Pirandello e il cinema
25 Novembre 2017 - 29 Novembre 2017
«Il rapporto tra Pirandello e il cinema fu complesso, ambiguo, conflittuale, a volte di totale rifiuto, altre volte di grande curiosità. E fu certamente la curiosità per questa nuova modalità di narrazione per immagini, che si era già strutturata come industria cinematografica, che lo spinse a scrivere il romanzo Si gira, pubblicato una prima volta nel 1916 e poi ripubblicato nel 1925 con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. In questo romanzo il suo giudizio sul cinematografo è spietato sia quando teme che il pubblico abbandoni i teatri per correre a vedere su uno schermo “larve evanescenti” prodotte in maniera meccanica e fredda, sia quando descrive il mondo della produzione cinematografica popolato di personaggi volgari impegnati a confezionare prodotti commerciali per soddisfare il palato delle masse e gli interessi degli uomini d’affari. Nello stesso tempo la struttura stessa del racconto letterario e l’ipotesi, da Pirandello stesso formulata, di trarne un film prefigurano un’idea di linguaggio cinematografico di grande modernità: il film nel film.
Momento cruciale per la storia del cinema, nei primi decenni del suo sviluppo, fu l’avvento del sonoro. Anche in questo caso ad un iniziale rifiuto seguì una svolta significativa. In una lettera a Marta Abba del 27 maggio 1930, Pirandello scrisse: “L’avvenire dell’arte drammatica e anche degli scrittori di teatro è adesso là. Bisogna orientarsi verso una nuova espressione d’arte: il film parlato. Ero contrario, mi sono ricreduto”. In ogni caso, nessun altro autore del Novecento ha così profondamente recepito e interpretato nella propria drammaturgia le trasformazioni che il cinematografo, nel suo inarrestabile sviluppo, stava determinando nella sensibilità del pubblico e nella percezione della realtà. Direttamente o indirettamente, Pirandello è stato e continua ad essere un punto di riferimento fondamentale nella storia del cinema.
Numerosi gli autori cinematografici che hanno tratto film dalle opere di Pirandello. Tra questi, in Italia, di particolare rilievo Marco Bellocchio con Enrico IV (1984), L’uomo dal fiore in bocca (1993) e La balia (1999), i fratelli Paolo e Vittorio Taviani con Kaos (1984) e Tu ridi (1998), Mario Monicelli con Le due vite di Mattia Pascal (1985). All’estero, da ricordare Marcel l’Herbier, che nel 1924 realizza, in Francia, Il fu Mattia Pascal; George Fitzmaurice che, negli Stati Uniti, realizza nel 1932 As you Desire me con Greta Garbo, tratto dal dramma Come tu mi vuoi; William Dieterle che nel 1945 realizza, negli Stati Uniti, This Love of Ours, tratto da Come prima meglio di prima.
Numerosissimi gli autori cinematografici che, indirettamente, coscientemente o inconsciamente, sono stati influenzati dal pensiero e dalle opere di Luigi Pirandello: Luis Bunuel, ad Akira Kurosawa, a François Truffaut, a Woody Allen, a Ingmar Bergman, a Michelangelo Antonioni. Entrambi questi aspetti saranno presenti nella rassegna che, in collaborazione con la Cineteca Nazionale, verrà presentata nell’ambito delle manifestazioni per i 150 anni dalla nascita di Pirandello»» (Amedeo Fago).
Rassegna a cura di Amedeo Fago
sabato 25
ore 17.30 Pensaci Giacomini di Gennaro Righelli (1936, 73′)
«Per salvare dal disonore la figlia del bidello della propria scuola, vittima della seduzione di un suo ex alunno, il Prof. Toti, vecchio insegnante settantenne, la sposa. Poi, dopo avere avuto una grossa eredità, fa impiegare nella stessa cittadina il giovane di cui sopra e favorisce in tal modo la relazione tra i due cui è nato un bimbo, al quale egli funge da “nonnino”. Ma quando il giovanotto, istigato dalla famiglia, sta per sposare un’altra, il professore suscita uno scandalo pretendendo che egli ha già, e non può averne un’altra, una sua famiglia che è quella nella quale il professore stesso è marito e padre “pro forma”» (www.cinematografo.it ).
ore 19.00 Terra di nessuno di Mario Bàffico (1939, 64′)
«In Sicilia circa il 1870. Di ritorno dall’America un emigrato pianta le proprie tende in un vastissimo latifondo disabitato e incolto. Egli riesce a deviare la strada battuta dai viaggiatori e a rendere la sua baracca un centro di rifornimento e di ristoro. E in breve tempo accanto alla prima sorgono altre baracche e si riuniscono nello stesso luogo le prime famiglie. L’ex emigrato sposa una giovane del paese vicino e comincia la costruzione d’una vera e propria città. I padroni del latifondo si cominciano a preoccupare di questa pacifica ma radicale occupazione e, dopo qualche dissidio, si concorda un tributo che interrompa la prescrizione d’uso. Gli anni passano e il giovane figlio del latifondista sposa la figlia dell’ex emigrante» (www.cinematografo.it ). Tratto dalle due novelle di Pirandello Requiem aeterna dona eis Domine e Romolo.
ore 20.30 Le due vite di Mattia Pascal di Mario Monicelli (1985, 123′)
«Dopo la morte del padre, Mattia Pascal conduce nel paese di Miragno una vita pigra e inconcludente, anche a causa delle questioni di eredità che sono nelle mani di Malagna, un amministratore astuto e di dubbia correttezza. Mattia è sposato con Romilda e i due vivono nella casa di lei insieme alla suocera, una donna vessatrice e grossolana. Mattia ha una relazione con Oliva, figlia di un suo dipendente, che gli darà un erede. Quando anche la vecchia madre muore, Mattia, ormai insofferente di tutto, decide all’improvviso di salire su un treno notturno che transita verso la Francia e di scendere a Montecarlo. L’idea di sparire, “tout court”, ha sopraffatto quella di suicidarsi. Al casinò Mattia, come spesso accade ai neofiti, è aiutato da una fortuna sfacciata e vince somme esorbitanti. Intanto in paese, non avendo più sue notizie, i familiari decidono di tumulare un corpo nelle cui fattezze tutti hanno identificato lo scomparso Mattia. Assistendo di nascosto al rito nel cimitero, Pascal si adatta subito alla nuova e favorevole situazione e ormai, ufficialmente morto, parte per Roma deciso a ricominciare da zero una nuova esistenza» (www.cinematografo.it ). Con Marcello Mastroianni, Flavio Bucci, Laura Morante, Senta Berger.
domenica 26
ore 17.00 Enrico IV di Marco Bellocchio (1984, 86′)
«Nel corso di una festosa cavalcata in maschera, un giovane subisce una grave caduta provocata dal Barone Belcredi, suo rivale in amore. Impazzito per il colpo, il giovane assume l’identità di Enrico IV di Germania, di cui indossa il costume al momento dell’incidente e, rinnegando il presente, si allontana dalla donna che respinge il suo amore e dagli amici che si fanno beffe di lui per rinchiudersi in un castello con un piccolo gruppo di servitori. Anche quando ha superato il trauma della caduta, egli conserva la maschera del pazzo recitando la commedia dell’imperatore tormentato dalla scomunica di Gregorio VII, ma nel suo animo esacerbato dalle delusioni e dalle finzioni del mondo, coltiva un amaro risentimento e progetti di rivalsa. Questo è l’antefatto del film di Bellocchio che si ispira al dramma di Pirandello. L’azione inizia venti anni dopo con la visita al castello del gruppo che un tempo aveva partecipato alla mascherata» (www.cinematografo.it ). Con Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Leopoldo Trieste, Paolo Bonacelli.
ore 19.00 L’uomo dal fiore in bocca di Marco Bellocchio (1993, 35′)
«L’atto unico L’uomo dal fiore in bocca è uno dei testi di Luigi Pirandello più difficili da rappresentare. […] Il protagonista è Michele Placido, gli altri interpreti sono Nino Bellomo e Ernestina Chinova. Non è una ripresa teatrale – Placido porta in giro la pièce da diversi anni con successo -, ma è stato realizzato apposta per la televisione, in alta definizione, lo scorso anno, negli studi Rai di Milano. “Il progetto è nato casualmente” racconta Bellocchio “mi interessava sperimentare questa nuova tecnica televisiva. L’idea iniziale era di trasferire lo spettacolo in un contesto più realistico, girarlo in una stazioncina siciliana. Poi ci sono stati problemi di organizzazione, sia Michele Placido che io eravamo liberi a dicembre, allora abbiamo deciso di girare negli studi Rai di Milano, ricostruendo in maniera non realistica, ma più concentrata, questa dimensione del vero, della notte estiva”. Come ha lavorato sul testo di Pirandello? “Questo è un monologo che tutti credono di conoscere ma che pochissimi conoscono davvero, lo imparano gli allievi in accademia, è il tipico testo che si prepara per l’esame di ammissione. È difficile, pieno di insidie. È un dialogo di un disperato, seduto in un caffè, vicino a una stazione chiusa. Trascina nella tragedia della sua vita un avventore, mentre la moglie diventa una presenza sempre più incombente, lo insegue, vuole accudirlo, curarlo, finisce per perseguitarlo. L’uomo dal fiore in bocca rimanda a tanti testi di Pirandello che trattano il tragico rapporto con la moglie”» (Silvia Fumarola).
Copia proveniente da Rai Teche
ore 20.00 La balia di Marco Bellocchio (1999, 106′)
«Roma, primi anni del Novecento. Il professor Ennio Mori, un medico affermato che si occupa di malattie mentali, e la moglie Vittoria hanno un bambino. Il parto è molto difficile, e l’avvenimento mette ben presto in crisi il rapporto tra marito e moglie. Il neonato non si attacca al seno della madre e Vittoria comincia a sentire una sorta di distacco dal figlio, che si traduce in una sostanziale mancanza d’amore. Mori si decide allora a prendere una balia e la scelta cade su Annetta, una ragazza siciliana fiera e volitiva, sposata con un uomo agli arresti per motivi politici. Annetta in breve tempo stabilisce col bambino un rapporto di grande intimità e fisicità, mentre Vittoria cade in un’angoscia sempre più profonda che infine la spinge a lasciare la casa e il marito» (www.cinematografo.it ). Con Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Maya Sansa, Pier Giorgio Bellocchio, Michele Placido.
martedì 28
ore 17.00 Kaos di Paolo e Vittorio Taviani (1984, 157′)
«Come forse si sarà capito, la Sicilia vista dai Taviani attraverso Pirandello non ha niente a che fare con le cartoline turistiche e nemmeno con i luoghi comuni espressi dal cinema, anche quello migliore, a proposito dell’isola. È, o piuttosto era, perché luoghi e tempi del film vivono nella storia del costume, che poi sarebbe quella di fine Ottocento. Cosa resta oggi di tutto questo in Sicilia non si saprebbe a chi chiederlo. Ed è per contrasto col presente che si apprezzano questi personaggi ancora ignoranti ma segnati dal divino del Caos, primitiva potenza anteriore agli dei, più di essi anarchica e ribollente, il Caos che tutto precede» (Frosali). Film in cinque episodi nella versione televisiva, quattro nella versione cinematografica, priva dell’episodio Requiem. Con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Margarita Lozano, Claudio Bigagli, Massimo Bonetti, Enrica Maria Modugno.
ore 19.00 Tu ridi di Paolo e Vittorio Taviani (1998, 102′)
«Felice (1º episodio). A Roma, negli anni Trenta, Felice è un uomo ancora giovane che aveva una carriera davanti come baritono, fino a quando un piccolo ma decisivo abbassamento delle corde vocali, lo ha costretto a rinunciare al palcoscenico. Fa il contabile al teatro dell’opera e la notte è preda di violenti attacchi di riso. […] Due sequestri (2º episodio). In Sicilia, oggi, un bambino di dodici anni viene rapito e custodito da un carceriere in un albergo abbandonato alle pendici del monte Ballarò. Questo nome deriva dal fatto che proprio sulla cime di quel monte, cento anni prima, si era consumato un altro sequestro, quello di Ballarò, uomo colto e istruito, che era riuscito ad avviare un dialogo con i sequestratori» (www.cinematografo.it ). Con Antonio Albanese, Sabrina Ferilli, Luca Zingaretti, Giuseppe Cederna, Turi Ferro, Lello Arena.
mercoledì 29
ore 17.00 Effetto notte diFrançois Truffaut (1973, 118′)
Una troupe sta girando un film negli studi di Nizza: le vite degli attori e dei tecnici, le dispute lavorative e i problemi personali si incrociano con la storia che via via si costruisce nelle riprese e che costituisce il girato di un film dal titolo Vi presento Pamela. «La nuit américaine è un canto funebre in memoria di Hollywood, prima ancora che un atto d’amore per il cinema in quanto tale: coscienza metalinguistica di un trapasso irreversibile, che rischia di non veder riconosciuta la propria modernità a causa dell’insistente e sincera professione di anacronismo» (Barbera-Mosca). Con Truffaut, Jacqueline Bisset, Valentina Cortese, Nathalie Baye, Alexandra Stewart, Jean-Pierre Leaud.
ore 19.15 La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen (1985, 82′)
«Cecilia, giovane tuttofare in una bettola popolare della periferia di New Jersey, deve sottoporsi a un pesante doppio lavoro di lavanderia a domicilio per far quadrare miseramente il bilancio familiare nei difficili anni della depressione economica americana del 1930, anche a causa del marito, disoccupato, bighellone e manesco, che la sfrutta, dissipando nel gioco i pochi soldi da lei tanto faticosamente guadagnati. Umiliata e frustrata dalla dura routine presso il locale e più ancora dal trattamento bestiale del marito, che non le risparmia scenate e percosse, Cecilia diviene frequentatrice di un modesto cinema a New Jersey, dove si rifugia nell’immaginario di un mondo diverso, di bellezza e tenerezza, champagne e poesia, con tale incantata assiduità da dimenticare la realtà fino a vivere una fantasiosa avventura col più affascinante dei personaggi del film La rosa purpurea del Cairo, che, attirato dalla sua patetica fedeltà, lascia improvvisamente lo schermo, scende in sala, la prende per mano, tenero e cavalleresco, ed esce con lei nella notte romantica, scatenando le reazioni degli spettatori, del gestore del cinema, della produzione e dell’attore vero, preoccupato per la propria carriera» (www.cinematografo.it). Con Mia Farrow, Jeff Daniels, Danny Aiello.
ore 20.45 Rashōmon di Akira Kurosawa (1950, 88′)
In una giornata di pioggia incessante, un boscaiolo, un monaco e un passante si fermano a parlare di un fatto increscioso avvenuto qualche tempo prima. Si tratta dell’uccisione di un samurai, avvenuta per mano di un brigante che avrebbe anche abusato della moglie dell’uomo. La storia viene raccontata da quattro testimoni, il brigante-violentatore, la moglie del samurai, la vittima (che parla attraverso un medium) e infine un narratore, che pare sia il più obiettivo dei testimoni. Le versioni sono contrastanti e non si capisce bene quale sia la verità. Attraverso un illuminante ricorso al flashback, Akira Kurosawa propone una riflessione rimasta forse insuperata sul punto di vista e sull’incertezza della verità: il film trae ispirazione da due racconti di Ryūnosuke Akutagawa, Nel bosco e Rashōmon, tra i migliori esempi di letteratura giapponese dei primi anni del ventesimo secolo. Nonostante la casa di produzione non avesse alcuna fiducia nel film, al punto da pensare di non farlo neanche uscire nei cinema giapponesi dopo aver visto un primo montato, Rashōmon attirò l’attenzione dell’italiana Giuliana Stramigioli, all’epoca docente di italiano presso l’università degli Studi Stranieri di Tokyo: appassionatasi al film, la Stramigioli consigliò a Kurosawa di mandarlo in visione alla direzione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, per essere selezionato. Kurosawa era dubbioso a riguardo, ma si fidò del parere della docente: il film, selezionato in concorso per l’edizione del 1951, vinse il Leone d’oro, anticamera all’oscar per il miglior film straniero ottenuto nel febbraio dell’anno successivo. Il cinema giapponese era arrivato in Occidente.