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Ross McElwee: News From Home
01 Dicembre 2013 - 02 Dicembre 2013
«Posso vivere mentre sto filmando?». Da questa domanda semplice quanto radicale nasce il cinema di un regista che ha trasformato la propria vita quotidiana in una storia emotiva degli ultimi quarant’anni della società americana. Con un piglio ironico. che ha spinto in tanti a considerarlo “il Woody Allen del cinema documentario”, e una struttura libera e ricorsiva che lo avvicina a “un Proust con la macchina da presa”, Ross McElwee rompe le barriere tra home movies e documentario, creando diari visivi delicati e intensi, carichi di riflessioni metacinematografiche e ontologiche.
Nato a Charlotte, in North Carolina, nel 1947, McElwee consegue la laurea in cinema presso il MIT, sotto l’egida di insegnanti del calibro di Ed Pincus e Richard Leacock. Dopo i suoi primi documentari, Charleen (1977), Space Coast (1979) e Resident Exile (1981), in cui adotta lo sguardo oggettivo e impassibile del cinema diretto, con Backyard (1984) collauda gli ingranaggi della propria poetica, dall’impronta autobiografica alla narrazione in voice over, che nel superbo Sherman’s March raggiunge esiti stupefacenti, attestando la fisionomia inconfondibile del suo cinema. In Something to Do With the Wall (1990) si scosta temporaneamente dal racconto del proprio privato, per fornire una prospettiva insolita sulla vita nei dintorni del muro di Berlino, alla vigilia del suo smantellamento. Due anni dopo, con Time Indefinite, McElwee affronta una sfida dolorosa: filmare la perdita, l’assenza, lo scarto tra la memoria e lo scorrere del tempo, all’indomani di alcuni sconvolgimenti famigliari. Six O’Clock News (1996) solleva, invece, cruciali interrogativi sul modo in cui il giornalismo televisivo tratta le tragedie personali, veicolando un’idea distorta della società. Con Bright Leaves (2003), considerato il suo capolavoro assoluto, il regista intreccia magistralmente il proprio albero genealogico con i retroscena di un film hollywoodiano degli anni Cinquanta, per sfociare in una riflessione sull’industria e la cultura del tabacco. Il suo ultimo lavoro, presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è Photographic Memory (2011), un tuffo nel tempo perduto dei propri vent’anni, per ritrovare punti di connessione con il figlio Adrian.
La grandezza di McElwee risiede nella capacità di valorizzare il proprio personale punto di vista sulla realtà, partendo dal microcosmo familiare per aprire la propria riflessione all’universalità di interrogativi e sentimenti umani. Ross McElwee è docente di cinema all’Università di Harvard, dove dal 1986 è professore presso il Dipartimento di Studi visivi e ambientali.
Programma è curato da Luca Mosso, Daniela Persico, Alessandro Stellino
I film sono tutti in versione originale con i sottotitoli in italiano
 
domenica 1
ore 17.00 Charleen di Ross McElwee (1977, 60′)
Ritratto di una cara amica di lunga data del regista, Charleen Swansea. Donna esuberante, dalla parlantina svelta che McElwee pedina per un mese nello svolgersi della sua vita privata e durante le sue numerose attività, dalle lezioni di poesia – nel segno di Ezra Pound ed e.e. cummings – alle letture pubbliche nei teatri comunali di Charlotte, in North Carolina. Tra le mura domestiche, però, la situazione di Charleen non è facile: reduce dalla separazione con il marito, deve occuparsi da sé dei figli e trovare un equilibrio di coppia con il nuovo giovanissimo compagno, Jim. Film tesi per il corso di laurea al MIT, Charleen è un’opera dal registro accademico, ancora figlia di stilemi e prassi propri del cinema diretto, che tuttavia mette in luce lo straordinario talento di documentarista di McElwee e l’abilità nello scegliere gli aneddoti più pregnanti. Il film si regge su un delicato equilibrio tra l’energia trascinante della protagonista e la tenacia del regista, abile a intrecciare dimensione intima e sociale, rimanendo fedele a uno sguardo “oggettivo”. A partire da questo film, ritroveremo Charleen in molti successivi lavori del regista, dove continuerà a rivelarsi un soggetto inesauribile e un’interlocutrice sempre pronta a dispensare utili consigli.
 
a seguire Backyard di Ross McElwee (1984, 40′)
Per Ross McElwee, girare un film sul Sud degli Stati Uniti significa girare un film sulla propria famiglia. Stabilitosi da tempo a Boston, decide di fare ritorno per qualche tempo alla natia Charlotte, dove il fratello si sta preparando a partire per il college, pronto a seguire le orme del padre negli studi di medicina. Sotto lo stesso tetto dei McElwee vivono anche la domestica Lucille e il marito giardiniere Melvin. E mentre il padre di Ross continua a dimostrarsi scettico nei confronti della carriera artistica del figlio, questi comincia a filmare parallelamente sia la famiglia wasp che quella afroamericana nella loro quotidianità, da cui trapelano le rispettive differenze: di condizione sociale, aspettative, approccio all’esistenza e rapporto con gli affetti. Backyard è l’opera fondante all’interno della produzione di McElwee. In essa si definiscono in modo netto i caratteri innovativi del suo modo di fare cinema: il taglio autobiografico, il regista e la sua macchina da presa che diventano protagonisti interagendo con gli eventi filmati, la narrazione con voce fuoricampo e la totale autonomia nella realizzazione (one-man-crew).
 
ore 19.00 Time Indefinite di Ross McElwee (1993, 114′)
In occasione del ricorrente raduno estivo dei parenti, il regista annuncia che presto si sposerà con Marylin Levine, destando la felicità del padre. Nel frattempo, riemergono i ricordi lontani delle domeniche passate al molo a pescare, del trauma per la lenta agonia dei pesci e dei piccoli grandi interrogativi infantili sull’esistenza. Uno dei capolavori di McElwee, Time Indefinite è un’ambiziosa riflessione sui limiti del filmabile, sui segni concreti dell’azione del tempo e sul rapporto del cinema con la memoria, la morte e la vita. Un’elaborazione del lutto on the road da cui scaturisce una saga familiare di vivi e di morti (serbati appunto nel “tempo indefinito” dei fotogrammi), nonché un percorso di maturazione individuale in cui la liberazione dal fantasma paterno coincide con l’accettazione dei cicli ineluttabili dell’esistenza umana e l’assunzione di responsabilità verso la generazione futura.
 
ore 21.00 Sherman’s March di Ross McElwee (1986, 155′)
Reduce dall’abbandono della sua ex, McElwee dirotta il grandioso progetto di un documentario che ripercorra la sanguinosa marcia del generale William Tecumseh Sherman in un piano di emergenza per trovare al più presto una nuova fidanzata, servendosi della macchina da presa come di una lenza. Nel film che gli ha dato notorietà e successo, McElwee compie un notevole scatto in avanti rispetto a Backyard, sviluppandone radicalmente gli elementi stilistici all’interno di una struttura di racconto sofisticata e imponente. La soggettività acquista maggior rilievo e una nuova profondità in ambito sia tematico (la dimensione privata anteposta a quella storica) che formale (voce fuoricampo che confida emozioni simultanee all’evento filmato; monologhi in macchina). Il risultato è un fiammeggiante tour dentro l’anima del Sud e lo spirito dei tempi, con un geniale andamento digressivo, un’atmosfera sospesa, una comicità irresistibile e acute osservazioni sulla paranoia nucleare, sul consumismo e i rapporti fra i sessi.
 
lunedì 2
ore 17.00 Six O’Clock News di Ross McElwee (1996, 103′)
Bombardato quotidianamente dalle immagini dei notiziari su catastrofi, tragedie e omicidi, il regista è seriamente preoccupato per il futuro che aspetta il figlio Adrian in un mondo che, giorno dopo giorno, pare diventare sempre più minaccioso. Deciso ad andare oltre l’esasperazione e il sensazionalismo televisivo dei fatti di cronaca, il regista si mette in viaggio per affrontare da vicino alcune vicende che lo hanno colpito. Nato da una costola di Time Indefinite, nel quale doveva fungere da indagine sui diversi modi in cui gli individui affrontano le tragedie familiari, Six O’Clock News è diventato un confronto tra il linguaggio (visivo e verbale) del cinema di McElwee e quello del giornalismo televisivo. Il consueto punto di vista soggettivo e partecipe del regista si pone come un’alternativa all’impersonalità e alle pratiche di spettacolarizzazione del notiziario, mirando a restituire preminenza all’individuo, rispetto all’evento nefasto in cui è rimasto coinvolto.
 
ore 19.00 Bright Leaves di Ross McElwee (2003, 110′)
Da tempo McElwee è intenzionato a girare un film sull’industria del tabacco nella sua terra natale (la principale produttrice in America), da un lato perché vuole venire a capo del proprio complicato rapporto con questo tema, dall’altro perché c’è un coinvolgimento diretto: il suo bisnonno John Harvey McElwee è stato uno dei pionieri del commercio di sigarette nel North Carolina. L’impulso decisivo arriva da un cugino cinefilo, che lo invita nel Sud per fargli vedere Le foglie d’oro, film del 1950 con Gary Cooper e Patricia Neal, probabilmente ispirato alla travagliata storia del loro antenato, fondatore del marchio Bull Durham. Per il regista comincia un’indagine a più livelli, che parte dalle tracce e dai racconti di quegli eventi lontani, inclusa la loro trasfigurazione epica nel cinema di finzione, e giunge sino al presente, e al diverso legame che la gente del Sud ha con il tabacco.
 
 ore 21.00 Incontro con Ross McElwee. Modera Giona Nazzaro
 
a seguire Photographic Memory di Ross McElwee (2011, 84′)
A casa McElwee è in atto uno scontro generazionale: Ross ha difficoltà a comunicare con l’introverso e irrisolto figlio Adrian, ora ventunenne, che gli sembra frastornato da un “sovraccarico tecnologico” e da una congerie di attività dispersive. Contemporaneamente, il regista sente il bisogno di rievocare un periodo decisivo della sua giovinezza: i mesi trascorsi a Saint Quay-Portrieux, in Bretagna. Arrivato nella località francese, si mette sulle tracce del suo mentore, Maurice, che lo iniziò alla fotografia, e della sua vecchia fiamma Maud. In Photographic Memory, McElwee torna sui temi della paternità e del rapporto tra medium e tempo. La tecnologia ha un ruolo dominante nella definizione del divario tra padre e figlio, in un costante dissidio tra tangibilità e virtualità della memoria. Per il regista riscoprire che cosa significhi avere vent’anni è un modo per recuperare il dialogo con Adrian e al contempo sondare il movimento scomposto e autonomo dei ricordi. Nelle foto vengono cristallizzate interpretazioni di fatti, ma la corrente del divenire le sconfessa: da questo raffronto emergono i contorni di quel che il regista era un tempo e quel che è adesso.
Ingresso gratuito

 

 

Date di programmazione