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Petri e Zurlini, 40 anni dopo…
12 Dicembre 2012 - 13 Dicembre 2012
Un breve omaggio a due grandi registi italiani, già ampiamente proposti (e riproposti) in passato. Un’ affinità elettiva apparentemente improbabile: l’uomo del popolo, militante comunista, versus il borghese, raffinato studioso d’arte. Petri vs. Zurlini. Eppure, nella costellazione del cinema italiano, sono sempre state due stelle declinanti, lontane dalle luci dei riflettori, dalla gloria effimera, dal successo popolare (pur avendo riscosso molti consensi, anche in termini commerciali). Appartati, o semplicemente diversi, ognuno a suo modo, dal cliché del regista italiano. Li univa un’angoscia esistenziale, placata attraverso il cinema, un rigore interiore, una morigeratezza creativa (pochi film, tutti sentiti), una presenza-assenza (chi conosce, ricorda i loro volti?), una pesante eredità per le generazioni successive: gli spettatori costretti ancor oggi a confrontarsi con il mistero dei loro film (Todo modo vs. Il deserto dei tartari, Un tranquillo posto di campagna vs. La prima notte di quiete, volendo inseguire ardite associazioni lungo lo spazio e il tempo), i cineasti chiamati a ripercorrerne le traiettorie originali. Perché se ci sono due registi di un fantomatico passato ancora vitali e fertili, sono proprio Petri e Zurlini, registi inclassificabili perché mai ripetitivi, mai ciclici, pur ruotando sempre attorno a tematiche care, persino agognate: il fantasma della morte, e prima ancora del tempo, aleggia su tutta la loro opera. Una ricerca ossessiva, imperterrita, che non permetteva sbandamenti, come se il tempo a disposizione fosse inesorabilmente poco e non ammettesse divagazioni. Petri più disposto a osare, a spezzare gli schemi (l'”incidente” Il maestro di Vigevano, La decima vittima), a inseguire soluzioni, o forse risposte, estetiche, Zurlini più parsimonioso e incompreso, meno allineato alle politiche culturali del cinema italiano, più letterariamente solo (trovando rifugio, e ispirazione, nei libri). Ma, alla fine, uniti in un unico destino, quando bisogna dare uno sguardo definitivo alla realtà, e ogni film prende una piega terminale. Non Le buone notizie, ma il titolo iniziale dell’ultimo film di Petri: Prima di morire.
 
mercoledì 12
ore 17.00
Estate violenta (1959)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: V. Zurlini; sceneggiatura: V. Zurlini, Suso Cecchi D’Amico, Giorgio Prosperi; fotografia: Tino Santoni; scenografia: Dario Cecchi; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Eleonora Rossi Drago, Jean Louis Trintignant, Jacqueline Sassard, Cathia Caro, Enrico Maria Salerno, Lilla Brignone; origine: Italia; produzione: Titanus; durata: 98′
Riccione, luglio 1943. Un giovane di famiglia fascista s’innamora della vedova di un combattente. Ben presto gli avvenimenti precipitano e i due decidono di fuggire. «Molti mi hanno rimproverato di non aver saputo operare la fusione tra il fatto storico e la vicenda privata; dal canto mio, posso dire che Estate violenta è stato fatto tra incredibili difficoltà. Doveva essere girato in otto settimane, non avevo neanche le divise dei soldati, l’abbiamo fatto con quattro soldi in condizioni di miseria estrema fino alla vigilia della scena del bombardamento. Goffredo Lombardo, il produttore, fece allora una scelta che cambiò le sorti del film, decidendo di buttare in quella sequenza i mezzi di un film normale, e anche qualcosa di più. Naturalmente, alla fine, questo “peso” di avventura collettiva, sia pure concentrato nel solo bombardamento, ma messo in scena con mezzi quasi all’americana, capovolge la qualità del film, fino ad allora di natura intimista, tutto nel gioco degli attori, fatto di sguardi, di sottintesi. Grazie a questa fusione finale, il film ebbe un successo straordinario quando uscì: erano in molti a ricordarsi di quel periodo […] e si riconobbero nel film. Con il ritratto dell’ambiente analizzato in Estate violenta avevo cercato non di dare un’analisi critica, ma di ricordarmi di certe impressioni visuali provate nel corso di quell’estate del 1943. Cercavo di ritrovare il vuoto che circondava la gioventù del periodo, un vuoto intellettuale, culturale, un vuoto di fiducia, un’assenza di aspettative nel futuro» (Zurlini).
 
ore 19.00
La ragazza con la valigia (1960)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto e sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Giuseppe Patroni Griffi, V. Zurlini; fotografia: Tino Santoni; scenografia: Flavio Mogherini; costumi: Gaia Romanini; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Claudia Cardinale, Jacques Perrin, Romolo Valli, Corrado Pani, Renato Baldini, Gian Maria Volonté; origine: Italia/Francia; produzione: Titanus, S.G.C.; durata: 121′
Amore impossibile tra Aida, una ballerina dal passato burrascoso, e Lorenzo, uno studente timido, serio, di buona famiglia. «La ragazza con la valigia è nato da un incontro. Un giorno, a Milano […] ho incontrato una strana persona, oggi divenuta piuttosto celebre, con cui dovevo girare un filmetto pubblicitario per una marca di automobili. Per due giorni siamo stati insieme per girare il film, e la ragazza, che all’epoca faceva l’indossatrice, mi ha raccontato molte cose della sua vita: si trattava davvero del personaggio di Aida. Quando ho scritto la sceneggiatura, non ho fatto altro che ricordarmi di quello che mi aveva raccontato, di tutte quelle cose tanto tenere, commoventi, buffe talvolta, e così mi sono ritrovato già con un personaggio che viveva di vita autonoma. È bastato accompagnarla con un ragazzo ricordandomi un po’ dei miei sedici anni, poi facendo astrazione da me e guardando il personaggio maschile dal di fuori, per avere quella strana coppia che comincia subito a funzionare perfettamente e continua a funzionare fino alla fine del film. Erano due personaggi stranamente assortiti, appartenenti a mondi differenti, due solitari che esprimono nel loro incontro la volontà di aiutarsi reciprocamente» (Zurlini).
 
ore 21.15
La prima notte di quiete (1972)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: V. Zurlini; sceneggiatura: Enrico Medioli, V. Zurlini; fotografia: Dario Di Palma; scenografia: Enrico Tovaglieri; costumi: Luca Sabatelli; musica: Mario Nascimbene; montaggio: Mario Morra; interpreti: Alain Delon, Sonia Petrova, Lea Massari, Giancarlo Giannini, Salvo Randone, Alida Valli; origine: Italia/Francia; produzione: Mondial Te.Fi.,Adel Productions, Valoria Films; durata: 131′
Daniele, un insegnante quasi quarantenne senza radici, trova un incarico di supplente in un liceo di Rimini. Entrato nel giro notturno di alcuni mediocri “vitelloni” locali, egli è attratto dalla sua allieva Vanina, già a sua volta legata da un arido rapporto senza amore con uno di loro, il cinico Gerardo. «Tuttavia, direi che La prima notte di quiete è nato davvero per la voglia che avevo di mettere in scena un personaggio del genere. Un personaggio frutto ovviamente di numerosi incontri, forse di certe somiglianze con me stesso, quella base di nichilismo, quel cristianesimo rifiutato ma presente… È un personaggio nato in modo molto strano, in un momento di estrema diffidenza: non trovavo niente di personale da raccontare. Un giorno, mi metto alla scrivania e in venti giorni scrivo in un racconto di cento pagine la storia di quest’uomo alla fine della vita – il racconto esiste ancora e credo che non sia male. Ma questo racconto oggettivo, ha origine anche da quelle stagioni invernali, così brutali, così violente, così incanaglite, così antifemminili, così oppressive, così eccessive, stagioni che pure avevo conosciuto. Quella costiera adriatica che avevo visto l’inverno, quando non c’è l’esplosione del turismo estivo, stretta dal rancore, dalla ferocia, dalla violenza. L’avevo vista, quella violenza dell’uomo sulla donna. La prima notte di quiete è un film molto legato ad un certo ambiente geografico. Contiene anche un aspetto di “storia popolare”: la storia di un uomo che ha un rapporto ormai di morte con gli altri, e che incontra la giovinezza. Una giovinezza che nasconde in realtà la morte: è un romanzo popolare vecchio come il mondo. […] [Il titolo del film] è un verso di Goethe che si può tradurre più o meno così: “La morte, la prima notte di quiete”» (Zurlini).
 
giovedì 13
ore 17.00
A ciascuno il suo (1967)
Regia: Elio Petri; soggetto: dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia; sceneggiatura: Ugo Pirro, E. Petri; fotografia: Luigi Kuveiller; scenografia: Sergio Canevari; costumi: Luciana Marinucci; musica: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Gian Maria Volonté, Irene Papas, Gabriele Ferzetti, Laura Nucci, Mario Scaccia, Luigi Pistilli; origine: Italia; produzione: Cemofilm; durata: 89′
Sicilia. Un insegnante di liceo indaga sul duplice omicidio di un farmacista e di un medico. Per tutti gli altri è un delitto d’onore. In realtà, dietro si cela una complessa trama, ottimamente congegnata al di là delle apparenze. «Un film richiama l’attenzione del pubblico se colpisce l’immaginazione dello spettatore, se “fotografa” un momento di cambiamento, l’evoluzione del gusto, un’insofferenza della gente comune nell’istante in cui insorge. […] Il film colse quella fase di passaggio, quella insofferenza nascente senza che nemmeno noi stessi ne fossimo del tutto consapevoli; cogliemmo, cioè, qualcosa che era nell’aria e già vagamente presente in noi» (Pirro).
 
ore 19.00
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970)
Regia: Elio Petri; soggetto e sceneggiatura: Ugo Pirro, E. Petri; fotografia: Luigi Kuveiller; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Angela Sammaciccia; musica: Ennio Morricone; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Sergio Tramonti, Arturo Dominici; origine: Italia; produzione: Vera Film; durata: 114′
Un commissario di polizia uccide la sua amante e lascia ovunque, nella casa della donna, indizi contro di sé. Vuole verificare fino a che punto il potere, di cui egli è un esaltato rappresentante, riuscirà a proteggerlo, al di là di ogni prova che possa incriminarlo. «Petri, preso alla gola dall’attualità, e probabilmente compiaciuto del suo ruolo scandaloso, ha insistito su un solo versante, forzando le tinte nella pittura dei metodi polizieschi. Ma basta scalfire con l’unghia il suo film, ricordare il timbro esistenziale che accompagna la sua opera precedente, per toccarne il tessuto più vero, intinto di angoscia storica espressa in forme di paradosso. Impressione accentuata dalla struttura narrativa, da quell’aprirsi e chiudersi del film su toni grotteschi (il delitto iniziale, il rinfresco sul finire) che stringe in una tenaglia di sarcasmo il cuore realistico del racconto» (Grazzini).
 
ore 21.15
Buone notizie (1979)
Regia: Elio Petri; soggetto e sceneggiatura: E. Petri; fotografia: Tonino Nardi; scenografia: Amedeo Fago, Franco Velchi Pellecchia; costumi: Barbara Mastroianni; musica: Ennio Morricone; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Giancarlo Giannini, Paolo Bonacelli, Angela Molina, Aurore Clément, Ombretta Colli, Ninetto Davoli; origine: Italia; produzione: Medusa Distribuzione; durata: 116′
Buone notizie, filmraro di Elio Petri, manifesta un pessimismo ormai inguaribile, saturo di spinte metafisiche. Racconta di un funzionario della televisione che incontra un vecchio amico ossessionato dalla paura di venire ucciso… «Petri mi spiega il suo “piccolo film”, una storia che non mi dispiaceva. E propone di produrcelo noi […]. Giriamo tanto materiale. C’era una comicità abbastanza astratta, strana, ma al primo montaggio il film non era niente male. […] Elio […] comincia a manipolare il film, a tagliare tutte le scene comiche, divertenti. […] Petri mi spiega che non voleva ci accusassero di fare un film troppo vicino alla Wertmüller, che si rideva troppo. […] Io non ero molto d’accordo sui tagli, però avevo un grande rispetto per Elio, persona straordinaria. Il film non ha successo. Forse Elio sapeva già del suo male incurabile perché nel film ogni tanto mi faceva ripetere una cosa strana per cui, inginocchiato davanti a una parete, dicevo agli altri: “io non voglio morire, non voglio morire!”» (Giannini).
 

 

 

 

 

 

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