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Giovedì 20 febbraio al CSC è stato proiettato per gli allievi il documentario “Vakhim” di Francesca Pirani, selezionato alle Giornate degli Autori - Notti Veneziane nel 2024 e ne è seguito un incontro con l'autrice. Si tratta della storia del vero figlio adottivo di Francesca Pirani arrivato dalla Cambogia nel 2008 all’età di quattro anni - Vakhim per l’appunto - del ritrovamento della sua sorellina maggiore, anche lei adottata in Italia, e del viaggio affrontato insieme quindici anni dopo l'adozione per ritrovare la madre biologica. A discuterne con gli allievi di Montaggio del CSC - Scuola Nazionale di Cinema è stata la regista e autrice Francesca Pirani, ex allieva del corso di Regia del CSC.
L’incontro è stato moderato dal Maestro Roberto Perpignani. «Ritengo che sia difficilissimo realizzare un film come questo - ha dichiarato Perpignani - la prima parte è stilisticamente più costruita e l’approccio della regista è più presente, dopodiché inizia a ‘sparire’ e il flusso proveniente dal film inizia ad essere ‘autonomo’, inizia a stabilire con lo spettatore dei rapporti diversi da quelli previsti inizialmente dal narratore».
Ha commentato la Direttrice artistica del corso di Montaggio del CSC Francesca Calvelli: «Lo ritengo un film coraggioso e molto sentito, personale (…) Un racconto gestito con grande armonia ma anche in grado di sorprendere con colpi di scena che ribaltano la narrazione, e c'è un punto di vista sul bambino che non si perde mai (…). Mi colpisce la tenacia della regista e il percorso mi ha ricordato quello vissuto per il film di Marco Bellocchio ‘Marx può aspettare’. Lo ritengo un lavoro di livello molto alto, un lavoro che ha trovato nel montaggio una strada molto efficace».
Annalisa Forgione, Tutor del corso Montaggio del CSC, ha aggiunto: «Il documentario racconta un tema forte che arriva senza nessuna retorica e nessun “ricatto”, sebbene la materia potrebbe facilmente virare in un auto compiacimento (…). Apprezzo molto il livello umano di forte impatto, ma lo ho trovato riuscito e convincente anche ad un livello cinematografico: per come è stata strutturata la storia e per come avete gestito i contributi diversi, ad esempio il materiale di repertorio. Con equilibrio e capacità di comunicazione non comuni è stato raggiunto secondo me un risultato importante».
Gli allievi hanno così dialogato con la regista Francesca Pirani, la quale ha rivelato il timore di risultare retorica con questo racconto.
«Mio figlio mi ha spinto fino alla fine perchè facessi questo film. All’inizio per me era solo un vissuto. (…) Come regista non credo nell'oggettività, c'è sempre una scelta, uno sguardo soggettivo. Non ho voluto realizzare una costruzione cinematografica nelle riprese, ho preferito cogliere i momenti spontaneamente, lasciarli "fluire" a discapito di riprese più costruite. Ho agito per sottrazione togliendo molto delle storie (ad esempio quelle degli altri fratelli) e ulteriori linee narrative che avrei potuto approfondire (…). Nelle riprese in Cambogia ho evitato i facili estetismi, le inquadrature di paesaggi esotici che non fossero funzionali al racconto. Non amo la retorica e volevo che la costruzione andasse di pari passo con la storia, senza anticipazioni».
Non ho voluto inoltre forzare il tema della denuncia politica a discapito del racconto personale: esiste anche una dimensione umana universale che va oltre i discorsi politici e religiosi»
Era presente all’incontro anche il montatore del film Nicola Moruzzi: «Il mio scopo era cercare la giusta distanza tra il materiale di repertorio disponibile, la mia sensibilità, quella della regista e quella dello spettatore, in modo da raccontare una storia che non rivelasse gli schemi sottostanti. In questo è stato sempre di grande aiuto l’intuito ‘anti-retorico’ di Francesca (…)
(TOGLIEREI QUESTO:)
Tra le tante domande, gli allievi hanno chiesto come si raggiunga in determinati lavori la ‘giusta distanza’ tra il materiale girato, il punto di vista del regista ed il montaggio. Nicola Moruzzi ha trasmesso l’importanza del rivedere il materiale più volte, e di come tempo possa far scaturire riflessioni ed emozioni nuove, in un secondo momento, dopo il primo approccio alle immagini vissuto ‘a caldo’.
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