Sotto il segno dei fratelli Taviani
13 Settembre 2012 - 20 Settembre 2012
«Non c’è fantasia di un uomo,
sia esso il più geniale,
che regga il passo
con la fantasia della Storia,
della natura».
Paolo e Vittorio Taviani
sia esso il più geniale,
che regga il passo
con la fantasia della Storia,
della natura».
Paolo e Vittorio Taviani
«Il cinema di Paolo e Vittorio Taviani è, a una prima lettura, difficile. Difficile a comprendere, ma innanzi tutto ad amare. È innegabile che vi sia un percorso intricato senza il quale è impossibile accedere all’opera, poiché i registi medesimi hanno cosparso di ostacoli questo cammino; ma sarebbe proprio del lettore attento individuarli e rimuoverli.
Una maschera copre sempre il volto dell’immagine, lo ripara e con esso le idee pudiche degli autori. L’istanza politica, la prepotenza della cronaca, il documento e l’intervento sono solo le ombre, i sipari, che in realtà celano i corpi, non inanimati, ma sommersi dalla vita, dalla Storia, a cui vogliono rispondere e interrogare. I primi sono le note dissonanti che si levano dal golfo mistico dell’orchestra, per sfociare poi in una scenografia sonora, fatta di rinvii, suggerimenti, ammiccamenti. Cronaca e Storia, presenti in ogni film, sono divenute esse stesse personaggi di una recita a soggetto, di una messa in scena, ove ognuno, nessuno escluso, è schiavo delle convenzioni della finzione. Sono i Leitmotiv del racconto, calatisi entro l’immaginazione, per determinarne i contrappunti; attraversano con le loro estremità acute lo spazio della narrazione, loro sorella, bastarda e minuscola, fantasiosa e scriteriata, sognante e impulsiva. Questa sa solo parlare a se stessa; è egocentrica, dialogica; ama girovagare tra i fondali con tutti i personaggi, ma, unicamente perché quelli sono stati creati da lei, può dare e a essi chiedere: non per nulla la sua ambizione è la regia. Il concreto, la sua somiglianza con l’immagine proposta dallo schermo, la presunzione della sua veridicità e di un suo possibile riscontro ha determinato – col dover essere dei due fratelli sempre con gli uni o con gli altri – fraintendimenti, confusioni, l’offuscamento della lettura dei film, rimasti per lo più mal compresi». Ripartiamo dall’incipit de Il Castoro di Fulvio Accialini e Lucia Coluccelli, datato 1979 (non a caso dopo Padre padrone), per fare luce sul cinema dei fratelli Taviani che continuano a cospargere di ostacoli le nostre visioni e a spingerci a superarli per ritrovare le radici di un’opera fortemente legata alla Realtà, seppur in continua mutazione. Ed è propria in questa mutazione la ragione, forse, della loro imperterrita sfida.
giovedì 13
ore 17.00
L’Italia non è un paese povero (1960)
Regia: Joris Ivens, con la collaborazione di Valentino Orsini, Paolo Taviani; commento: Alberto Moravia, Corrado Sofia; voce narrante: Enrico M. Salerno; fotografia: Mario Dolci, Oberdan Troiani, Mario Volpi; musica: Gino Marinuzzi; montaggio: Elena Travisi, Maria Cenciarelli, Misa Gabrini; origine: Italia; produzione: Proa Produttori Associati; durata: 110′
Nel 1959 Enrico Mattei, ex partigiano, democristiano e capitalista di Stato, chiede a Joris Ivens, già allora uno dei più grandi documentaristi della storia del cinema, di realizzare un film sul crescente impegno dell’Eni – di cui era presidente – nell’attività di estrazione del petrolio e del metano in Italia e nella costruzione della prima centrale nucleare a Latina. Mattei vuole un documentario di propaganda sul futuro sviluppo industriale del paese – la disponibilità di energia ne era il necessario presupposto – e soprattutto sull’obiettivo di indipendenza dal monopolio petrolifero angloamericano rappresentato dalle “sette sorelle”, le sette più grandi compagnie multinazionali che controllavano allora il mercato mondiale del petrolio. Joris Ivens si mette al lavoro solo dopo aver consultato i più alti dirigenti del Partito comunista italiano e dopo avere avuto ampie assicurazioni da Mattei circa la propria libertà espressiva. Ad Ivens viene inoltre garantito che il documentario sarà trasmesso dalla Rai e che avrà grande diffusione e visibilità internazionale. Il film viene terminato nei primi mesi del 1960, si intitola L’Italia non è un paese povero. Come c’era da aspettarsi da Ivens, il film non è solo, come lo chiameremmo oggi, uno “spot” a favore dell’Eni e del suo presidente. È anche e soprattutto uno straordinario ritratto cinematografico, per sensibilità e complessità, dell’Italia di quegli anni. La vicenda produttiva di questo film, in cui lavorarono accanto a Ivens i fratelli Taviani, Valentino Orsini, Tinto Brass, Alberto Moravia, Enrico Maria Salerno, meriterebbe un racconto a sé. Il film, infatti, piace a Mattei, ma viene contestato dalla Rai, che lo manda in onda a tarda ora, nell’estate del 1960, in una versione ridotta e depurata, con il titolo Frammenti di un film di Joris Ivens. Rispetto a pochi mesi prima, la situazione politica in Italia è cambiata. A capo del governo c’è Fernando Tambroni, appoggiato dai neofascisti del Movimento sociale. Enrico Mattei, organico alla sinistra democristiana e quindi avversario interno di Tambroni, non può sostenere il film, impegnato com’è a difendere l’Eni dalla politica filo atlantica, quindi filo americana, del governo in carica. Inoltre, senza visto di censura, la versione integrale del film non può uscire dall’Italia: la successiva diffusione internazionale de L’Italia non è un paese povero è poco meno di un romanzo. Ancora oggi il film, nella versione originale è visionabile in Italia soltanto presso la Cineteca Nazionale di Roma.
L’Italia non è un paese povero è diviso in tre parti: la prima di queste, Fuochi della valle del Po, riguarda la ricerca e la distribuzione del metano nella pianura padana. La seconda parte è a sua volta divisa in due episodi: Due città dedicato a Venezia e Ravenna e alla produzione del gas, e La storia dei due alberi, dove viene messo a confronto un albero di olive, da cui dipende la vita di sette povere famiglie di contadini, con un “albero di Natale”, l’attrezzatura che controlla l’imboccatura dei pozzi di petrolio e gas, ed i suoi benefici. La terza parte Appuntamento a Gela, ruota intorno al matrimonio tra una ragazza siciliana ed un uomo del Nord Italia, che lavora su una piattaforma off-shore. Il regista utilizza in questo film tecniche innovative come la “camera a mano”, una diversa modulazione della velocità della pellicola e modalità operative mutuate dalla televisione.
Ingresso gratuito
ore 19.00
Un uomo da bruciare (1962)
Regia: Valentino Orsini, Paolo e Vittorio Taviani; soggetto e sceneggiatura: V. Orsini, P. e V. Taviani; fotografia: Toni Secchi; scenografia: Piero Poletto; costumi: Lina Nerli; musica. Gianfranco Intra; montaggio: Lionello Massobrio; interpreti: Gian Maria Volonté, Didi Perego, Spiros Focas, Turi Ferro, Marina Malfatti, Vittorio Duse; origine: Italia; produzione: Ager Cinematografica, Sancro Film, Alfa Cinematografica; durata: 90′
Un sindacalista siciliano torna dal continente nella sua terra d’origine mentre i contadini hanno deciso l’occupazione di un latifondo. «Un uomo da bruciare si apre col canto del protagonista e il controcanto dei compagni: lui il solista, loro il coro; lui venuto a salvare gli amici dalle prevaricazioni della mafia, loro i contadini, capaci di organizzarsi anche da soli; lui istruito in continente che decide per la lotta, loro vissuti sempre tra “zappaterra” e mafiosi. Vediamo un “eroe” e un gruppo, un primo attore che sceglie la propria esistenza, pur tra contraddizioni ed errori, e un contorno di uomini stanchi di accettare eroi “fatati” disposti a divenire capi per liberarli» (Accialini, Coluccelli).
Un sindacalista siciliano torna dal continente nella sua terra d’origine mentre i contadini hanno deciso l’occupazione di un latifondo. «Un uomo da bruciare si apre col canto del protagonista e il controcanto dei compagni: lui il solista, loro il coro; lui venuto a salvare gli amici dalle prevaricazioni della mafia, loro i contadini, capaci di organizzarsi anche da soli; lui istruito in continente che decide per la lotta, loro vissuti sempre tra “zappaterra” e mafiosi. Vediamo un “eroe” e un gruppo, un primo attore che sceglie la propria esistenza, pur tra contraddizioni ed errori, e un contorno di uomini stanchi di accettare eroi “fatati” disposti a divenire capi per liberarli» (Accialini, Coluccelli).
ore 20.45
I fuorilegge del matrimonio (1963)
Regia: Valentino Orsini, Paolo e Vittorio Taviani; soggetto e sceneggiatura: Lucio Battistrada, Giuliani De Negri, Renato Nicolai, V. Orsini, P. e V. Taviani; fotografia: Enrico Menczer; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Lionello Massobrio; interpreti: Ugo Tognazzi, Annie Girardot, Romolo Valli, Didi Perego, Scilla Gabel, Gabriella Giorgielli; origine: Italia; produzione: Ager Film, Film Coop, D’Errico Film; durata: 98′
Una proposta di legge, presentata nel 1963 da Renato Sansone, prevedeva il divorzio in sei casi limite di evidente assenza di qualsiasi legame tra i coniugi. Il film, composto di un prologo e cinque episodi, rappresenta questi casi clamorosi. «Anche qui si parte dalla cronaca. Le narrazioni nascono dalla lettura di una montagna di lettere ricevute dall’onorevole Sansone, scritte da alcuni fra coloro i cui casi matrimoniali rientravano nel progetto di legge. “Da queste brevi lettere saltano fuori una galleria di personaggi, una varietà di situazioni umane quasi tutte al limite con la follia, uno squarcio impressionante di un settore della realtà italiana”. […] Avvicinarsi al reale e alle legge che lo regola è occasione per i registi di fare i conti con l’assurdo, la follia» (Accialini, Coluccelli).
venerdì 14
ore 17.00
Sovversivi (1967)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto e sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Gianni Narzisi, Giuseppe Ruzzolini; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Franco Taviani; interpreti: Giorgio Arlorio, Giulio Brogi, Pier Paolo Capponi, Ferruccio De Ceresa, Maria Tocinowsky, Lucio Dalla; origine: Italia; produzione: Ager Film; durata: 97′
«Alla base di Sovversivi sta un’idea probabilmente suggerita ai Taviani dall’esperienza de I fuorilegge: quella di una molteplicità di storie e di personaggi correlati fra loro da un identico problema che costituisce per tutti un banco di prova e una svolta esistenziale. […] Sovversivi è infatti il polittico di quattro “storie parallele”, cioè di altrettante vite aperte e in cerca di se stesse e del proprio ruolo, in un particolare momento della verità: i funerali di Togliatti, nell’estate del 1964 visti […], come già nel pasoliniano Uccellacci e uccellini, quale ultimo capitolo di un’epoca e inizio di una nuova, più matura, e perciò più tormentata adesione alle cose. […] In pochi film come in questo coesistono positivamente forme di consapevolezza, estetica e politica, così (relativamente) avanzate come: 1. la coscienza del superamento definitivo del mito/illusione neorealistico e di ogni sua possibile ripresa […]; 2. la coscienza che l’unico modo per essere degli artisti politici non è quello di fare dell’arte “politica” ma di fare politicamente l’arte […]; 3. la coscienza che dalla sclerosi delle vecchie certezze ideologistiche non si esce creandone delle nuove […], ma scegliendo, materialisticamente, il sistematico confronto con la realtà in una feconda dialettica […]; 4. la coscienza che la “politica del possibile” ha finito per emarginare l'”impossibile” dal voluto, […] e che dunque occorre ridare uno spazio politico all’utopia […]. Queste forme di consapevolezza […] fanno di Sovversivi un film ricco di presentimenti sessantotteschi: nel senso che gli umori, i fervori, gli ardori, così come le spinte iconoclaste, […] da cui il film è pervaso, troveranno parziale concretizzazione, di lì a una stagione, nelle piazze, nelle fabbriche e nelle università» (Micciché).
ore 19.00
Sotto il segno dello scorpione (1969)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto e sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Giuseppe Pinori; scenografia: Giovanni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Vittorio Gelmetti: montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Gian Maria Volonté, Lucia Bosè, Giulio Brogi, Samy Pavel, Daniele Dublino, Steffen Zacharias; origine: Italia; produzione: Ager Film; durata: 90′
«Lo Scorpione è un apologo semplice e lineare che si costruisce su un’isola, spazio collocato fuori dalla Storia, dimensione leggendaria, metafora di un presente (il ’68/69) che non si vuole rappresentare col documento, bensì manipolare con la finzione. Invenzione e immaginazione sono i confini di questa narrazione dove i Taviani raccolgono frammenti di antiche leggende, che raccontano di Enea, di Romolo e Remo (Rutolo e Taleno, i due nomi sono onomatopeici), del ratto delle Sabine, ma di questo nel film non sono rimaste che piccolissime tracce, orme di ricordi impressi nell’infanzia; come una fotografia di un libro di Storia, dimenticata dagli autori e pur indelebile nella loro memoria. […] Rutolo e Taleno sono i due fratelli che con altri compagni approdano in cerca di salvezza su un’isola identica a quella da cui sono fuggiti: una realtà che si ripropone sempre uguale. Anche nell’isola la Storia segue ritmi troppo lenti rispetto all’esigenza di cambiare, di mutare, dei giovani fuggiaschi. Essi non possono accontentarsi della ricostruzione; esigono l’alterità, il nuovo, anche se sconosciuto. L’ambizione al continente, terra ove l’utopia potrà finalmente realizzarsi, spinge i giovani ad agire presto, subito: essi non hanno tempo» (Accialini, Coluccelli).
ore 20.45
San Michele aveva un gallo (1973)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: dalla novella di Lev Tolstoj Il divino e l’umano; sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Mario Masini; scenografia: Giovanni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Benedetto Ghiglia; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Giulio Brogi, Daniele Dublino, Virginia Ciuffini, Benedetto Ghiglia, Renato Scarpa, Vittorio Fanfoni; origine: Italia; produzione: Ager Film, Rai Tv; durata: 90′
L’anarchico Giulio Manieri viene arrestato e chiuso in carcere, dove trascorre dieci anni in solitudine, pensando alla rivoluzione. «La parabola del rivoluzionario che ha perso la fede […] viene così condotta fra politicismo e allegorismo, due costante dei fratelli registi, i quali riescono a sviluppare, con rigorosa intendità stilistica e felicissime soluzioni narrative, il concetto di solitudine, l’utopia rivoluzionaria, il momento della verità. Giulio Brogi, un attore inspiegabilmente trascurato dal nostro cinema, aderisce perfettamente al personaggio di Manieri offrendo un’interpretazione contenuta e umanissima. La stupenda fotografia, dai toni smorti, è di Mario Masini» (Spiga).
sabato 15
ore 17.00
Allonsanfan (1974)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto e sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Giuseppe Ruzzolini; scenografia: Giovanni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Ennio Morricone; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Marcello Mastroianni, Lea Massari, Mimsy Farmer, Laura Betti, Claudio Cassinelli, Bruno Cirino; origine: Italia; produzione: Una Cooperativa Cinematografica; durata: 111′
1816. Fulvio Imbriani, membro della setta segreta dei Fratelli Sublimi, uscito dal carcere, si unisce alla sua compagna e ad altri rivoluzionari per liberare il Sud, dopo essere stato accusato di tradimento dai suoi confratelli. «A Fulvio, eroe in fuga, non resta che la lotta, contro tutto e tutti, contro gli oggetti e le cause, i mandanti e gli esecutori. Fulvio, trovatosi nel labirinto senza averlo scelto, nell’impossibilità di procedere, inizia a sfasciare, a distruggere, a barare le regole, a tradire una volta di più. Il nodo, nella non possibilità di sciogliersi, viene reciso. Fulvio Imbriani, che sino ad allora aveva tentato di fuggire nella famiglia, nell’affetto, entro il ventre della buona nutrice, come sotto le coltri del proprio letto, inizia a uccidere e distruggere, seguendo le stesse regole a cui non voleva adeguarsi, inseguito dal gruppo, allontanatosi dal figlio, fingendo la parte del rivoluzionario convinto» (Accialini, Coluccelli).
ore 19.00
Padre padrone (1977)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: liberamente tratto dal romanzo Padre padrone, l’educazione di un pastore di Gavino Ledda; sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Mario Masini; scenografia: Giovanni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Egisto Macchi; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Omero Antonutti, Saverio Marconi, Marcella Michelangeli, Fabrizio Forte, Marino Cenna, Nanni Moretti; origine: Italia; produzione: Rai, Cinema s.r.l.; durata: 113′
«Tratto da un libro autobiografico (1975) di Gavino Ledda. Pastore di Siligo (Sassari), Gavino vive fino a vent’anni con il gregge tra i monti, strappato alla scuola, separato dalla lingua, escluso dalla collettività. Durante il servizio militare in continente, studia e prende la licenza liceale. Esplode allora la ribellione contro il padre che, di fatto e per necessità, è stato lo strumento della sua separazione. Esce dallo scontro vincitore, colmo di pietà e di terrore. Apologo sulla necessità di spezzare il potere autoritario e sul rifiuto del silenzio, ha nella colonna sonora e musicale (Egisto Macchi) il suo versante più inventivo. Pur con durezze didattiche e scorie intellettualistiche, è un film razionale e lucido che assomiglia al paesaggio sardo: ventoso e scabro, enigmatico e violento, soffuso di una luce che gli dà la nobiltà maestosa di un quadro antico. Un intenso O. Antonutti e un duttile S. Marconi nella parte di Gavino sono i protagonisti. Prodotto dalla RAI. Palma d’oro a Cannes da una giuria presieduta da Roberto Rossellini. Fu l’ultima delle sue trasgressioni alle regole del gioco» (Morandini).
ore 21.00
Il prato (1979)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto e sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Franco Di Giacomo; scenografia: Gianni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Ennio Morricone; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Michele Placido, Saverio Marconi, Isabella Rossellini, Giulio Brogi, Angela Goodwin, Remo Remotti; origine: Italia; produzione: Film Tre; durata: 113′
«Tre giovani su un prato. Quando nasce la speranza, quando ci si innamora sembra che la natura ci trasmetta un messaggio di felicità; quando le illusioni cadono, la natura diventa una bellezza insolente, anzi una spettatrice malata come noi. I tre giovani non resistono al confronto, il tradimento della natura simboleggia quello della storia; restano i più vecchi a meditare sul senso del loro fallimento, a trasformare in protesta la resa dei figli. Nella favola intitolata Il prato, che ha inaugurato la Mostra del Cinema, i fratelli Taviani tornano ai loro tormenti più schietti, dopo l’evasione edificante di Padre padrone; tornano alla riflessione di San Michele aveva un gallo, anche se con l’impaccio e le incertezze che derivano dal dover congelare in una forma quasi classica la categoria sociologicamente viva ed equivoca dei cosiddetti “giovani d’oggi”. Per questo conflitto narrativo (i Taviani amano gli avvenimenti proverbiali, non la cronaca) lo stile dei film non di rado si tende e soffre. L’estraneità e la finita oggettività dei due registi sembrano qualche volta sopraffatte di un’emozione più diretta; dietro gli sviluppi un poco lambiccati del racconto lo spettatore non tavianeo vede volentieri il ritratto di un nuovo sentimentalismo giovanile, una fede perduta nelle ragioni del proprio cuore che rende una generazione più autentica e più debole di quella che l’ha preceduta» (Reggiani).
domenica 16
ore 17.00
La notte di San Lorenzo (1982)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto e sceneggiatura: P. e V. Taviani, Tonino Guerra, Giuliani [Gaetano De Negri]; fotografia: Franco Di Giacomo; scenografia: Gianni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Omero Antonutti, Margarita Lozano, Claudio Bigagli, Massimo Bonetti, Sabina Vannucchi, Dario Cantarelli; origine: Italia; produzione: Ager Cinematografica, Rai; durata: 108′
Il film rievoca un episodio della seconda guerra mondiale: il 10 agosto 1944, la popolazione di San Miniato cerca di raggiungere le postazioni americane e di sottrarsi alle rappresaglie naziste. «È il miglior film italiano dell’annata e, in assoluto, uno dei più importanti del 1982. È un’opera poetica, tenera e crudele a un tempo, di grande semplicità e verità umana, due caratteri che, appunto, distinguono l’autentica poesia, nelle parole e nelle immagini. Con questo film i fratelli Taviani […] tornano alle vette artistiche di Padre padrone, al quale però La notte di san Lorenzo sembra superiore per il fascino del racconto e per la suggestiva potenza di una irripetibile atmosfera, tessuta qua e là di elementi favolistici. […] Il film racconta come avvenne il passaggio del fronte in un microcosmo d’Italia, rappresentativo di tanti altri luoghi che conobbero le stesse pene, le stesse speranze, gli stessi tragici eventi. Quello che i due registi ci restituiscono con stupefacente abilità è il senso di smarrimento della popolazione, esseri umani in balìa del caso, del destino» (Solmi). La notte di San Lorenzo ha vinto il Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes.
ore 19.00
Kaos (1984)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: liberamente tratto da Le novelle per un anno di Luigi Pirandello; sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia: Francesco Bronzi; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Margarita Lozano, Claudio Bigagli, Massimo Bonetti, Enrica Maria Modugno; origine: Italia/Francia; produzione: Film Tre, Rai; durata: 157′
«Come forse si sarà capito, la Sicilia vista dai Taviani attraverso Pirandello non ha niente a che fare con le cartoline turistiche e nemmeno con i luoghi comuni espressi dal cinema, anche quello migliore, a proposito dell’isola. È, o piuttosto era, perché luoghi e tempi del film vivono nella storia del costume, che poi sarebbe quella di fine Ottocento. Cosa resta oggi di tutto questo in Sicilia non si saprebbe a chi chiederlo. Ed è per contrasto col presente che si apprezzano questi personaggi ancora ignoranti ma segnati dal divino del Caos, primitiva potenza anteriore agli dei, più di essi anarchica e ribollente, il Caos che tutto precede» (Frosali). Film in cinque episodi nella versione televisiva, quattro nella versione cinematografica, priva dell’episodio Requiem.
ore 22.00
Good Morning Babilonia (1987)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto e sceneggiatura: P. e V. Taviani da un’idea di Lloyd Fonvielle, con la collaborazione di Tonino Guerra; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia: Gianni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Vincent Spano, Joaquim De Almeida, Desirée Becker, Charles Dance, Omero Antonutti, Bérangère Bonuoisin; origine: Italia/Francia/Usa; produzione: Film Tre, Rai, MK2, Films A2, E.P.F.C., Edward Pressman Film Corporation; durata: 117′
Due fratelli toscani di professione restauratori cercano fortuna in America. Partecipano alla costruzione del padiglione italiano dell’Esposizione Mondiale di San Francisco e alle scenografie di Intolerance, il capolavoro di Griffith. «Good Morning Babilonia accumula senza sforzo l’intero repertorio tematico e stilistico dei fratelli Taviani, che narrando la storia dei fratelli Bonanno, carpentieri al servizio di Griffith, ripercorrono quasi psicoanaliticamente i sentieri della propria vocazione all’immagine. […] Ne esce un film scandito nel modo estroso e vitalistico del cinema italiano. Totalmente immerso in un contesto di sapienti citazioni, che vanno da Chaplin a Giuseppe Verdi, da Hitchcock a Pasolini, disponibile a coniugare poesia e commozione, intellettualismo e afflato popolare» (Kezich).
lunedì 17
chiuso
martedì 18
ore 17.00
Il sole anche di notte (1990)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: liberamente tratto dal racconto di Lev Tolstoj Padre Sergio; sceneggiatura: P. e V. Taviani, con la collaborazione di Tonino Guerra; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia: Gianni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Julian Sands, Charlotte Gainsbourg, Massimo Bonetti, Margarita Lozano, Patricia Millardet, Nastassia Kinski; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Film Tre, Rai, Sara Film, Interpool, Capoul, Direkt Film; durata: 112′
Il nobile Sergio, quando scopre che la sua promessa sposa, la duchessa Cristina, era stata l’amante del re, lascia Napoli, si fa monaco e va a vivere, eremita, su un monte. «Trasferita l’azione nel Mezzogiorno d’Italia, il film non segna, come può sembrare, un ripiegamento dei Taviani, sinora molto attenti al sociale e al politico, su temi spiritualisti o addirittura religiosi. Rappresenta al contrario un superamento del loro discorso storico, l’approdo ai misteri perenni del cuore e alle pulsioni della carne. Tramontate le ideologie (ma non le utopie), padre Sergio è il simbolo della lotta di molti progressisti sconfitti, divisi fra il separarsi dalla società e il continuare a parteciparvi con traguardi più alti» (Grazzini).
ore 19.00
Fiorile (1993)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: P. e V. Taviani; sceneggiatura: Sandro Petraglia, P. e V. Taviani; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia: Gianni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Claudio Bigagli, Galatea Renzi, Michel Vartan, Chiara Caselli, Renato Carpentieri, Lino Capolicchio; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Film Tre, Gierre Film, Florida Movies, La Sept Cinéma, Canal Plus, Roxy Film, K.S. Film; durata: 119′
La famiglia Benedettisi reca dalla Francia in Italia per andare a trovare il nonno malato. Durante il viaggio il padre racconta ai due figli la storia della sua famiglia e la ragione per la quale le è stato affibbiato il nomignolo “famiglia dei Maledetti”. «Il film si fa via via ricco per l’emozione sotterranea che impregna la plasticità del paesaggio, così che verrebbe voglia di definirlo un film nel quale i Taviani amorosamente hanno evocato il misterioso sentimento delle cose che impregna le più assolate campagne nostrane. […] Film visionario invece che realistico, film di magia senza alcun tocco di effetti speciali, Fiorile lascia dilagare di sequenza in sequenza una passione per la concretezza che si rovescia nel proprio opposto, fino a passare il segno, poiché, in modo palese, la storia di famiglia evapora e restano purissime linee emotive a far cinema di per sé» (Siciliano).
ore 21.15
Le affinità elettive (1996)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: dal romanzo omonimo di Johann Wolfang Goethe; soggetto e sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia: Gianni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Carlo Crivelli; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Isabelle Huppert, Jean-Hughes Anglade, Fabrizio Bentivoglio, Marie Gillain, Massimo Popolizio, Laura Marinoni; origine: Italia/Francìa; produzione: Film Tre, Gierre Film, con la collaborazione di Florida Movies, France 3, Rai, e la partecipazione di Canal Plus; durata: 98′
Due nobili, dopo aver convissuto per anni, decidono di sposarsi e di ristrutturare la loro villa, ma l’arrivo di un amico architetto e della nipote di lei muta gli equilibri. «Trasferita l’azione dalla Germania alla Toscana di S. Miniato e Poggio a Caiano e spostata cronologicamente in era napoleonica (ma i ritocchi sono parecchi), i Taviani hanno fatto un film che ha la progressione di una tragedia di Racine, lo splendore e la freddezza di un diamante, la raffinatezza cromatica e scenografica del rococò combinata col nitore neoclassico e i primi brividi del romanticismo» (Morandini).
mercoledì 19
ore 17.00
Tu ridi (1998)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: liberamente tratto da novelle di Luigi Pirandello; sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia: Gianni Sbarra; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Antonio Albanese, Sabrina Ferilli, Giuseppe Cederna, Turi Ferro, Lello Arena, Steve Spedicato; origine: Italia; produzione: Film Tre, con la collaborazione di Dania Film, Rai; durata: 103′
«Dai racconti di Luigi Pirandello Tu ridi (1912) e La cattura (1918). Felice: ex baritono (Albanese) che lavora tristemente come impiegato al Teatro dell’Opera nella Roma degli anni ’30, di notte, sognando, inspiegabilmente ride. Due sequestri: Sicilia, oggi. Un bambino (Spedicato), figlio di un mafioso collaboratore di giustizia, vive segregato in un albergo disabitato di montagna in compagnia di un carceriere (Arena). Sullo stesso monte, cent’anni prima, è accaduto un altro sequestro, ma la distanza tra i due crimini è immensa. Dopo Kaos i Taviani tornano a Pirandello. Nel 1° racconto confluiscono elementi di altre tre novelle (L’imbecille, Sole e ombra, E due!) cui si aggiungono la dimensione dell’opera lirica (con apporti di Nicola Piovani) e della protervia fascista. Nel 2° il nucleo pirandelliano è incastonato nella storia di un altro sequestro di efferata atrocità, ispirato a un fatto di cronaca, per mettere a confronto due diversi tipi di criminalità e il cambiamento dei tempi, in peggio. Qui sono in evidenza le due belle prove di attore di Turi Ferro e Lello Arena come nell’altro episodio quella di un Albanese di cupa e stralunata intensità. Pur non mancando di momenti alti e di tratti di ammirevole finezza, il risultato complessivo è di “un film scostante, ma vivo, informe ma sentito, sbilanciato ma goduto e sofferto al tempo stesso. Talvolta di testa, e altrove di cuore, mai di fiuto” (F. De Bernardinis). Un’opera fuori moda sotto il segno della morte» (Morandini).
ore 19.00
La masseria delle allodole (2007)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan; sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Giuseppe Lanci; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Giuliano Taviani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Paz Vega, Moritz Bleibtreu, Arsinée Khanjian, Alessandro Preziosi, Angela Molina, Mohammad Bakri; origine: Italia/Bulgaria/Francia/Spagna; produzione: Ager 3, Rai Cinema, Eagle Pictures, Nimar Studio, Sagrera Tv, Tve, Flach Film, France 2 Cinema, Canal Plus, 27 Films Productions, Ard Degeto; durata: 122′
«È la saga dei due fratelli Avakian, che facendo scelte di vita diverse, preparano due destini tragicamente opposti di vita e di morte, per i loro figli. Il fratello maggiore, Assadour, lascia l’Armenia da ragazzo per andare a studiare medicina a Venezia. Diventa un medico di successo a Padova, si sposa con una nobildonna e ha due figli. Il fratello più tranquillo, Aram, legato alle tradizioni familiari, nella sua farmacia nel villaggio natale in Anatolia, fa conoscere le novità occidentali, ma la sua numerosa famiglia incarna i valori e la cultura del popolo armeno. Dopo molti anni di lontananza, nel 1915 i due fratelli combinano una rimpatriata: Assadour con la famiglia si prepara a tornare in Anatolia con due automobili, carico di doni e di nostalgia. Aram arreda con eleganza la “masseria delle allodole”, la villa in campagna, preparando per tutti loro un’accoglienza memorabile» (www.cinematografo.it). «La masseria delle allodole è molto, molto interessante, ricco di meravigliose immagini, recitato da un cast internazionale (i più bravi sono André Dussolier e Mohamed Bakri). E segnato dall’inconfondibile grandioso stile dei Taviani, inasprito dal senso di rivolta verso la persecuzione degli armeni e verso gli assassinii di massa dei giorni nostri» (Tornabuoni).
ore 21.15
Cesare deve morire (2012)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto; liberamente ispirato alla tragedia di William Shakespeare Giulio Cesare; sceneggiatura: P. e V. Taviani, con la collaborazione di Fabio Cavalli; fotografia: Simone Zampagni; musica: Giuliano Taviani, Carmelo Travia; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, Juan Dario Bonetti, Vittorio Parrella; origine: Italia; produzione: Kaos Cinematografica, in associazione con Stemal Entertainment, Le Talee, Associazione Culturale La Ribalta, in collaborazione con Rai Cinema; durata: 76′
«I Taviani e il teatro di Shakespeare. Trasformato in cinema – in un grande cinema – con la trovata geniale di far rappresentare uno dei suoi drammi più celebri, il Giulio Cesare, da detenuti di un carcere romano, quello di Rebibbia. Si comincia a colori. Con la ricerca fra i detenuti di quelli che potrebbero recitare in uno spettacolo che dovrà svolgersi tra le mura del carcere. Poi, in uno splendido bianco e nero esaltato dal digitale, inizia il dramma. Con i suoi interpreti che, scortati, lasciano le loro celle per partecipare alle prime prove in un palcoscenico improvvisato: le parti imparate a memoria, le battute dei primi atti, con un’altra splendida trovata, quella di lasciare che i singoli “attori” si esprimano nei loro dialetti d’origine, in maggioranza meridionali, non solo non sminuendo quel testo quasi sacro ma, anzi, dotandolo di una vitalità e di sapori di cronaca dal vero di cui doveva far sfoggio quasi soltanto quando si recitava al Globe Theatre nell’inglese del Seicento. Allo snodarsi di fronte a noi della vicenda raccontata da Shakespeare, Paolo e Vittorio Taviani hanno qua e là accompagnato l’enunciato di piccoli casi privati di questo o quel detenuto coronati, a un certo momento, dalla constatazione che alcuni di loro fanno sulla contemporaneità di situazioni, per qualcuno anche personali, incontrate in un testo pur distante secoli da loro: quasi a testimoniare dell’eternità dell’arte. Si segue con il fiato sospeso. Certo, grazie a Shakespeare, ma anche per quella interpretazione diretta, anzi, addirittura nuda che, nonostante queste o forse proprio per questo, ad ogni svolta, ad ogni battuta è di una intensità sempre lacerante. Specie quando, per rappresentarci il coro dei Romani prima e dopo l’uccisione di Cesare, non si muovono masse in scena, ma si fanno ascoltare le invettive e le grida di altri detenuti affacciati numerosi da finestre con le sbarre» (Rondi). Orso d’oro al Festival di Berlino.
Per gentile concessione di Kaos Cinematografica – Ingresso gratuito
giovedì 20
ore 17.00
I ragazzi di San Miniato. Incontro con Paolo e Vittorio Taviani (2002)
Regia: Luciano Odorisio; a cura di Lorenzo Cuccu; fotografia: Paolo Ferrari, Mario Amura; montaggio: Carlo Balestrieri; origine: Italia; produzione: Scuola Nazionale di Cinema; durata: 55′
«Ci siamo rivisti dopo 33 anni, a Cinecittà. Inevitabile per me il ricordo di quando avevo lavorato per loro come aiuto regista in Sotto il segno dello scorpione, 1969. Non c’erano ancora Padre Padrone, San Michele aveva un gallo, Allonsanfan, Good Morning Babilonia, ecc., è già sentivo forte il loro fascino di “cantastorie”. Incontrarli di nuovo è stato forte molto emozionante e il loro ritratto di è “filmato” da solo. Qualche ricordo in comune, poi hanno cominciato a parlare, a raccontarsi, a entusiasmarsi come allora, parlando dei loro inizi, delle loro fascinazioni cinematografiche, del loro modo di fare cinema, di raccontare storie e io sono ridiventato il loro aiuto regista, seduto ad ascoltarli con lo stesso interesse di allora, provando le stesse emozioni di allora, come se tutto dovesse ancora cominciare» (Odorisio).
ore 18.00
Resurrezione (2001)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: dal romanzo omonimo di Lev Tolstoj; sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Franco Di Giacomo; scenografia: Lorenzo Baraldi; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Stefania Rocca, Timothy Peach, Marie Bäumer, Cecile Bois, Marina Vlady, Antonella Ponziani; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Film Tre, Gierre Film, Rai Cinema, Pampa Production, Bavaria Film; durata: 180′
«Da anni avevamo il progetto nel cassetto e finalmente l’abbiamo fatto grazie alla Rai, che ci ha permesso di girarlo per esteso, senza censure sui tempi. Quale produttore, oggi, finanzierebbe un copione di oltre tre ore da portare al cinema? Per lavori di tale respiro è rimasta solo la Tv. […] Resurrezione ci ha attratto per quell’imperfezione che ci permetteva di raccontare ciò che volevamo. In questo libro Tolstoj, spinto dai sentimenti di rivolta che bollivano all’epoca, ha messo di tutto un po’: miseria, ingiustizia, passione, rivoluzione, libertà. Noi abbiamo affondato le mani nella materia e abbiamo rielaborato, riscritto, tagliato, cucito. […] In fondo, da quarant’anni stiamo scrivendo con la cinepresa un unico romanzo in tanti capitoli, ciascuno rappresentato da un film. Attraverso la violenta storia d’amore di Resurrezione, immersa nell’impeto etico e mistico della vecchia Russia, finiamo per parlare di angosce e speranze di oggi. Tolstoj scrisse il lavoro alla fine del suo secolo, l’Ottocento, noi alla fine del nostro. “Come sarà il Novecento?”, si chiede il protagonista verso la fine. Cinica domanda che abbiamo inserito apposta. Noi ora sappiamo… Ma occorre sperare. Com’è giusto che l’ultima parola sia ancora “amore”, che esiste e di cui abbiamo bisogno. Resurrezioneè un’opera sulle scelte morali, sui valori che tuttora esistono» (P. e V. Taviani).
ore 21.15
Luisa Sanfelice (2004)
Regia: Paolo e Vittorio Taviani; soggetto: dal romanzo omonimo di Alessandro Dumas Padre; sceneggiatura: P. e V. Taviani; fotografia: Franco Di Giacomo; scenografia: Lorenzo Baraldi; costumi: Lina Nerli Taviani; musica: Nicola Piovani; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Laetitia Casta, Adriano Giannini, Cecilia Roth, Marie Bäumer, Emilio Solfrizzi, Lello Arena; origine: Italia/Francia; produzione: Ager 3, Alquimia Cinema, Cattleya, Rai Cinema, Pampa Production; durata: 150′
«Rivoluzione napoletana del 1799, con l’arrivo dei giacobini e del pensiero illuminista a spodestare temporaneamente il re, per poi concludersi tragicamente. Dall’altra, la passione di Luisa Sanfelice, giovane e bellissima donna sposata a un nobile napoletano che s’innamora di un giacobino e partecipa ad una vicenda storica molto più grande di lei e della sua fragilità. Ad accomunare i due elementi narrativi, la “velocità”. La rivoluzione che porta alla nascita della Repubblica Partenopea è di brevissima durata, con la repentina ritirata dei saggi regnanti; ma è una Repubblica destinata a morire giovane, col ritorno dei Borboni e la tragica fine dei sostenitori dei giacobini. Del tutto simile è la storia di Luisa: un colpo di fulmine le fa amare profondamente un rivoluzionario francese, si trova a partecipare ad un’avventura collettiva quasi senza rendersene conto e la sua fine arriva troppo presto» (Mollica). «Dumas fu infedele alle cronache. Noi siamo stati infedeli a Dumas. Il nostro racconto, infatti, procede tra fiaba e storia, tra leggenda e quotidianità. Ci siamo certo documentati con pignoleria, come sempre facciamo, sulla storia della Sanfelice, ma poi quando abbiamo iniziato a raccontarla abbiamo perso di vista la fedeltà storica e siamo passati alla fantasia, procedendo passo passo nella nostra narrazione» (P. e V. Taviani).