Omaggio a Mario Monicelli
19 Maggio 2015 - 24 Maggio 2015
Qualche tempo prima di morire, gli fu chiesto: «C’è un film al quale lei è rimasto particolarmente affezionato?». Rispose con queste parole, con le quali vogliamo ricordarlo: «Sì, ma non è un film che ho fatto io. Quello che mi ha più colpito in assoluto – e che ho fatto vedere tantissime volte anche ai miei collaboratori quando lavoravo a una mia pellicola – è Francesco, giullare di Dio, di Rossellini. Un film semplicissimo, elementare, e anche un po’ sgangherato, se vogliamo, come erano a volte le cose di Rossellini. Però lui sapeva farle sempre bene, quelle cose, mischiando attori presi dalla strada e grandi professionisti, come Fabrizi. E lì raccontava semplicemente la storia di questi poverelli che seguivano Francesco, la lezione di Dio, la preghiera, e incontravano altri poverelli. Niente di più. Eppure in quel film c’è una tenerezza e un’umiltà che mi hanno sempre colpito» («30Giorni», dicembre 2008).
martedì 19
ore 17.00 Totò cerca casa di Mario Monicelli e Steno (1949, 90′)
Uno sfollato senza casa si fa assegnare un posto di custode, con annesso alloggio in un appartamento di quattro stanze. Purtroppo il lavoro è quello di guardiano del cimitero e nella casa si aggira un fantasma… «”Il primo incontro di Totò col neorealismo” è la lapidaria definizione con cui Monicelli si è pronunciato sul film. L’impronta prettamente teatrale, di puro surrealismo, trova un nuovo elemento di confronto con la tematica sociale. Gli espliciti e continui attacchi lanciati da Beniamino Lomacchio [Totò] contro il pubblico rappresentante di quella ufficiale uguaglianza e rinascita è l’attacco “più lucido e più sottile alla retorica post-resistenziale dell’Italia ricostruita (e normalizzata)”» (Settuario).
ore 19.00 Guardie e ladri diMario Monicelli e Steno (1951, 106′)
«Un ladro (più per necessità che per vocazione) truffa un americano ma è da questi riconosciuto durante una distribuzione di pacchi-dono. Inseguito da un grasso carabiniere sfugge alla cattura, ma da quel giorno il tutore della legge non gli dà tregua poiché rischia di essere radiato dall’Arma se entro tre mesi non riuscirà ad arrestarlo» (Chiti-Poppi). «La commedia degli anni ’50 era un’evoluzione della farsa, quella che io e Steno facevamo anche con Totò, che si è gradatamente tramutata in commedia di costume. Con Guardie e ladri già nonera più farsa e cominciava ad essere commedia di costume» (Monicelli).
ore 21.00 Risate di Gioia diMario Monicelli (1960, 106′)
Durante la notte di San Silvestro la comparsa di Cinecittà Gioia Pennicotti, chiamata da tutti Tortorella, incontra casualmente il vecchio amico Umberto Pennazzutto, soprannominato Infortunio, che è ridotto a far da palo al ladro Lello. Tortorella crede ingenuamente che Lello la corteggi, finendo invece in prigione al posto suo. «La capacità di ascolto dell’attore [Totò], di partecipazione a certi sentimenti e drammi viene evidenziata durante i vari sfoghi della donna, persino senza far ricorso alla parola. Sorride, soffre alle pungenti parole di lei, sul suo modo di essere uomo e cavaliere, ruoli messi continuamente in discussione dalla profonda insoddisfazione della compagna. Il lungometraggio sembra ripercorrere, in veloce panoramica, l’intensa vita lavorativa dell’artista fino a mostrarcela nella pacata figura di uomo saggio. È sicuramente il lato paterno dell’attore, quello più fragile, che non si è abituati a gustare» (Settuario).
mercoledì 20
ore 17.00 È arrivato il cavaliere! diMario Monicelli e Steno (1950, 92′)
«Il “cavaliere” è un intraprendente squattrinato, divenuto in poco tempo il factotum di una singolare comitiva di sfollati accampata fra le rovine della periferia milanese. La sua capacità di risolvere qualsiasi garbuglio lo fa chiamare in soccorso da chiunque sia nei guai ed ecco così che il giorno in cui gli sfollati stanno per cadere sotto i rigori della legge al cavaliere viene dato l’incarico di risolvere la situazione, passando attraverso vicissitudini di ogni sorta, a cominciare da un avventuroso incontro con alcuni banditi fino ad uno spericolato viaggio a Roma, a tu per tu con i ministri» (Rondi). «Trattandosi dell’adattamento di una famosa rivista musicale [Ghe pensi me di Marchesi e Metz], Rota non può far altro che rivisitarne i temi e l’orchestrazione» (De Santi). Con Tino Scotti e Silvana Pampanini.
ore 19.00 Un eroe dei nostri tempi di Mario Monicelli (1955, 89′)
L’impiegato Alberto Menichetti vive nel terrore che gli altri complottino contro di lui e finisce nei guai perché ritenuto responsabile di un attentato. Il cinema italiano lancia la coppia Sordi-Valeri (3 film nel 1955: Un eroe dei nostri tempi, Piccola posta e Il segno di Venere) con esiti straordinari. Carlo Pedersoli, il futuro Bud Spencer, interpreta il ruolo di Fernando. Monicelli «offre uno spaccato acido e intelligente della piccola borghesia nell’Italia alla vigilia del boom» (Mereghetti). «La variopinta e scherzosa coloritura di questa colonna sonora è degna cornice per le penetranti osservazioni registiche sulle umane debolezze di un “imbecille all’italiana” (De Santi).
ore 21.00 I soliti ignoti di Mario Monicelli (1958, 100′)
«La trovata delle trovate è Vittorio Gassman nella parte di Beppe, il giovanotto pugile suonato e a corto di espedienti che dalle confidenze di Cosimo, a Regina Coeli, edotto di un possibile colpo magistrale, di introdursi cioè attraverso un appartamento disabitato nel locale dov’è la cassaforte di un Monte pegni di periferia, appena fuori ne fa parte ai compari, e insieme lo decidono. Sono una ben scalcinata banda questi soliti ignoti, una banda del buco da strapazzo, sì che il film finisce per diventare un Rififìtutto da ridere, la descrizione circostanziata di un colpo ladresco» (Sacchi). «Con I soliti ignoti finalmente arrivò la grande svolta che in qualche modo io sentivo che doveva arrivare, e che arrivava anche, intendiamoci, perché parallelamente c’era un discorso teatrale che si svolgeva. […] Monicelli insistette abbastanza e con l’aiuto – notevole devo dire – di Gherardi, mi combinò una “faccia”, cioè mi fece praticamente una laparatomia alla faccia, mi sbassò la fronte, mi allargò il naso, mi distrusse come idolo marmoreo, storico, e fece di me un personaggio simpatico, usando, certo, anche delle mie qualità di attore che indubbiamente credo che avessi» (Gassman).
giovedì 21
ore 17.00 Facciamo paradiso di Mario Monicelli (1995, 108′)
«A Milano nel 1949 nasce Claudia Bertelli ed i genitori, dell’alta borghesia, non la battezzano, fino a quando la piccola non manifesta a sette anni il desiderio di accostarsi al sacramento. Dieci anni dopo viene espulsa dal college inglese dove studiava e i suoi vanno a riprendersela tra gli hippie all’isola di White. Poi all’Università di Milano aderisce al movimento studentesco e occupa la facoltà di Lettere dove si innamora del leader Lucio, al quale si offre ma che la delude, partendo per Parigi: per ripicca si concede al goffo collega calabrese Pino, detto Calabrone, innamorato di lei. Preso un appartamento con la disinvolta svedese Emily, Claudia si dà all’amore libero e partorisce nel 1972 un bambino nero con grande sconcerto dei suoi. Rifiutando l’aiuto della famiglia lavora in una mensa, vende biglietti della lotteria, partecipa ad un gruppo femminista» (www.cinematografo.it ). «Proprio un bel film Facciamo paradiso. Ben sorretto dall’agile e robusta regia di Mario Monicelli, dalla sicurezza narrativa di Suso Cecchi D’Amico, dalla pungente e scoppiettante ironia di Benvenuti e De Bernardi […]. Quanta acqua è passata sotto i ponti dalla rabbia dei Pugni in tasca alla dissacrante ma amabile e pacata ironia di Facciamo paradiso. Proprio vero che non c’è miglior medico del tempo» (Natta). Liberamente tratto da Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia, con Margherita Buy).
ore 19.00 L’armata Brancaleone di Mario Monicelli (1966, 119′)
Nel Medioevo un gruppo di sbandati entra in possesso di una pergamena che li rende proprietari del feudo di Aurocastro nelle Puglie. Guidati da Brancaleone, si mettono in marcia incorrendo in mille traversie. Film epocale, «pirotecnico nelle trovate (la lingua postlatina-viterbese, i costumi di Pietro Gherardi, i colori di Carlo Di Palma, la musica di Carlo Rustichelli, i titoli animati di testa e di coda di Gianini e Luzzati), è una delle punte più alte del cinema popolare italiano, un autentico capolavoro di fantasia e avventure farsesche» (Mereghetti).
ore 21.15 Il marchese del grillo di Mario Monicelli (1981, 132′)
Il marchese Onofrio del Grillo annoiato dalle incombenze sia familiari sia all’interno della corte papale si dedica con passione all’invenzione di scherzi non sempre innocui. L’incontro con Gasperino, un carbonaio alcolizzato, che gli assomiglia come una goccia d’acqua gli dà l’occasione di fare uno scherzo in grande, che coinvolga anche il papa. «Un discorso a parte merita Alberto Sordi, qui in una delle migliori interpretazioni di tutta la sua carriera. Così mattatore non l’avevamo mai visto: ma anche così misurato ed efficace, così esplodente eppure ricco di sfumature. Nella duplice parte del marchese e del carbonaio ubriacone dimostra come si possa cambiar faccia senza dover ricorrere al trucco» (Spiga).
venerdì 22
ore 17.00 Parenti serpenti di Mario Monicelli (1992, 106′)
«In provincia, fratelli e sorelle, sposati e qualcuno anche con prole, tornano per le feste di Natale nella cittadina in cui sono nati e in cui li aspettano i vecchi genitori. Prima sono tutti buoni, si amano, si scambiano doni, poi […] svelano presto i loro lati negativi, soprattutto quando – e qui è la novità – la mamma li mette a parte del suo desiderio di chiuder casa e di andar a vivere, con il papà, insieme con uno di loro, a scelta. Le piccole cattiverie di prima sono niente rispetto a quelle che subito esplodono dopo una simile notizia […]. Un film “cattivo” e verso la fine anche sgradevole, ma oltre ai pregi di un black humour all’italiana, lo sostiene quella descrizione della vita di provincia, ambienti, tipi, consuetudini, in cui Monicelli svela uno spirito di osservazione quanto mai caustico e graffiante» (Rondi).
ore 19.00 La ragazza con la pistola di Mario Monicelli (1968, 99′)
«La ragazza con la pistola è un ardente siciliana che, sedotta e abbandonata da un concittadino, insegue il seduttore fino in Inghilterra per lavare nel sangue l’affronto subito. L’Inghilterra di oggi, però, con i suoi hippies e i suoi beats, può cambiare la testa anche a una ragazza del Sud e a tutte le sue più tradizionali ubbìe, così la nostra siciliana in poco tempo diventa spigliata, libera, disinvolta […]. La favola è stata raccontata da Mario Monicelli con delle buone trovate, soprattutto nelle pagine siciliane, che si accendono non di rado di piacevolissimi toni caricaturali, sorretti da felici impennate di stile e da una gustosa fantasia tecnica e linguistica» (Rondi).
ore 21.00 Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli (1977, 121′)
Giovanni Vivaldi, impiegato ministeriale prossimo alla pensione, insegue il sogno di far assumere nel suo stesso Ministero il figlio Mario, neodiplomato ragioniere, mediante la partecipazione a un concorso che prevede 600 vincitori su 30.000 concorrenti. «Il borghese piccolo piccolo direbbe: ma io che c’entro con la violenza? Invece, c’è dentro fino al collo. Una violenza che annulla gli altri e lui stesso quando il sipario della sua mediocre rappresentazione (l’unica che sappia fare) è strappato dal colpo di pistola» (Sordi). Dal romanzo omonimo di Vincenzo Cerami.
sabato 23
ore 16.30 Viaggio con Anita di Mario Monicelli (1979, 119′)
«Guido Massaccesi, dirigente bancario romano, informato dalla sorella Oriana che il padre Armando è gravemente infermo, lascia la moglie Elisa con il figlio e parte in macchina per raggiungere Rosignano Solvay, paese natale. Deciso a compiere il viaggio in dolce compagnia, Guido si reca nell’appartamento di Jennifer, amante che non vede da mesi. Il netto rifiuto della stessa a seguirlo lo induce a prendere con sé Anita Watson, una 26enne americana, occasionalmente e temporaneamente venuta a Roma per ritrovare un architetto italiano conosciuto a Chicago ove ella abitualmente lavora presso l’università» (www.cinematografo.it ). «Viaggio con Anita riproduce anche geograficamente una parte del viaggio che è alla base di uno dei capisaldi della commedia all’italiana: Il sorpasso di Dino Risi. Da allora, dal boom e dalla “fine delle ideologie”, molte cose sono cambiate. Un “road movie” degli ultimi anni ’70 non potrà che avere una collocazione invernale: le spiagge non sono affollate di gioventù e di voglia di vivere, la malinconia prevale su ogni altro sentimento; il vitalismo rampante di Gassman è ridotto in Giannini a puro tentativo di evitare la morte; la morte stessa non è più una sorta di risveglio dopo l’ubriacatura, ma una tonalità che attraversa tutto il film» (Della Casa). Con Goldie Hawn e Claudine Auger.
ore 18.45 Speriamo che sia femmina diMario Monicelli (1986, 119′)
«Declino di una famiglia del latifondo toscano (Grosseto) che gestisce un’azienda agricola e in cui contano (e lavorano) soprattutto le donne. Grande film borghese che arricchisce il povero panorama del cinema italiano degli anni ’80 per il sapiente impasto di toni drammatici, umoristici e grotteschi, la splendida galleria di ritratti femminili, la continua oscillazione tra leggerezza e gravità, il modo con cui – senza forzature ideologiche – sviluppa il discorso sull’assenza, la debolezza, l’egoismo dei maschi» (Morandini). «Speriamo che sia femmina è un film molto importante per diversi motivi, dei quali mi limiterò a citare solo i due che mi paiono decisivi: l’ampiezza di riferimenti del tema portante, da una parte; la capacità di articolarlo in una miriade di storie microscopiche ben intrecciate fra loro, dall’altra. Il tema è netto, inequivocabile, preciso, anche se non enunciato in forme dirette o sfacciate: la fine di una società e di un mondo basati su rapporti che vedono come asse portante il maschio e la centralità della sua cultura» (Grande).
domenica 24
ore 16.30 La grande guerra di Mario Monicelli (1959, 138′)
«L’Italia si prepara alla prima grande guerra di questo secolo. Il milanese Giovanni Busacca vorrebbe evitare l’arruolamento e il piantone romano Oreste Jacovacci gli fa intendere che dietro compenso lo farà riformare. Non è così, e Giovanni cerca Oreste per dargli una lezione. Tuttavia, quando si ritrovano, i due diventano amici. […] Lettura (parzialmente) anticonformista del ’15-’18, La grande guerra ha una struttura corale ingigantita dal Cinemascope, che nulla toglie ai meriti dei protagonisti, due soldati “nazionalpopolari”, un padano e un trasteverino. Per la solida sceneggiatura, il raffinato décor dovuto al team Garbuglia-Donati, e la regia accurata, il film fa pensare alla migliore scuola hollywoodiana. Ma la guerra purtroppo ha poco di epico: è sporca, faticosa e con punte amare di vigliaccheria. Monicelli, pur cedendo talvolta al macchiettismo, si rivela narratore in grado di orientare la commedia verso temi politici di respiro universale. Leone d’oro a Venezia, ex-aequo con Il generale Della Rovere di Rossellini» (Caldiron-Girlanda-Pisarra).
ore 21.30 Le rose del deserto di Mario Monicelli (2006, 104′)
«Il nostro caro Mario Monicelli, ultranovantenne, con Le rose del deserto, ci regala un bellissimo film, divertente e commovente, con tecniche narrative (e di stile) sapientissime, con una recitazione dosata al massimo e pronta a ottenere da ogni interprete – sia nel dramma sia nella commedia – i risultati più convincenti e migliori, senza un attimo di incertezza. Lo spunto l’ha tratto liberamente dal romanzo-diario di Mario Tobino, Il deserto della Libia, con una citazione anche di un episodio Il soldato Sanna, raccontato da Giancarlo Fusco nel suo libro Guerra d’Albania. […] Un gruppo rappresentato nella sua coralità, ma anche studiando abilmente da vicino le fisionomie dei singoli, soprattutto quella del maggiore, con certi suoi tic linguistici e con atteggiamenti pronti a prestare il fianco alla beffa e poi quella del frate, pur in apparenza lontano dagli schemi, ligio, in realtà, ai suoi fondamentali principi di umanità e di pietà. […] Con il gusto un po’ anche della caricatura, nelle stesse cifre domestiche di quell’altro capolavoro di Monicelli che è stato La Grande Guerra, svolte però sempre con equilibrio attento fra l’emozione e l’ironia sia nel disegno dei caratteri sia nelle situazioni che li accolgono. Mentre dei ritmi agilissimi conducono avanti l’azione senza né incrinature né stasi, favoriti da una recitazione specchio sempre fedele dei climi cui si tendeva. Intanto, Michele Placido, un frate rustico e asciutto ma dai colori vivacissimi, poi Alessandro Haber, fra sentimento e motteggio nei panni del maggiore. E così tutti gli altri. Esempio perfetto di un affiatamento costante» (Rondi).