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Orizzonti 1960-1978: Romano Scavolini, Mario Carbone, Paolo Breccia, Fabio Garriba
17 Aprile 2012 - 17 Aprile 2012
La retrospettiva del Festival di Venezia, curata da Enrico Magrelli, Domenico Monetti, Luca Pallanch e organizzata dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, viene riproposta con appuntamenti monografici dedicati ai registi e agli artisti protagonisti dell’evento. Questo mese è la volta di Romano Scavolini, Mario Carbone, Paolo Breccia, Nato Frascà e una “coda” dell’omaggio ai fratelli Garriba con l’incontro con Fabio, rinviato a febbraio a causa del maltempo.
«Era ora che – dopo tanti anni d’inspiegabile oblio – si cominciasse a rivalutare e a sottrarre dalla rimozione il cinema di Romano Scavolini, autore davvero singolare del panorama italiano, a metà strada tra underground e cinema ufficiale, fiction e non-fiction, con alle spalle decine e decine di corti, molti dei quali appaiono oggi di una sconvolgente modernità linguistica […], spesso basati semplicemente su immagini fisse, siano esse disegni o fotografie, accompagnate da un commento molto incisivo (parlo de La quieta febbre o L.S.D.)». Così scriveva Bruno Di Marino a proposito di Romano Scavolini, l’indimenticato autore di “opere aperte” come A mosca cieca e La prova generale. Ma è soprattutto attraverso i cortometraggi che Scavolini costruisce e affina la sua poetica e il suo linguaggio (grazie anche all’avventurosa esperienza da fotoreporter) del dolore e della disperazione: in ogni fotogramma è come se il regista sentisse su di sé il peso delle tragedie che hanno sconvolto il Novecento, spesso a noi lontane (la storia americana raccontata attraverso l’omicidio Kennedy, il Vietnam e il razzismo), ma poi incredibilmente vicine negli effetti. Regista (lui sì, in nome di una filmografia che ha attraversato il cinema da un versante all’altro) ancora da analizzare e comprendere che non offre agli studiosi punti d’appoggio o ancore di salvezza, perché ogni suo film cancella il precedente e punto di riferimento costante rimane la Storia, come elemento, però, di ulteriore disgregazione. Altro fotografo, altro regista è Mario Carbone, maestro di Scavolini (entrambi, così come Axel Rupp, hanno lavorato insieme in svariati cortometraggi). Anche lo sguardo fotografico di Mario Carbone ci riporta alla realtà. Carbone, infatti, è un fotografo e documentarista che nel corso della sua lunga attività ha sempre privilegiato le questione sociali, testimoniando con passione la vita e la lotta dell’uomo, specie in eventi drammatici, come l’alluvione di Firenze e il terremoto del Belice, senza però trascurare l’amore verso l’arte contemporanea: «Sono di origini calabresi. Appena arrivato a Roma le prime persone che ho conosciuto sono state degli artisti: Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli, Mimmo Rotella», spiega il regista. E non è un caso che il suo primo documentario, Inquietudine, sia proprio dedicato a Franco Angeli. E la sua opera d’esordio porta con sé, quasi d’istinto – visto l’anno di produzione: il 1960 – gli echi della nouvelle vague con un pedinamento del pittore – straordinario volto poi assurto alla gloria cinefila con Morire gratis di Franchina – per le vie di Roma, che restituisce intatto il fascino di una città non ancora travolta dal mito della dolce vita. La giornata si chiude con due allievi del Csc (Paolo Breccia e Fabio Garriba) e con i loro saggi di diploma che rappresentano le loro opere d’esordio: Sul davanti fioriva una magnolia… e I parenti tutti. Autentico “(in)visibile italiano”, il lungometraggio d’esordio di Breccia ha avuto un solo passaggio alla Mostra del Cinema di Venezia, poi è praticamente scomparso, perché l’unica copia è andata perduta, e finalmente rinasce come un’araba fenice. Lo spettatore resterà interdetto di fronte a un’opera che inizia a colori, colori tenui che improvvisamente svaniscono (anche Mario Garriba, il fratello gemello di Fabio, giocava sull’alternanza, in chiave simbolica, tra colore e bianco e nero) seguendo l’indicazione del monologo brecciano/brechtiano. Anche questo esempio di cinema politico nel senso che attraversa la società, tagliandola in due, con volti (un giovanissimo Peter Del Monte attore protagonista, un Giulio Carlo Argan monologante sulla scuola di Francoforte, un’apparizione di Ugo Vittorini, un cameo indimenticabile di Fabio Garriba) che si susseguono portandosi dietro il declino, già in atto, della Storia. E se Paolo Breccia, nella sua breve semi-invisibile filmografia, risulterà essere tra i cineasti più appartati ed ermetici, Fabio Garriba, aiuto regista di Bene, Godard e Pasolini, si afferma negli anni Settanta come uno dei volti più interessanti ed espressivi del cinema italiano, senza dimenticare i suoi lavori di attore diretto dal fratello Mario. Ma I parenti tutti, scritto, diretto e interpretato da Fabio, contiene già tutto in nuce, ovvero la poetica surreale, contestataria e grottesca dei due “fratelli terribili” del cinema italiano. Vedere per credere.
 
ore 17.00
La quieta febbre (1964)
Regia: Romano Scavolini; fotografia: Mario Carbone; montaggio: Sergio Muzzi; voce commento: Riccardo Cucciolla; origine: Italia; durata: 10′
Documentario basato in gran parte su fotografie di violenza, soprusi, crimini e genocidi avvenuti nel mondo, accompagnate dai versi di Dylan Thomas (Le mani nonhanno lacrime da spargere). «La “pericolosità” di questo breve film [l’opera venne vietata ai minori di 18 anni, n.d.r.] […] è data, probabilmente, dal suo non essere un rassicurante documentario di tipo standard, tanto in voga allora, bensì un’opera di grande impatto emozionale, che rievocava scomodi fantasmi del passato» (Di Marino).
 
a seguire
L.S.D. (1970)
Regia: Romano Scavolini; soggetto e sceneggiatura: Valentino Zeichen; fotografia: Carlo Ventimiglia; musica: Franco Potenza; origine: Italia; durata: 11′
Viaggio allucinato e psichedelico di un giovane poeta tossicodipendente, sotto gli effetti dell’acido. «Un viaggio attraverso la notte per conoscere il giorno». «Osservando i disegni realizzati mentre il poeta si trovava sotto l’effetto dell’L.S.D. si assiste ad una progressiva disintegrazione degli atomi dell’Essere. Il commento scritto da Valentino Zeichen è molto chiaro in questo senso: “Non dirò più io sono… anche se fossi”. Un giorno, molti anni fa quegli stessi atomi avevano deciso di unirsi e tutti insieme di diventare quella massa di materia che oggi è il poeta. Ma i suoi atomi, le sue cellule, i tendini, i muscoli, le ossa, tutti i suoi organi stanno per sfaldarsi sotto i nostri occhi. Lui non ha più nessun potere su quel corpo se non gridare di esistere, ma per quanto tempo ancora? Nella feroce dinamica delle riprese in truka, quei disegni assomigliano alla terra che gli si apre sotto i piedi mentre il poeta sente di perdere la presa sulla sua realtà interiore. Fra un po’ sarà solo un mucchio di cenere, polvere che il vento solleverà trascinandolo chissà dove…» (Scavolini).
 
a seguire
Diario Beat (1967)
Regia: Romano Scavolini; fotografia: Mario Malacoda; musica: Franco Potenza; origine: Italia; produzione: Libero Bizzarri; durata: 11′
Riflessione sulla realtà e sull’immagine della realtà con il pretesto di documentare un amore tra un uomo e una donna. «Diario Beat è una specie di prolungamento “espanso” di una sequenza del mio film La prova generale. Ne La prova generale, Carlo (Carlo Cecchi) intervista con un registratore e un microfono la sua giovane compagna mentre i due sono avvolti nello splendore di un bosco alla periferia della città. In Diario Beat come in moltissime altre sequenze de La prova generale, il paesaggio stride radicalmente con il contenuto dell’intervista. Con Diario Beat ho voluto espandere gli stessi contenuti presenti nel film ma capovolgendo i ruoli, affidando alla giovane compagna di Carlo il ruolo dissacrante dell’intervistatrice che provoca i passanti con domande ex-temporanee sulla felicità, lei così libera, disinibita, bordeggiando e muovendosi in un contesto senza più imperativi» (Scavolini).
 
a seguire
Attacco! (Zen-Shin)
Regia: Romano Scavolini; fotografia: Mario Carbone; musica: Franco Potenza; origine: Italia; durata: 11′
Documentario sperimentale sul karate. Tramite didascalie, voice over, citazioni di scritti arcaici giapponesi e fumetti si esplora l’immaginario delle arti marziali. «Attacco! è un film in cui ho cercato di mettere in aperta contrapposizione fra loro due aspetti della violenza: il primo, rappresentato dall’istinto primario della violenza stessa e della ricerca di un linguaggio corporale che finisce però per sfociare in una grottesca mimesi fumettistica fine a se stessa. Con il secondo aspetto invece, osservando come sia possibile dominare la violenza attraverso la ricerca di una “disciplina” interiore che conduce però ad una forma di ascesi impraticabile nella vita quotidiana. Le società moderne hanno esplorato ogni tipo di strategia alternativa per contenere la pulsione primitiva della violenza, ma a tutt’oggi non è stata trovata nessuna tecnica capace di eliminare del tutto la violenza insita nella natura umana se non si parte dalla radicale modifica del substrato che la nutre: la coscienza» (Scavolini).
 
a seguire
Inquietudine (1960)
Regia: Mario Carbone; fotografia: Antonio Cerra; musica: Domenico Guaccero; montaggio: Bruno Mattei; interpreti: Franco Angeli; origine: Italia; produzione: CA.BE; durata: 12′
La citazione dal Tonio Kröger di Thomas Mann, «non lavorava come tutti coloro che lavorano per vivere, e non faceva nessun conto di sé come uomo vivente. Solo desiderava di essere considerato come creatore», prelude a un pedinamento, quasi zavattiniano, nelle vie di Roma e nel suo studio dell’artista Franco Angeli, uno degli esponenti della Scuola di Piazza del Popolo. La vita della città, fra cronaca mondana e cronaca nera, si riflette in una serie di fotografie sullo sguardo assorto del pittore. «Inquietudine mi è particolarmente caro perché oltre a essere il mio primo documentario – e non caso pedino con la macchina da presa il mio amico Franco Angeli! – ho conosciuto Cesare Zavattini. Gli ho fatto vedere Inquietudine e gli è piaciuto talmente tanto che mi ha preso per il suo I misteri di Roma. Non solo ho diretto il mio episodio, ma sono stato spesso l’operatore in gran parte del film, perché grazie al mio apprendistato di fotografo, avevo delle buone conoscenze tecniche» (Carbone).
 
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Uomini nella fabbrica (1964)
Regia: Mario Carbone; fotografia: M. Carbone; musica: Sandro Brugnolini; origine: Italia; produzione: Corona Cinematografica; durata: 10′
Una giornata di lavoro in una grande acciaieria (Gruppo Zanussi). Dal momento in cui gli operai si recano in fabbrica fino a quando finisce il turno. Sono mostrati gli spazi, le condizioni ambientali e i ritmi che scandiscono il ciclo di produzione e trasformazione dell’acciaio. È l’uomo a dover sincronizzare i propri movimenti con quelli delle macchine con cui opera.
 
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Firenze, novembre ’66 (1966)
Regia: Mario Carbone; testo: Vasco Pratolini; fotografia: M. Carbone; musica: Franco Potenza; origine: Italia; produttore: Elisa Magni; durata: 24′
«I problemi, le realtà culturali, sociali, umane che si sono create all’indomani dell’Arno del ’66 a Firenze. I soccorsi per l’intera valle dell’Arno allagata. I problemi della Biblioteca Centrale, di Santa Maria del Fiore e di Santa Croce» (Silvana Turco). Nastro d’Argento per la miglior fotografia in bianco e nero. Premio speciale al Festival dei Popoli di Firenze.
 
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Nuovo realismo (1970)
Regia: Mario Carbone; testo: Enrico Crispolti; fotografia: M. Carbone; musica: Egisto Macchi; origine: Italia; produzione: Alfa Cinematografica; durata: 17′
«Milano 27-28-29 novembre 1970. Mostra ed action. Azioni artistiche nel decennale del movimento di De Restany. Christo impacchetta il monumento a Vittorio Emanuele II (Milano). Intervento di sciopero dei lavoratori della Pirelli. Tinguely: La vittoria, torre autodistrutta. Mostra alla Rotonda della Besana, il fuoco di Yves Kline in Espansione. Rotella Decollages. Finale con un banchetto funebre» (Turco).
 
ore 19.00
Sul davanti fioriva una magnolia… (1968)
Regia: Paolo Breccia; soggetto e sceneggiatura: P. Breccia, Gianni Bonicelli; fotografia: Luigi Verga, G. Bonicelli; scenografia: Antonio Fioretto; montaggio: P. Breccia, Peter Del Monte, Jobst Grapow, Maria Rosada; interpreti: Nerina Breccia, Peter Del Monte, Alessandra Dal Sasso, Fabio Garriba, J. Grapow,  Giulio Carlo Argan; origine: Italia; produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia; durata: 110′
«[Era un film] Molto godardiano, molto “saggistico”. Ed era, sempre molto tra virgolette, autobiografico, girato in Toscana. Esplorava, sia da un punto di vista sentimentale, che da quello sociologico-politico, il percorso che c’era da fare per uno studente universitario, che andava in macchina tra Pisa e Livorno. Si ripercorrevano anche […] l’uscita degli operai dalla fabbrica […]. Insomma, mentre questo studente andava all’università, si vedeva tutto quel che c’era nel territorio, con discorsi sopra, appiccati a commento. […] Ma è impossibile raccontarlo, proprio perché non c’era una vera trama e aveva – ripeto – questo aspetto saggistico: quindi voce fuori campo, qualche materiale eterogeneo. […] Era il ’68. Io frequentavo il Centro Sperimentale e venne nominato Roberto Rossellini come direttore del Centro. […] Ottenni tremila metri di pellicola, […] con i quali feci un film, abbastanza delirante […], che andò anche […] a Venezia. Il film piacque a molti, persino a Bernardo Bertolucci, che mi disse: “Adesso, dopo aver fatto un film così, non ti resta che scrivere una storia. E dopo è fatta”… Non fu buon profeta» (Breccia).
 
ore 21.00
Incontro con Paolo Breccia e Fabio Garriba
 
a seguire
I parenti tutti (1967)
Regia: Fabio Garriba; soggetto e sceneggiatura: F. Garriba; fotografia: Elio Bisignani; scenografia: Giacomo Calò; costumi: Franco Della Noce; interpreti: Fabio Garriba, Bianca Bresadola, Renato Tomasino, Anna Rossiello, Nerina Breccia, Gianna Soldano; origine: Italia; produzione: Centro Sperimentale di Cinematografia; durata: 18′
Un ragazzo immagina di essere morto e di sentire i commenti di familiari e amici. «”Mi sento un cadavere, devo far presto a seppellirmi altrimenti puzzo!”. Da questa osservazione si è sviluppato in me il desiderio di assistere ai miei funerali: desiderio elementare che credo ognuno di noi abbia provato. Si trattava cioè di un mio bisogno personale di vedere morta e seppellita la mia infanzia, la mia adolescenza e chiudere così i rapporti con i familiari per poter resuscitare adulto. Tuttavia nel cortometraggio si crea un’ambiguità che porta a sospettare che il protagonista non sia morto. Questa ambiguità riflette la mia situazione reale. Oggi a un anno di distanza posso dire in sincerità che la cassa caricata sul carro funebre era vuota perché mi ritrovo con addosso ancora il mio cadavere alla ricerca di una fossa dove seppellirlo» (F. Garriba).
Ingresso gratuito

 

 

Date di programmazione