
Regia: Damiano Damiani; soggetto: dal romanzo omonimo di Alberto Moravia; sceneggiatura: Tonino Guerra, Ugo Liberatore, D. Damiani; fotografia: Roberto Gerardi; musica: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Renzo Lucidi; interpreti: Horst Buchholz, Catherine Spaak, Bette Davis, Georges Wilson, Leonida Repaci, Isa Miranda; origine: Italia/Francia; produzione: C.C. Champion, Les Films Concordia; durata: 118′.
«Dino, pittore romano egoista e incapace di comunicare col prossimo, ha un ambiguo rapporto di dipendenza con la ricca madre americana. Allaccia una relazione con Cecilia, ragazza dall’oscuro passato, a scopo di mero intrattenimento sessuale. Quando comincia a sospettare che lo tradisca ne diventa sempre più succubo» (Morandini). Secondo Kezich «il film è rispettoso degli eventi narrati nel libro, tranne per un eccesso di ottimismo nel finale», mentre per Pestelli «il film resta autenticamente moraviano», anche se il male del protagonista, nel passaggio dal romanzo al film, «perde il lustro filosofico».
Vietato ai minori di anni 18
ore 21.15
La calda vita (1963)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal romanzo omonimo di Pier Antonio Quarantotti Gambini; sceneggiatura: Marcello Fondato, Elio Bartolini, F. Vancini; fotografia: Roberto Gerardi; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Roberto Cinquini; interpreti: Catherine Spaak, Jacques Perrin, Gabriele Ferzetti, Fabrizio Capucci, Daniele Vargas, Alina Zalewska; origine: Italia/Francia; produzione: Jolly Film, Les Films Agiman; durata: 110′.
Un’adolescente trascorre una vacanza al mare con due coetanei, uno ingenuo, l’altro nevrotico, entrambi, a modo loro, innamorati di lei. Ma la ragazza preferirà concedersi a un uomo maturo, il proprietario della villa nella quale soggiornano. «Tutta la narrativa di Gambini è ambientata sulla costa istriana, non lontano da Trieste, in epoche legate al ricordo delle generazioni di ieri e alla nostalgia per una terra perduta. Sono storie che hanno al centro, per lo più, personaggi giovani o addirittura adolescenti, alle prese con l’erompente e disordinato risveglio dell’Eros. […] Nel film non c’è più l’Istria, né il 1939, né l’affresco di costume. Siamo in Sardegna, tra la costa ancora selvaggia e Cagliari, cioè in un mondo che per cultura e mentalità è agli antipodi del romanzo» (Kezich). «Se si considera che l’ambiente in cui fu girato [Villasimius] ha conosciuto, nel corso dei decenni, uno sviluppo turistico enorme, è giusto affermare che il film finisce per diventare un vero e proprio documento storico. Allora c’era solo un albergo, il Timi Ama […]. Il capanno che mostro, invece fu costruito dallo scenografo [Flavio Mogherini]; per anni il Timi Ama, che era abbastanza distante dal mare, se ne servì come punto bar, ristoro e juke-box. Era una costruzione solida che resistette per una ventina d’anni prima di essere abbattuta» (Vancini).
Vietato ai minori di anni 18
lunedì 2
chiuso
martedì 3
ore 17.00
Il sole negli occhi (1953)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: A. Pietrangeli, con la collaborazione di Lucio Battistrada, Ugo Pirro, Suso Cecchi d’Amico; fotografia: Domenico Scala; musica: Franco Mannino; montaggio: Eraldo da Roma; interpreti: Gabriele Ferzetti, Irene Galter, Scilla Vannucci, Anna Maria Dossena, Pina Bottin, Paolo Stoppa; origine: Italia; produzione: Film Costellazione, Titanus; durata: 98′.
Una contadina arriva a Roma per fare la domestica e la vita non le regala grandi soddisfazioni. Si innamora di un idraulico, ma la loro relazione non dura. Non le rimane che la luce del figlio che ha in grembo. «Un film di un giovane, e un film semplice, lineare, sentito, forse fin troppo semplice, per molti palati soliti a ben altro. Ma c’è una deliberata e decisa coerenza, in questo Pietrangeli che delinea un suo soggetto, ne sviluppa una sua sceneggiatura, e giunge alla regia di ogni inquadratura ben sapendo, istante per istante, che cosa dovrà trarne. Se il giovane regista avesse dedicato le sue molteplici fatiche a una vicenda più corposa e più appariscente, ne avrebbe forse composto un film di non minore valore, ma di un più vasto e sicuro successo. Si è imposto, invece, un tema di tutti i giorni, quasi in grigio, scegliendo a sua eroina una giovane servetta, in una modestia che si risolve in orgoglio. Forse non saranno molti, a riconoscere le sue orgogliose ambizioni sotto una veste, apparentemente, tanto modesta; ma quei non molti potranno apprezzare e gustare una regia meditata, coerente, sensibile. Ciò è talmente raro da doversi additare, sopratutto in un esordiente» (Gromo).
ore 19.00
Una storia milanese (1962)
Regia: Eriprando Visconti; soggetto e sceneggiatura: E. Visconti, Renzo Rosso, Vittorio Sermonti; fotografia: Lamberto Caimi; musica: John Lewis, montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Danièle Gaubert, Enrico Thibault, Romolo Valli, Lucilla Morlacchi, Regina Bianchi, Ermanno Olmi; origine: Italia/Francia; produzione: 22 Dicembre Cinematografica, Galatea, Lyre; durata: 95′.
Una storia milanese racconta la storia d’amore di due giovani belli e ricchi (Giampiero e Valeria). Sullo sfondo di un inverno milanese i due s’innamorano forse per noia o per convenzione, ma poi la ragazza rimane incinta e le cose cambiano…. Magnifica opera d’esordio di Visconti che oltre ai consensi di critica ottiene una serie di premi, fra i quali la segnalazione di merito della giuria internazionale al festival di Venezia e il Nastro d’argento 1962 a Romolo Valli quale miglior attore non protagonista. «Le doti del regista sono notevoli. Nel film vi sono sequenze che con grande efficacia rappresentano lo scollamento generale delle coscienze, belle immagini del grigio lombardo, gustosissime note di costume, e una buona recitazione da parte di Daniele Gaubert, Enrico Thibaut e soprattutto Romolo Valli» (Grazzini).
Vietato ai minori di anni 18
ore 20.45
Tre canne e un soldo (1954)
Regia: Florestano Vancini; commento: Gerardo Guerrieri; fotografia: Antonio Sturla; musica: Benedetto Ghiglia; origine: Italia; produzione: Este Film; durata: 10′.
Centinaia di pescatori, ogni anno, nelle paludi alle foci del Po tagliano il fiocco delle canne con il quale sono fabbricate le scope. Un lavoro estenuante e poco remunerato…«Con questo documentario, Vancini, si assume di diritto l’epiteto di poeta del fiume, dal momento che la sua opera di documentarista procede attraverso affascinanti e variabili esplorazioni del territorio fluviale padano» (Ivelise Perniola).
a seguire
Variazioni a Comacchio (1955)
Regia: Florestano Vancini; commento: Giovanni Comisso; fotografia: Mario Bernardo; musica: Benedetto Ghiglia; origine: Italia; produzione: Valpadana Film; durata: 9′.
La popolazione di Comacchio e la dura lotta per la sopravvivenza in un lembo di terra circondato dalle acque. «Dopo la pausa poetica di Solleone, Vancini ritorna all’impegno sociale e mostra le dure condizioni di vita degli abitanti delle paludose terre di Comacchio, rimanendo però ancorato ad una dimensione prettamente poetica» (Ivelise Perniola).
a seguire
Scano Boa (1961)
Regia: Renato Dall’Ara; soggetto: R. Dall’Ara, Lucia Avanzi dall’omonimo romanzo di Gian Antonio Cibotto; sceneggiatura: Tullio Pinelli, Ugo Moretti, Benedetto Benedetti, Rodolfo Sonego, Giorgio Cavedon, R. Dall’Ara; fotografia: Antonio Macasoli; musica: Roman Vlad; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Carla Gravina, José Suarez, Alain Cuny, Gianfranco Penzo, Emma Penella, Walter Santesso; origine: Italia/Spagna; produzione: Cinematografica Lombarda, Ara Cinematografica, Luvi; durata: 95′.
La pesca allo storione nel delta del Po è al centro di una storia di attese e di speranze, ma anche, collateralmente, di violenze e di morte. Dal romanzo di Cibotto nel 1996 è stato tratto un secondo film, interpretato da Franco Citti, nella parte del vecchio pescatore (nel film di Dall’Ara Alain Cuny) che, accompagnato dalla nipote, giunge al delta del Po per catturare uno storione. Dall’Ara si era affermato come documentarista, purtroppo i suoi lungometraggi (fra i quali segnaliamo Mercanti di vergini, girato nelle Langhe alla fine degli anni Sessanta) hanno sempre avuto problemi di distribuzione.
Vietato ai minori di anni 16
mercoledì 4
ore 17.00
Souvenir d’Italie (1957)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: Age & Scarpelli, da un’idea di Fabio Carpi e Nelo Risi; sceneggiatura: Age & Scarpelli, Dario Fo, A. Pietrangeli, [non accreditato] Armando Crispino; fotografia: Aldo Tonti; musica: Lelio Luttazzi; montaggio: Eraldo da Roma; interpreti: June Laverick, Vittorio De Sica, Isabelle Corey, Ingeborg Schoener, Isabel Jeans, Massimo Girotti; origine: Italia; produzione: Athena Cinematografica; durata: 100′.
Le avventure sentimentali di tre ragazze straniere in giro per l’Italia in autostop. «Il film contiene, a giudizio mio, un capitoletto eccezionale, incisivamente buffo, sostenuto da un Alberto. Sordi straordinariamente in vena. Dunque: Sordi e il mantenutello (Sergio) di una preziosa tardona (Cynthia [Isabel Jeans]) che lo ninna e lo vezzeggia in una culla d’oro. Tema arduo e antipatico se mai ve ne furono; ma guardate come lo svolge don Alberto, qui è veramente nelle sue corde, oppure baciato in fronte con la massima foga da Talia. È un Sordi, accidenti a lui, che sfido chiunque a descrivere. “Ma quale culla d’oro? Gabbia, cari miei, gabbia”, sembra dirci. È infantile e decrepito, ingenuo e corrotto, saggio e scemo, tiranno e schiavo. […] Che veloce e nitido capolavoro di ipocrisia, di innocente bassezza, di piacevole trivialità, è il Sergio di Alberto Sordi. Vi rimarrà a lungo in mente. […] L’altro motivo che mi induce a suggerirvi di non perdere questo film, è l’Italia in technicolor e in technirama. Gesù. Dall’inizio alla fine, quale meraviglia, quale incanto, quale festa delle feste geologiche è il nostro paese. Che diavolo abbiamo fatto, sentiamo, per averlo noi, proprio noi?» (Marotta).
ore 19.00
La ragazza con la valigia (1960)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto e sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Giuseppe Patroni Griffi, V. Zurlini; fotografia: Tino Santoni; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Claudia Cardinale, Jacques Perrin, Romolo Valli, Corrado Pani, Renato Baldini, Gian Maria Volonté; origine: Italia/Francia; produzione: Titanus, S.G.C.; durata: 121′.
Amore impossibile tra Aida, una ballerina dal passato burrascoso, e Lorenzo, uno studente timido, serio, di buona famiglia. «La ragazza con la valigia è nato da un incontro. Un giorno, a Milano […] ho incontrato una strana persona, oggi divenuta piuttosto celebre, con cui dovevo girare un filmetto pubblicitario per una marca di automobili. Per due giorni siamo stati insieme per girare il film, e la ragazza, che all’epoca faceva l’indossatrice, mi ha raccontato molte cose della sua vita: si trattava davvero del personaggio di Aida. Quando ho scritto la sceneggiatura, non ho fatto altro che ricordarmi di quello che mi aveva raccontato, di tutte quelle cose tanto tenere, commoventi, buffe talvolta, e così mi sono ritrovato già con un personaggio che viveva di vita autonoma. È bastato accompagnarla con un ragazzo ricordandomi un po’ dei miei sedici anni, poi facendo astrazione da me e guardando il personaggio maschile dal di fuori, per avere quella strana coppia che comincia subito a funzionare perfettamente e continua a funzionare fino alla fine del film. Erano due personaggi stranamente assortiti, appartenenti a mondi differenti, due solitari che esprimono nel loro incontro la volontà di aiutarsi reciprocamente» (Zurlini).
ore 21.15
Provini di Catherine Spaak e Stefania Sandrelli
a seguire
Io la conoscevo bene (1965)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto e sceneggiatura: A. Pietrangeli, Ruggero Maccari, Ettore Scola; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Piero Piccioni; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Stefania Sandrelli, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Robert Hoffmann, Jean-Claude Brialy, Joachin Fuchsberger; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Ultra Film, Le Film du Siècle, Roxy Film; durata: 125′.
«Ecco Adriana, una bella ragazza scappata a Roma dal Pistoiese. Ha cominciato come domestica, e se sulle prime s’è dovuta difendere dal lattaio, presto le barriere del pudore contadino hanno ceduto di fronte al mito degli amori romanzeschi coltivato da fumetti e canzoni. A poco a poco Adriana scivola, diviene come un oggetto, passa da un uomo all’altro con la stessa indifferenza con cui cambia mestiere. Parrucchiera, maschera in un cinema, cassiera in un bowling, la sua vita è una collezione di cotte per tipi che le sembrano meravigliosi, di passive accettazioni di maneschi dongiovanni, di umiliazioni che appena ne scalfiscono la vergogna. Amica del sole e del neon, fanatica del giradischi, vive alla giornata senza nemmeno la tagliente ambizione dell’arrivista; ma ogniqualvolta le si schiude un orizzonte, si consegna tutta intera alla speranza d’un grande futuro. […] Probabilmente questo è il più bel film che ci abbia dato sinora Antonio Pietrangeli. Non è nato improvviso: oggi si vede, guardando a ritroso, che quasi tutti i suoi ritratti di donna (da Il sole negli occhi a Nata di marzo, da Adua e le compagne a La parmigiana e alla Visita) preludevano ad Adriana, e anticipavano qualche sua componente psicologica, prima fra tutte quella tensione a collocarsi in un paesaggio più largo. Ora soltanto, però, il personaggio è giunto a completa maturazione, e Pietrangeli (coadiuvato per il soggetto e la sceneggiatura da Maccari e Scola) è riuscito a proporcelo in tutta la sua ricchezza di motivi come amarissimo simbolo d’una moderna condizione morale e sociale» (Grazzini).
Vietato ai minori di anni 14
giovedì 5
ore 17.00
Come, quando, perché (1968)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: dal romanzo Amour terre inconnue di Martin Maurice; sceneggiatura::Tullio Pinelli, A. Pietrangeli; fotografia: Mario Montuori; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Philippe Leroy, Danielle Gaubert, Horst Buchholz, Elsa Albani, Lilly Lembo, Liana Orfei; origine: Italia/Francia; produzione: Documento Film,Columbia Films (Francia); durata: 103′.
«Paola, moglie di Marco, conosce Alberto durante un ricevimento. Lui la corteggia senza risultati e lei per troncare quel rapporto che non vuole parte in anticipo per le vacanze. Raggiunta da Alberto la donna gli cede ed instaura con lui una relazione che si protrae anche dopo il ritorno in città» (Poppi/Pecorari). «Mentre sta girando il film, Pietrangeli affoga nel mare di Gaeta il 12 luglio 1968. Completato e montato da Valerio Zurlini, Come, quando, perché esce un anno dopo, senza la firma di Pietrangeli. Si possono fare alcune considerazioni. Al centro del racconto è ancora una figura femminile, Paola, signora della ricca borghesia torinese, sposata felicemente, che scopre il piacere di una sessualità vissuta senza inibizioni solo dopo una relazione extraconiugale. Le novità significative sono date dalla tonalità e dal linguaggio. Non è più la commedia a fornire l’intelaiatura. Il climax è quello tormentato di un dramma a sfondo sessuale. Il cambio di registro linguistico è notevole rispetto a Io la conoscevo bene […]. Per la prima volta, dopo molti anni, la sceneggiatura non è scritta insieme a Maccari, ma con Tullio Pinelli. L’assenza di Maccari è temporanea […]. La sceneggiatura prevedeva, tra l’altro, anche la partecipazione di Allen Ginsberg, nella parte di se stesso, che recita versi durante una serata di poesia» (Maraldi).
ore 19.00
Il magnifico cornuto (1964)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: dalla commedia Le cocu magnifique di Fernand Crommelynck; sceneggiatura e dialoghi: Diego Fabbri, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Stefano Strucchi; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Armando Trovajoli; interpreti: Ugo Tognazzi, Claudia Cardinale, Salvo Randone, Paul Guers, Bernard Blier, Michèle Girardon; origine: Italia/Francia; produzione: Sancro, Les Films Copernic; durata: 124′.
Un uomo, dopo aver tradito la moglie con una donna sposata, si rende conto della facilità con la quale avvengono i tradimenti e incomincia a insospettirsi della moglie e a ossessionarla con la sua gelosia. Finché la moglie è costretta a confessargli un tradimento… «In realtà egli non tanto vuole che la moglie gli sia fedele: quanto di non soffrire più di gelosia» (Moravia). «Gli sceneggiatori si servono dell’ossessione del protagonista per indagare vizi e virtù di una borghesia provinciale, non assillata da problemi economici, tutta presa da pruriti sessuali, da relazioni extraconiugali da imbastire e da nascondere. Da una di tali relazioni nasce il meccanismo che farà scattare nel protagonista prima il dubbio e poi il tormento» (Maraldi).
Vietato ai minori di anni 14
ore 21.10
Fata Marta (ep. de Le fate, 1966)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: dal romanzo Amour terre inconnue di Martin Maurice; sceneggiatura: Rodolfo Sonego; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Alberto Sordi, Capucine, Anthony Steel, Olga Villi, Gigi Ballista; origine: Italia; produzione: Documento Film; durata: 35′.
Un cameriere-autista presta servizio per una serata da una contessa durante una festa. Sul finire della serata viene incaricato di portare una camomilla in una stanza da letto. Qui trova una donna ubriaca e seminuda sdraiata sul letto, che lo invita a fare l’amore. Il giorno dopo scoprirà che la donna è la moglie del professore, dal quale è stato chiamato a prestare servizio come autista, grazie all’interessamento della contessa… «In questo breve e gustoso racconto dall’impianto chapliniano (quando lei è ubriaca si rivolge a Giovanna come a un amante, quando è sobria lo tratta da persona di servizio), Pietrangeli si limita al ruolo di director, muovendosi con sicurezza e ironia negli ambienti dell’alta società» (Maraldi). Gli altri episodi sono diretti da Luciano Salce, Mario Monicelli, Mauro Bolognini.
Vietato ai minori di anni 14
a seguire
Un dramma borghese (1979)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal romanzo di Guido Morselli; sceneggiatura: Lucio Manlio Battistrada, F. Vancini; fotografia: Alfio Contini; musica: Riz Ortolani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Franco Nero, Dalila Di Lazzaro, Lara Wendel, Carlo Bagno, Felicita Monfrone, Silvio Pascoletti; origine: Italia; produzione: A.M.A. Film; durata: 104′.
Rimasto vedova, Guido ritira Mimmina, la figlia sedicenne, dal collegio. I due decidono di fermarsi in un albergo, dove sono raggiunti da un’amica della ragazza, la quale diventa ben presto l’amante di Guido. Ciò scatena la gelosia di Mimmina. «Esplicito omaggio alla memoria dello scrittore Morselli e apologo sulla difficoltà di capirsi tra generazioni diverse, il film sfiora il tema dell’incesto con pudore ed eleganza formale, in un gradevole intreccio di commedia e tragedia» (Grazzini).
Vietato ai minori di anni 14
venerdì 6
ore 17.00
Cronaca familiare (1962)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: dal romanzo omonimo di Vasco Pratolini; sceneggiatura: Mario Missiroli, V. Zurlini; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Goffredo Petrassi; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Marcello Mastroianni, Jacques Perrin, Valeria Ciangottini, Salvo Randone, Sylvie, Serena Vergano; origine: Italia; produzione: Titanus, Metro; durata: 122′.
Enrico, giovane giornalista di un giornale romano, riceve l’annuncio della morte del fratello minore Dino. Folgorato dal dolore ripercorre con la memoria il proprio passato, e rivive la sua tormentata “cronaca familiare”, sotto forma di un commosso colloquio col fratello. «Cronaca familiare avrebbe dovuto essere il mio primo film. Sono andato a trovare Pratolini per conoscerlo dopo aver letto Cronaca familiare, un libro che mi aveva colpito in modo incredibile. Così cominciò l’amicizia con Pratolini e nacque l’idea un po’ folle – eravamo nel 1952 – di girare Cronaca familiare a colori. Se il film si fosse fatto all’epoca, saremmo stati su posizioni di totale avanguardia. Quando mi proposero di riprendere il progetto, diversi anni dopo, accettai perché è evidente che Cronaca familiare non era affatto invecchiato. […] In Cronaca familiare ho volutamente abolito i movimenti di macchina, la composizione talvolta un po’ elaborata delle mie inquadrature, ho ridotto al minimo i costuni, l’evocazione storica viene data da qualche simbolo, ho puntato tutto sulla “staticità”, sui dialoghi, sulle battute molto lunghe di tono letterario, ho creduto in un film apparentemente senza storia. […] Mi sembrava che nel libro mancassero delle pagine e chiesi a Pratolini di scriverle. Pratolini riconobbe l’effettiva mancanza di queste pagine, spiegandomene il motivo, ed accettò di scrivere qualcosa per raccontare simbolicamente quello che poteva essere stata l’opposizione tra lui e suo fratello. Di fatto, esistono nel film due sequenze che nel libro non ci sono, ma sono comunque anch’esse di Pratolini» (Zurlini). Il restauro del film, avviato nel 2004 e concluso in aprile 2005, è stato realizzato dalla Cineteca Nazionale con la supervisione di Giuseppe Rotunno, direttore della fotografia del film. Per il restauro sono stati utilizzati i materiali originali, depositati in due laboratori differenti: il negativo immagine a Technicolor di Los Angeles a nome della Warner Bros, attuale avente diritto americano; e il negativo suono a Technicolor di Roma, a nome della Titanus, casa produttrice del film.
ore 19.15
Plagio (1968)
Regia: Sergio Capogna; soggetto e sceneggiatura: S. Capogna; fotografia: Antonio Piazza; musica: Dirtan Michailev; montaggio: S. Capogna; interpreti: Mita Medici, Alain Noury, Ray Lovelock, Cosetta Greco, Dino Mele, Giuliano Disperati; origine: Faser Film, Prodimex Film; durata: 88′.
Amore à trois fra studenti universitari in quel di Bologna: Angela, fidanzata con Massimo, si concede anche a Guido, creando dei dissidi fra i due amici. Ma il rapporto che li lega è molto forte. Melodramma intriso di malinconia, calato in un’atmosfera zurliniana, precedente però a La prima notte di quiete, film con quale ha molte affinità (il famoso cappotto…), scandito da una magnifica colonna sonora. «Dunque, se la necessità di un film sta in un quid interiore che va oltre i contenuti e la forma, ci pare di intravvedere in questo malinconico e triste film di Capogna le linee di una sostanza intima, una poesia delle cose, e riesce a comunicarci emozioni che oltrepassano il frasario chiuso della materia narrativa. […] Comunque il suo è un film piuttosto ingenuo, ma non banale […] un film testardo» (Turroni).
Vietato ai minori di anni 18
ore 21.00
La prima notte di quiete (1972)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: V. Zurlini; sceneggiatura: Enrico Medioli, V. Zurlini; fotografia: Dario Di Palma; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Morra; interpreti: Alain Delon, Sonia Petrova, Lea Massari, Giancarlo Giannini, Salvo Randone, Alida Valli; origine: Italia/Francia; produzione: Mondial Te.Fi. – Televisione Film,Adel Productions, Valoria Films; durata: 132′.
Daniele, un insegnante quasi quarantenne senza radici, trova un incarico di supplente in un liceo di Rimini. Entrato nel giro notturno di alcuni mediocri “vitelloni” locali, egli è attratto dalla sua allieva Vanina, già a sua volta legata da un arido rapporto senza amore con uno di loro, il cinico Gerardo. «Tuttavia, direi che La prima notte di quiete è nato davvero per la voglia che avevo di mettere in scena un personaggio del genere. Un personaggio frutto ovviamente di numerosi incontri, forse di certe somiglianze con me stesso, quella base di nichilismo, quel cristianesimo rifiutato ma presente… È un personaggio nato in modo molto strano, in un momento di estrema diffidenza: non trovavo niente di personale da raccontare. Un giorno, mi metto alla scrivania e in venti giorni scrivo in un racconto di cento pagine la storia di quest’uomo alla fine della vita – il racconto esiste ancora e credo che non sia male. Ma questo racconto oggettivo, ha origine anche da quelle stagioni invernali, così brutali, così violente, così incanaglite, così antifemminili, così oppressive, così eccessive, stagioni che pure avevo conosciuto. Quella costiera adriatica che avevo visto l’inverno, quando non c’è l’esplosione del turismo estivo, stretta dal rancore, dalla ferocia, dalla violenza. L’avevo vista, quella violenza dell’uomo sulla donna. La prima notte di quiete è un film molto legato ad un certo ambiente geografico. Contiene anche un aspetto di “storia popolare”: la storia di un uomo che ha un rapporto ormai di morte con gli altri, e che incontra la giovinezza. Una giovinezza che nasconde in realtà la morte: è un romanzo popolare vecchio come il mondo. […] [Il titolo del film] è un verso di Goethe che si può tradurre più o meno così: “La morte, la prima notte di quiete”» (Zurlini).
sabato 7
ore 16.45
Uomini soli (1959)
Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: F. Vancini; commento: Stelio Martini; fotografia: Aldo Nascimbene; musica: Daniele Paris; origine: Italia; produzione: E. Ferrari; durata: 16′.
La triste realtà del dormitorio pubblico di Ferrara, dove persone senza famiglia e occupazione trascorrono la notte. «L’accento posto da Vancini sulla solitudine, più che sull’emarginazione sociale e sulla povertà, si rivela centrale per comprendere l’importanza che il legame famigliare riveste nell’Italia di questi anni. La peggior sventura non è esser poveri, ma essere soli» (Ivelise Perniola).
a seguire
Amore amaro (1974)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal racconto Per cause imprecisate di Carlo Bernari; sceneggiatura: Suso Cecchi d’Amico, F. Vancini; fotografia: Dario Di Palma; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Lisa Gastoni, Leonard Mann [Leonardo Manzella], Rita Livesi, Germano Longo, Maurizio Fiori, Nino Dal Fabbro; origine: Italia; produzione: Fral; durata: 110′.
A Ferrara, alla fine degli anni Trenta, uno studente universitario, figlio di un antifascista in carcere, si innamora di una vedova più anziana di lui, sostenitrice del regime. La diversa fede politica incrina il rapporto tra i due. «Curiosamente, Vancini e Suso Cecchi d’Amico hanno preso un racconto romano di Carlo Bernani (50 pagine del volume Per cause imprecisate, pubblicato da Mondadori) e l’hanno trasformato in una storia ferrarese di Giorgio Bassani. Nelle delicate pagine di Bernani lo sfondo storico è appena accennato: e la storia d’amore fra la bella vedova matura e il giovane tintore intellettuale è tutta affidata ai moti del cuore» (Kezich). «Se i miei film melodrammatici sono caratterizzati da un certo distacco, ciò è legato ad una precisa volontà. Probabilmente, se mi fossi avvicinato alla materia in maniera più disinvolta, più passionale, avrei ottenuto quella marcia in più. Ho cercato di mantenere le distanze, ma senza rinunciare del tutto all’istinto; in definitiva, amo la lirica, e dunque la nostalgia, il rimpianto in essa implicita» (Vancini).
Vietato ai minori di anni 18
ore 19.00
La lunga notte del ’43 (1960)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal racconto Una notte del ’43 di Giorgio Bassani; sceneggiatura: F. Vancini, Ennio De Concini, Pier Paolo Pasolini; fotografia: Carlo Di Palma; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Belinda Lee, Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno, Andrea Checchi, Nerio Bernardi, Gino Cervi; origine: Italia; produzione: Ajace Produzioni Cinematografiche, Euro International Film; durata: 106′.
Nel novembre del ’43 un fascista fa ammazzare il console di Ferrara, facendo ricadere la responsabilità del delitto sugli antifascisti. Riesce così a riappropriarsi della carica di dirigente provinciale del partito e far fucilare alcuni noti antifascisti. Quindici anni dopo i fatti riemergono dall’oblio… Pestelli salutò con entusiasmo l’esordio del regista: «Esordienti così preparati non possono che far del bene al nostro cinema». «Rispetto all’opera letteraria sono stati aggiunti dei personaggi, inesistenti nel racconto; inoltre il finale è completamente diverso. Non si tratta di una ricostruzione storica rigorosa, ciò nonostante il massacro di cui si parla accadde realmente. Io stesso vidi quei corpi: avevo diciassette anni, stavo andando a scuola in bicicletta, quando sentii dire che in centro c’erano dei morti. Questo è quello che è vero storicamente, tuttavia Bassani ne ha fatto una rielaborazione abbastanza libera; il farmacista protagonista della vicenda, ad esempio, nella realtà non esiste» (Vancini).
Vietato ai minori di anni 16
ore 21.00
Il mercato delle facce (1952)
Regia: Valerio Zurlini; fotografia: Pier Ludovico Pavoni; montaggio: Luciano Fineschi; collaborazione alla regia: Rinaldo Ricci, Giulio Questi; voce: Arnoldo Foà; interpreti: Luisa Pizzi, Giuseppe La Torre, Armando Varriale, Mariolina Bovo, Gianni Franciolini, Francesco Rosi; origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 12′.
«Il mercato delle facce, girato quasi interamente in una stanza del sindacato generici e comparse, è dedicato con solidarietà e attenzione ai poveri relitti che si guadagnavano sì e no di che mangiare ai margini del mondo del cinema. Una curiosità del film è costituita dal fatto che vi comparvero il povero Gianni Franciolini, Franco Rosi e Franco Zeffirelli in veste di attori» (Zurlini). Il cortometraggio era abbinato a Gli undici moschettieri di Ennio De Concini e Fausto Saraceni. Medaglia d’oro per la miglior regia alla prima edizione della Mostra Nazionale del Nazionale del Documentario, Pisa 1952.
a seguire
Racconto del quartiere (1950)
Regia: Valerio Zurlini; fotografia: Tino Santoni; montaggio: Mario Nascimbene; voce: Tina Lattanzi; origine: Italia; produzione: Industrie Cinematografiche Sociali; durata: 11′.
Una giornata, dall’alba al tramonto, del quartiere romano di Trastevere. Strade di sanpietrini lucidi, illuminati dal primo raggio di sole, le persiane sono chiuse, un campanile, una donna che, come un’ombra, attraversa la strada, un gattino accanto a un’inferriata… La macchina da presa sosta al lavatoio, cogliendo gesti e volti di donne al lavoro. Poi, quando il sole è alto, s’inoltra in “mercati piccoli, incuneati in angoli di strade”. Le donne si parlano da una finestra all’altra, i bambini giocano. A Regina Coeli, scrutata in ampie panoramiche e in piccoli dettagli, il tempo sembra sospeso. Le due. “Trastevere riposa immobile dal Gianicolo alla Lungara”. Strade e vicoli vuoti.
a seguire
Estate violenta (1959)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: V. Zurlini; sceneggiatura: V. Zurlini, Suso Cecchi D’Amico, Giorgio Prosperi; fotografia: Tino Santoni; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Eleonora Rossi Drago, Jean Louis Trintignant, Jacqueline Sassard, Cathia Caro, Enrico Maria Salerno, Lilla Brignone; origine: Italia; produzione: Titanus; durata: 98′.
Riccione, luglio 1943. Un giovane di famiglia fascista s’innamora della vedova di un combattente. Ben presto gli avvenimenti precipitano e i due decidono di fuggire. «Molti mi hanno rimproverato di non aver saputo operare la fusione tra il fatto storico e la vicenda privata; dal canto mio, posso dire che Estate violenta è stato fatto tra incredibili difficoltà. Doveva essere girato in otto settimane, non avevo neanche le divise dei soldati, l’abbiamo fatto con quattro soldi in condizioni di miseria estrema fino alla vigilia della scena del bombardamento. Goffredo Lombardo, il produttore, fece allora una scelta che cambiò le sorti del film, decidendo di buttare in quella sequenza i mezzi di un film normale, e anche qualcosa di più. Naturalmente, alla fine, questo “peso” di avventura collettiva, sia pure concentrato nel solo bombardamento, ma messo in scena con mezzi quasi all’americana, capovolge la qualità del film, fino ad allora di natura intimista, tutto nel gioco degli attori, fatto di sguardi, di sottintesi. Grazie a questa fusione finale, il film ebbe un successo straordinario quando uscì: erano in molti a ricordarsi di quel periodo […] e si riconobbero nel film. Con il ritratto dell’ambiente analizzato in Estate violenta avevo cercato non di dare un’analisi critica, ma di ricordarmi di certe impressioni visuali provate nel corso di quell’estate del 1943. Cercavo di ritrovare il vuoto che circondava la gioventù del periodo, un vuoto intellettuale, culturale, un vuoto di fiducia, un’assenza di aspettative nel futuro» (Zurlini).
domenica 8
ore 16.30
Il deserto dei tartari (1976)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: André G. Brunelin, Jean-Louis Bertuccelli, dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati; sceneggiatura: André G. Brunelin; dialoghi italiani: V. Zurlini; musica: Ennio Morricone; montaggio: Kim Arcalli, Raimondo Crociani; interpreti: Jacques Perrin, Vittorio Gassman, Giuliano Gemma, Helmut Griem, Philippe Noiret, Jean-Louis Trintignant; origine: Italia/Francia/Germania Occidentale; produzione: Cinema Due, Fildebroc, Films de l’Astrophore, F. R. 3, Reggane Films, FIDCI, Corona Filmproduktion; durata: 150′.
Il ventenne tenente di fresca nomina Drogo viene assegnato, forse per errore, alla fortezza Bastiani, ultimo baluardo posto ai confini dell’impero prima del deserto anticamente popolato dai Tartari. Nella postazione avanzata, tutti aspettano con ansia l’eventuale arrivo dei nemici come riscatto dall’opprimente grigiore della vita di guarnigione. «Il primo a voler girare Il deserto dei Tartari è stato Antonioni, poi Vittorio Gassman, Mauro Morassi, Franco Brusati… Insomma, è un progetto che ha interessato un po’ tutti i cineasti italiani. Quasi una chimera, un film impossibile. […] L’interesse per un adattamento cinematografico coinvolge allora i francesi: Jacques Perrin pensa per primo di fare un film a partire dal Deserto dei Tartari. […] Il film, costato quasi due miliardi di lire, ma in Francia ne sarebbe costati tre, è stato coprodotto da Italia, Francia, Germania e Iran. […] La mia intenzione era di fare un finale estremamente fedele al libro. […] Non è stato fatto perché per finire il film abbiamo dovuto pagarci le spese di viaggio. Abbiamo finito tutto il denaro disponibile: Jacques Perrin correva disperato tra Roma e Parigi per trovare il modo di comprare un po’ di pellicola. […] È davvero per la mancanza di mezzi che non abbiamo potuto girare un finale conforme al libro, e seguire il finale previsto da Brunelin nella sceneggiatura. […] Ho fatto otto film, e nei miei otto film c’è un tema minore – quello di Buzzati – che è contenuto nel tema maggiore. Vivere la vita non ha altro fine che lasciarla passare e la morte è l’unica giustificazione. Io arrivo alla morte in tre dei miei film, Cronaca familiare, Seduto alla sua destra, La prima notte di quiete, con lo stesso significato che in Buzzati: la morte è la ragione della fine dei sentimenti. La validità di un sentimento non esiste, la validità di un’illusione non esiste, non c’è idealismo che tenga, non c’è nulla che sia al di fuori dell’amara sopravvivenza. Esiste una consolazione cristiana ma in un senso laico […]. Così, senza arrivare alla grandezza tematica di Buzzati, tutti i miei film si assomigliano, dal primo all’ultimo. È inutile amarsi perché amarsi implica l’infelicità, è inutile credere in qualcuno, perché ci deluderà» (Zurlini).
ore 19.15
Un amore (1965)
Regia: Gianni Vernuccio; soggetto: dal romanzo omonimo di Dino Buzzati; sceneggiatura: Ennio De Concini, Eliana De Sabata, Enzo Ferraris; fotografia: Aldo Scavarda; musica: Giorgio Gaslini; montaggio: Gianni Vernuccio; interpreti: Rossano Brazzi, Agnès Spaak, Gérard Blain, Marisa Merlini, Lucina Morlacchi, Alice Field; origine: Italia/Francia; produzione: Produzione Vernuccio, Prima Film, P.I.P. – Paris International Productions (Francia); durata: 96′.
«A Milano l’architetto Antonio Dorigo (Brazzi) conosce in una casa d’appuntamenti la giovane Laide (Spaak). Presto non può più farne a meno e sopporta ogni umiliazione e inganno da parte della ragazza, che ha vari altri amanti: compreso il giovane Marcello (Blain), col quale tresca sotto i suoi occhi. E un matrimonio borghese non guarisce Antonio. Adattamento con qualche variante del romanzo di Dino Buzzati […]. Ai tempi lo videro in pochi e non piacque. Tuttavia, se è vero che la regia corretta e senza voli di Vernuccio è un po’ asfittica, risulta anche funzionale nel rappresentare una mania devastante quanto quella di Lolita, meno suscettibile di interpretazioni simboliche ma più fisica e carnale. E la descrizione dell’ipocrisia (col personaggio invadente della mezzana [Merlini]) è piuttosto forte per l’epoca. Brazzi accetta con coraggio un ruolo sgradevole. […] Importante il ruolo delle musiche di Giorgio Gaslini; la canzone dei titoli di coda è cantata da Pino Donaggio» (Mereghetti).
Vietato ai minori di anni 18
ore 21.00
Adua e le compagne (1960)
Regia: Antonio Pietrangeli; soggetto: Ruggero Maccari, Ettore Scola, A. Pietrangeli; sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola, A. Pietrangeli, Tullio Pinelli; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Piero Piccioni; interpreti: Simone Signoret, Sandra Milo, Emanuelle Riva, Gina Rovere, Claudio Gora, Ivo Garrani; origine: Italia; produzione: Zebra Film; durata: 106′.
Entrata in vigore la legge Merlin, Adua e le compagne decidono di proseguire il “mestiere” clandestinamente, dietro la facciata di una trattoria fuori città. Costituiscono una società e rilevano una cascina di campagna, che puliscono e sistemano riscoprendo la semplicità di una vita “normale”. Ma il passato non si può cancellare… «e per poter fare strada delle povere donne come loro non possono fare a meno di rivolgersi a protezioni e ad appoggi che in definitiva le conducono di nuovo alla rovina. Una tesi polemica, dunque, che la regia ha risolto spesso con mano ferma e sicura disegnandoci con buona intuizione psicologica i caratteri delle quattro protagoniste e risolvendo non di rado le situazioni drammatiche che le hanno al centro con piglio forte e risoluto, felice nell’evocare i climi affannosi e drammatici e felice, soprattutto, nell’alternarli, con tranquilla misura, a climi se non propriamente comici almeno amabilmente umoristici» (Rondi).
Vietato ai minori di anni 16
lunedì 9
chiuso
martedì 10
ore 17.00
Le soldatesse (1965)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: dall’omonimo romanzo di Ugo Pirro; sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, V. Zurlini; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Anna Karina, Marie Laforêt, Lea Massari, Rossana Di Rocco, Valeria Moriconi, Tomas Milian; origine: Italia/Francia; produzione: Debora Film – Zebra Film, Franco London Film,Omnia Deutsch, Avala Film; durata: 120′.
Fronte greco, 1942. Il tenente di fanteria Gaetano Martino viene incaricato di scortare un gruppo di prostitute destinate alle sedi militari. Dapprima offeso nella sua dignità di combattente, il giovane tenente sviluppa gradualmente un senso di solidarietà nei confronti di quella povera umanità degradata e si rende conto che molte di quelle donne hanno scelto il “mestiere” spinte dalla miseria e dalla fame. «Credo che l’interesse dei produttori per il progetto derivasse dal carattere un po’ paradossale del soggetto: un giovane ufficiale italiano deve condurre a destinazione non un plotone di soldati ma un gruppo di prostitute. Fu Morris Ergas a chiamarmi perché mi occupassi del film, circa un anno prima delle riprese. Presi conoscenza della sceneggiatura scritta da Piero De Bernardi e Leo Benvenuti, una sceneggiatura che mi pareva molto affascinante per certi aspetti […]. In fondo, la sceneggiatura partiva da una chiave di natura intimista: poco a poco l’ufficiale, nel corso del viaggio lungo e avventuroso, finiva per considerare quelle quindici povere ragazze che si prostituivano per miseria, come dei veri soldati del suo plotone. Mi pareva che la nascita di un rapporto così intenso all’epoca dell’occupazione italiana in Grecia costituisse un tema assai stimolante […]. Alla fine della guerra gli italiani sono stati abilissimi a far cadere tutte le responsabilità su Mussolini e sui tedeschi. Secondo me, ciò che fa l’importanza di Le soldatesse, importanza spesso misconosciuta, è il fatto che il film dice: “No, la colpa non era loro ma nostra, anche noi abbiamo fatto la guerra come loro e ci siamo comportati male”. E infatti è l’unico film italiano in cui si vede un massacro commesso da italiani, un atto di rappresaglia compiuto dalle camice nere, cioè dagli uomini che si distinguevano dai soldati normali soltanto per una differenza ideologica» (Zurlini).
Vietato ai minori di anni 14
ore 19.15
La banda Casaroli (1962)
Regia: Florestano Vancini; soggetto e sceneggiatura: Sergio Perucchi, Stefano Strucchi, F. Vancini; fotografia: Alessandro D’Eva; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Tatiana Casini; interpreti: Renato Salvatori, Jean-Claude Brialy, Tomas Milian, Gabriele Tinti, Adriano Micantoni, Isa Querio; origine: Italia; produzione: Documento Film, Le Louvre Film; durata: 100′.
Le gesta della banda Casaroli, tristemente nota alle cronache per una serie di rapine in banca compiute nel 1950, partendo da Bologna, in alcune città italiane. Vancini «ha avuto […] la mano felice nel contrasto tra i fatti e la cornice, sulla singolarità di una tragedia americanizzata, inquadrata nella più pacifica e refrattaria città italiana, Bologna: sia nel disegno dei personaggi, sia nell’analisi del loro rapporto, sia nell’immergere la loro vicenda nella brumosa e malinconica scenografia dell’inverno petroniano» (Cattivelli). Il film fu rimontato per volere di De Laurentiis e a Vancini non piacque la nuova versione. «Ho conosciuto i ragazzi della generazione Casaroli: gente che usciva dalla guerra con le armi in tasca, o a portata di mano» (Vancini).
Vietato ai minori di anni 14
ore 21.15
Banditi a Milano(1968)
Regia: Carlo Lizzani; soggetto: C. Lizzani; sceneggiatura: Massimo De Rita, Dino Maiuri, C. Lizzani; fotografia: Giuseppe Ruzzolini; musica: Riz Ortolani; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Gian Maria Volonté, Tomas Milian, Margaret Lee, Don Backy, Ray Lovelock, Ezio Sancrotti; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 102′.
La caduta della banda capitanata da Pietro Cavallero, che nella seconda metà degli anni Sessanta si rese protagonista di 17 rapine. «Lizzani ha mano felice nel rappresentare la natura impiegatizia, prosaica e piccolo-borghese di questi gangster padani: il mattino della rapina, Cavallero e i suoi si alzano di buon’ora, si recano da Torino a Milano in pullman e fanno la colazione al bar, come comuni pendolari. Rispetto a Svegliati e uccidi, la costruzione drammaturgica è più complessa e stratificata, affidata a una serie di flashback che intervallano l’interrogatorio del complice di Cavallero catturato subito dopo il colpo. La rapina al Banco di Napoli e il lunghissimo inseguimento in auto che segue posseggono un dinamismo e una forza visiva tuttora notevoli, mentre il capoluogo lombardo è uno scenario vivido e credibile» (Curti).
mercoledì 11
ore 17.00
La baraonda (1980)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: Massimo De Rita, Lucio Battistrada, F. Vancini; sceneggiatura: L. Battistrada, F. Vancini; fotografia: Alfio Contini; musica: Fiorenzo Carpi; montaggio: Enzo Meniconi; interpreti: Giuliano Gemma, Edy Angelillo, Aschiei Bacchiella, Walter Avogadri, Andrea Roncato, Francesco Salvi; origine: Italia; produzione: A.M.A. Film, Uti produzioni Associate; durata: 107′.
Durante la Sei giorni ciclistica al Palasport di Milano il giovane medico di turno rincontra una ragazza estroversa, dalla quale aveva avuto un figlio. È l’occasione per riavvicinarsi nella “baraonda” generale. «La “Sei giorni” come una corsa di matti condannati a darsi la caccia, il Palazzo dello sport di Milano come un girone dantesco nel quale un’umanità variopinta s’accalca, si spinge e recita una tragica festa. Cioè il gran bailamme dell’epoca nostra, kermesse e babele: la baraonda. […] Il film è un apologo pessimista (un po’ come lo fu L’ingorgodi Comencini) con venature agrodolci, ma medicato da due speranze: nel coraggio delle giovani donne, che ormai sanno affrontare da sole l’ignoto, e nell’avvento messianico di qualcosa o qualcuno, sia pure un disco volante, che fermi la trottola impazzita. […] Date come cornice alla recita la pista e la platea del Palasport, con le gare dei ciclisti e i numeri d’attrazione, e l’apologo di Vancini acquista tutto il suo sapore: appunto sul disordine e le contraddizioni di oggi, sulla società che diventa spettacolo, e la disperazione che potremmo trarne se il mondo non ospitasse anche ragazze intrepide come Erminia» (Grazzini). «Abbiamo girato in tre settimane: una settimana intera di notte, e nelle altre due abbiamo ripreso tutto quello che era al di fuori della pista, e non includeva la folla. Quando dico “girato in tre settimane” non lo faccio né per vantarmi né per altro: era il tempo che mi serviva, il tempo necessario» (Vancini).
ore 19.00
L’ingorgo (1979)
Regia: Luigi Comencini; soggetto: L. Comencini; sceneggiatura: L. Comencini, Ruggero Maccari, Bernardino Zapponi; fotografia: Ennio Guarnieri; musica: Fiorenzo Carpi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Alberto Sordi, Annie Girardot, Fernando Rey, Patrick Dewaere, Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi; origine: Italia/Francia/Germania/Spagna; produzione: Clesi Cinematografica, Greenwich Productions, José Frade Producciones, Albatros Film; durata: 125′.
«Ci sono delle automobili in una Roma che sembra impazzita. Tutte le strade sono intasate e le automobili confluiscono in un punto dove c’è un blocco totale. E non possono più muoversi. A bordo, i passeggeri passano presto dall’attesa all’esasperazione e poi all’angoscia. Fino ai limiti della pazzia. Incapaci di fare qualcosa, incapaci di aiutarsi gli uni con gli altri. Chiusi, anzi, in un caparbio rifiuto di ragionare su quello che sta accadendo e di trovarvi un rimedio. Aspettano. Ciechi e sordi. E alla fine moriranno. Perché quell’ingorgo diventerà una tomba per tutti. Ecco, ho pensato che oggi tutti quelli che vanno in automobile non si incontrano mai, non si conoscono, ciascuno preso dai propri problemi e totalmente incapace di pensare a quelli degli altri. Un nuovo tipo di incomunicabilità, se vuoi, di natura quasi tecnica» (Comencini).
ore 21.15
La violenza: quinto potere (1972)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: dalla commedia La violenza di Giuseppe Fava; sceneggiatura: Massimo Felisatti, Fabio Pittorru, F. Vancini, con la collaborazione di Dino Maiuri, Massimo De Rita; fotografia: Toni Secchi; musica: Ennio Morricone; montaggio: Tatiana Morigi Casini; interpreti: Enrico Maria Salerno, Gastone Moschin, Riccardo Cucciolla, Julien Gujomar, George Wilson, Mario Adorf; origine: Italia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica; durata: 101′.
In un tribunale siciliano è in corso il processo contro due cosche mafiose in lotta fra di loro per una diga da costruire. Solo due imputati sono disposti a parlare… Grande prova di Ciccio Ingrassia in un ruolo, per lui inconsueto, drammatico. «Da poco era nata la prima commissione antimafia del parlamento italiano, presieduta dall’avvocato genovese Cattanei. Nel ’72 pubblica i primi atti, così noi ci precipitiamo alla libreria di Montecitorio. Erano documenti sconvolgenti, secondo me tuttora validissimi. Avevano capito tutto, compreso quello che sarebbe successo in seguito. Dai documenti risultavano coinvolgimenti di cariche politiche, con relativi nomi. Tutto questo materiale “politico”, naturalmente, nel dramma di Fava non c’era. Ce ne servimmo per la sceneggiatura. L’operazione consisteva nell’innestare all’interno del nucleo narrativo rappresentato dal dramma le trame politiche scaturite dagli atti parlamentari» (Vancini).
Vietato ai minori di anni 14
giovedì 12
ore 17.00
La neve nel bicchiere (1984)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: dal romanzo omonimo di Nerino Rossi; sceneggiatura: Massimo Felisatti, F. Vancini; fotografia: Aldo Di Marcantonio; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Enzo Meniconi; interpreti: Massimo Ghini, Anna Teresa Rossini, Antonio Piazza, Luigi Mezzanotte, Marne Maitland, Anna Lelio; origine: Italia; produzione: Ve-Ga Produzioni, Rai; durata: 153′.
Le vicende di una famiglia della Bassa Padana dal 1898 al 1927. «Il libro di Nerino Rossi, largamente autobiografico, arriva sino alla seconda guerra mondiale, e il film si arresta invece assai prima. Ma questo non gli nuoce, anzi forse gli giova sottolineare il senso d’un tragitto storico che si compie con l’inurbarsi di quella famiglia e il suo dischiudersi alla civiltà dell’istruzione. Un tragitto assai ricco di motivi, che Felisatti ha colto con sincera partecipazione ai valori morali e del costume, alle pieghe psicologiche e sentimentali, al significato di certe figure del tempo (Mussolini, Don Minzoni), e Vancini visivamente espresso con un realismo ben controllato onde evitare i rischi dell’agiografia demagogica e del pietismo nostalgico» (Grazzini). «Non conoscevo personalmente Rossi, solo in seguito siamo diventati amici. Leggendo il suo primo romanzo, dal titolo La neve nel bicchiere, mi resi conto che la storia della sua famiglia era per certi versi anche la storia della mia famiglia» (Vancini).
ore 19.45
Gli ultimi (1962)
Regia: Vito Pandolfi; soggetto: David Maria Turoldo; sceneggiatura: D. M. Turoldo, V. Pandolfi, con la collaborazione di Mario Casamassima; fotografia: Armando Nannuzzi; coordinamento musicale: Carlo Rustichelli; montaggio: Jolanda Benvenuti; interpreti: Adelfo Galli, Lino Turoldo, Margherita Tonino, Riedo Puppo, Vera Pescarolo, Elio Ciol; origine: Italia; produzione: Le Grazie Film; durata: 90′.
«La dura vita di una famiglia di poveri contadini in un paesino della bassa friulana all’inizio degli anni ’30. La vicenda ha al centro il piccolo Checo (A. Galli, di Nomadelfia) con la sua infelicità di bambino che – in quanto diverso dagli altri per intelligenza, sensibilità, fantasia – è sbeffeggiato dai coetanei (lo chiamano “lo spaventapasseri”), incompreso dagli adulti. Tratto dal racconto autobiografico Io non ero un fanciullo (inedito fino al 1980) di padre David Maria Turoldo (1916-92), poeta e saggista, e girato interamente a Coderno (Udine), suo paese natale, con gli abitanti come attori, è l’austera rievocazione di una condizione umana e sociale (il mondo contadino che la nascente civiltà industriale pone in secondo piano e trasforma), la proiezione di una solitudine individuale (e spirituale) sullo sfondo di un’altra solitudine collettiva (e materiale). La rinuncia alla presa diretta (difficile in quel periodo), il doppiaggio in un italiano letterario, il ricorso alla voce narrante qua e là ridondante, la scelta del piccolo protagonista di una bellezza quasi aristocratica (in contraddizione col nomignolo beffardo) indeboliscono il film che, comunque, rimane un’opera unica nel panorama di quegli anni. L’insuccesso commerciale ebbe molte cause tra cui il boicottaggio da parte delle autorità ecclesiastiche che, non vedendo di buon occhio il sodalizio di Turoldo, frate scomodo, con Pandolfi, intellettuale laico e marxista, esclusero il film dal circuito delle sale da loro controllate. C’è una ragione più profonda: fu un film intempestivo, uscito troppo presto. Soltanto nel decennio successivo il legame tra cultura e mondo contadino fu approfondito, magari colorandosi di rimpianto e nostalgia. Il successo di L’albero degli zoccoli (1978) ne è un sintomo. Del film, cui contribuisce assai il suggestivo bianconero di Armando Nannuzzi, esistono copie con 2 finali diversi» (Morandini). «Storie di bimbi hanno commosso tanti artisti. Esse nella letteratura delinearono molte figure indimenticabili. Due mi sono particolarmente care per motivi diversi, e che non è ora il momento di esporre: il Moscardino di Enrico Pea e Poil de carotte di Jules Renard.
Il film dal titolo Gli ultimi, su soggetto di Padre Turoldo, attuato per la regia di Pandolfi, presenta un bimbo. Dirò con pochissime frasi la mia commozione: è forte quanto quella provata alla lettura di Poil de carotte e di Moscardino. La suggestione cinematografica è, d’altra parte, questa volta solo paragonabile a quella da me provata guardando L’uomo di Aran [Robert Flaherty] o Vita di O-Haru donna galante [Kenji Mizoguchi]. Sarà la solitudine stupenda del Friuli nella quale ho vissuto nei primi due anni della prima guerra, alternandone il soggiorno con il Carso, sarà l’arte del bimbo incredibilmente spontanea e vera, sarà il modo semplice e assoluto di mostrare i terribili simboli della morte e della fame, so che si tratta di un film indimenticabile, infinitamente più bello dei pochi che quest’anno ho ammirato, si tratta dell’unico film di quest’anno unicamente dettato da schietta e alta poesia» (Ungaretti).
Copia restaurata dalla Cineteca del Friuli
ore 21.30
Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato (1972)
Regia: Florestano Vancini; soggetto: Benedetto Benedetti, Fabio Carpi, F. Vancini; fotografia: Nenad Jovicic; musica: Egisto Macchi; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Ivo Garrani, Mariano Rigillo, Filippo Scelzo, Radan Kukic, Loris Bazzocchi, Anna Maria Chio; origine: Italia/Jugoslavia; produzione: Alfa Cinematografica, Rai, Histria Film; durata: 109′.
Dopo l’impresa dei Mille, nella cittadina siciliana di Bronte la situazione non cambia. Un avvocato liberale cerca di procedere alla riforme e a riportare l’uguaglianza, mentre un carbonaro, insieme ai suoi picciotti, semina violenza. Il generale Bixio si reca a Bronte per spegnere i focolai di rivolta. «La cosa curiosa è questa: pur essendo girato nel ’70, Bronte era stato scritto dieci anni prima. Se lo avessi girato nel ’61, addirittura prima de La banda Casaroli, avrebbe avuto un impatto completamento diverso. Invece esce nel ’72, in una fase difficilissima per il paese, contraddistinta dall’estremismo di sinistra» (Vancini).