Donato Salone (Loreto Aprutino, PE, 25 gennaio 1914 - Roma 25 aprile 2008) - Musicista, copista musicale di fama internazionale, assistente e organizzatore della realizzazione delle registrazioni per conto degli editori e delle produzioni cinematografiche. Ha collaborato con Luis Enríquez Bacalov, Manuel De Sica, Ennio Morricone, Riz Ortolani, Piero Piccioni, Franco Piersanti, Nicola Piovani, Carlo Rustichelli, Carlo Savina, Armando Trovajoli.
Il fondo donato dal figlio - costituito da 432 cartelle - è stato interamente catalogato dopo un lungo e complesso lavoro di riordinamento. Ci si è avvalsi del supporto di esperti per il riconoscimento delle parti e delle partiture musicali e per la loro corretta attribuzione ai compositori e ai film per i quali erano state composte. La parte più cospicua del fondo è composta da partiture e parti orchestrali, brogliacci, corrispondenze M scene, spartiti. Alcune cartelle contengono invece la corrispondenza, i documenti della sua attività lavorativa e della società Diafonia, i programmi Siae e le note di registrazione.
Il prof. Federico Savina ci introduce al mestiere del copista
Vi è un tassello produttivo molto importante tra il foglio di partitura scritto dal compositore e la sua esecuzione: la figura del copista. E' una figura amica, depositaria di molte situazioni professionali del compositore con, alle sue dipendenze, amanuensi di elevata professionalità in grado di decifrare la non sempre chiara minuscola scrittura di ogni singola riga del foglio di partitura e riproporla in modo chiaro all'esecutore, tenendo conto del volta-pagina, delle lunghe pause, dei richiami (gli inserti di un anello in un altro anello per un certo numero di battute); soprattutto è tenuto a non fare "mai" alcun errore aggiuntivo a quello eventualmente fatto dal compositore. Il copista deve essere disposto anche a lavorare tutta la notte e le festività per rendere disponibili le parti per l'orchestra nel mattino successivo, in quanto produttivamente parlando la musica viene come ultimo apporto alla scena montata e il compositore spesso termina di scrivere a ridosso della esecuzione. Lavoro oscuro, ingrato, mai riconosciuto nei ringraziamenti. Il mio ricordo di Donato Salone è di una persona gentile, con gli occhi arrossati, che riceve sicuramente il grazie del compositore, mai del produttore e che a volte, per situazioni particolarmente complesse, preparava una riduzione alla sola melodia come estratto indicativo per le entrate degli strumenti nell'arco del brano o i successivi inserimenti. La sua attività lavorativa si svolgeva innanzi tutto con i compositori - ai quali garantiva la disponibilità di parti perfettamente copiate quasi sempre in tempi ristretti - poi con i committenti della sua società Diafonia, editori di musica per film e produttori cinematografici e riguardava l'organizzazione della realizzazione delle registrazioni. Si occupava di calcolare i costi di copiatura prima e realizzazione in seguito, identificati a suo personale giudizio nella valutazione dei tempi di registrazione e nelle difficoltà esecutive dei singoli brani. Il suo impegno terminava con la compilazione e la firma del programma Siae - documento ufficiale che indica precisamente la posizione di ogni brano musicale inserito nel film - e con le eventuali riduzioni per altre tipologie editoriali di esecuzione o future stampe.
Il prof. Claudio Salone ci ha rilasciato un'intervista da cui emerge un bellissimo e affettuoso ritratto di suo padre
Che ricordi ha di suo padre?
Mio padre ha vissuto a lungo (oltre 94 anni) e ha attraversato periodi storici diversi, facendo esperienze diverse. I miei ricordi risalgono alla prima infanzia, negli anni in cui vivevamo a Carrara. Allora papà era molto vicino a me. Giocavamo spesso insieme ed era lui stesso a fabbricarmi i giocattoli, soprattutto gli aquiloni, di cui era un vero specialista, ma anche carretti di legno e altro ancora. Aveva tempo da dedicarmi perché era appena stato congedato dalla marina militare e stava cercando lavoro. Il lavoro lo trovò, dopo alcuni anni, a Roma, dove andò ad abitare da solo nel 1953 e dove poi ci trasferimmo tutti nel 1958. Di qui in avanti la presenza di mio padre in famiglia si fece sempre più rarefatta. Il suo lavoro, che per lui era una vera e totalizzante passione, lo assorbiva per tutto l'anno e per tutti i giorni, domeniche comprese. Era l'epoca in cui in Italia si producevano, se ben ricordo, cento e più film all'anno. Sono state molto rare le vacanze, estive o invernali, che abbiamo trascorso assieme e molti i giorni di fila in cui non lo vedevo, a causa dei turni di registrazione continui, che si protraevano spesso oltre la mezzanotte. Ed è stato così per decenni; poi l'industria cinematografica italiana iniziò il suo declino e papà iniziò a lavorare "normalmente", non più nei giorni festivi e nei periodi di vacanza. Papà smise del tutto di lavorare a 89 anni, dopo la morte di mia madre.
Qual'era il suo back-ground familiare e percorso formativo?
Papà veniva da un piccolo paese dell'Abruzzo e da una famiglia di umili origini. Mio nonno era fattore presso un nobile possidente terriero del luogo. Caratteristica della famiglia, comunque alfabetizzata (mio padre mi raccontava che la nonna scriveva le lettere delle spose e delle madri per i soldati al fronte), era la passione per la musica: anche i due fratelli di papà sapevano suonare uno strumento, appreso alla scuola di musica della banda del paese. In particolare, mio padre suonava il clarinetto in Sibe con questo strumento (più il violoncello complementare) entrò poi a far parte, appena diciottenne, della banda della marina militare, presso la quale restò per oltre un quindicennio. Ricordo i suoi racconti sulla orchestrina che accompagnava la colazione di Vittorio Emanuele III e di sua moglie a bordo dello yacht "Savoia" e sulle tournéesche fece in tutta Europa quando era a bordo della Amerigo Vespucci. Congedato dalla marina, dovette trovare un nuovo lavoro. Papà però fece di più: un nuovo lavoro se lo inventò. Era il periodo in cui l'Italia stava rinascendo dalle rovine e anche l'industria del cinema era tumultuosamente ripartita, per la stagione forse più bella dell'intera storia del cinema italiano.
Chi è un copista (ha un'altra definizione del suo lavoro)?
Dire che papà è stato un copista è riduttivo, se si intende per copista colui il quale traspone dalla partitura alle parti dei singoli strumenti il lavoro del compositore. Papà faceva anche questo, ma con l'andare del tempo e l'accrescersi della sua esperienza, diventò molto di più: era un organizzatore dell'intero processo che dalla composizione portava alla realizzazione della colonna sonora. Si occupava infatti del lavoro in sala di registrazione, teneva le relazioni tra orchestra e direttore (una delle più belle foto che ancora ho è quella di papà accanto al podio di Franco Ferrara, suo grande amico, al quale sapeva stare vicino anche nei momenti più critici che il grande Maestro attraversava), dava consigli, sempre richiesti e ascoltati, a registi, produttori, editori musicali, tenendo sempre un profilo basso, come spesso era necessario per mediare i conflitti e risolvere i problemi che sorgevano nel corso delle complesse operazioni di registrazione.
Ci racconta del suo lavoro di copista?
All'inizio papà lavorò come copista presso lo studio di un amico a Roma, dove si fece le ossa; poi volle tentare la sorte e si rese indipendente. Continuò a copiare, a trasporre e a "ridurre" musica (quest'ultima operazione era necessaria per il deposito dei pezzi presso la SIAE) fino all'ultimo, ma il suo lavoro principale era ormai diventato quello di assistenza e di organizzazione all'interno del processo di realizzazione delle colonne sonore. Mi viene in mente che anch'io, da bambino, collaboravo disegnando sul frontespizio delle cartelle che papà portava in sala di registrazione soggetti inerenti a quelli del film. Ricordo che venivo regolarmente pagato.
Che tipo di rapporto instaurava con i compositori?
Un rapporto sicuramente non solo professionale, ma umano e, in molti casi, sinceramente affettivo. Nei suoi circa cinquanta anni di vita lavorativa, papà avuto modo di conoscere tutti i grandi della musica da film, italiani e non solo. I miei primi ricordi sono quelli che legano mio padre ai maggiori maestri del tempo: del maestro Enzo Masetti ricordo solo che, quando arrivavano in ufficio le sue partiture "tutte nere" di note, i copisti dello studio facevano a gara a passarle ai colleghi; essendo pagati a cottimo, una parte di Masetti, con tutte quelle crome, rendeva assai meno di altre più ricche di semibrevi e minime. E poi Alessandro Cicognini, abruzzese di Pescara come lui, nato nello stesso giorno (25 gennaio), persona di grande finezza e dai modi gentili (lo ricordo appena, quando accompagnai papà a casa sua, per prendere le musiche del "Giudizio Universale"); Giovanni Fusco, dalla voce roca, compositore di musiche molto raffinate, che solo più tardi ho potuto apprezzare. Ricordo che quando telefonava a casa e diceva bruscamente: "C'è Salone", faceva inquietare la mamma, perché non premetteva "buongiorno, sono Giovanni Fusco". Altro musicista di grande spessore con cui papà ebbe rapporti di amicizia fu il genovese Angelo Francesco Lavagnino, di cui ricordo le musiche punteggiate di arpeggi sapienti, talvolta composte per film di cassetta che non le meritavano, diceva papà, ma che per me bambino erano molto divertenti; il Maestro fumava spezzando sempre in due la sigaretta (per averne meno danno, diceva, ma c'è chi sospettava malignamente le sue origini liguri). Della generazione successiva, di poco più giovane di papà, ricordo bene quando il maestro Riz Ortolani, tornato dal Messico, venne a trovarci a casa, per avere qualche indicazione da papà su come impostare il suo rientro nell'ambiente del cinema. Con Riz e sua moglie Katina Ranieri ebbe inizio allora un'amicizia lunga e sincera, che durò tutta la vita e che li vide lavorare assieme in Italia e all'estero. Due altri amici del cuore furono Carlo Rustichelli (negli ultimi tempi della loro vita si può dire che non passasse giorno senza che si telefonassero), simpaticissima persona che, senza darlo a vedere, possedeva una grande cultura e un animo raffinato, oltre che un cuore generoso e Armando Trovajoli ("Armanduccio" e "Donatuccio", così si chiamavano tra loro), una persona di straordinaria umanità e sensibilità musicale, il più grande pianista jazz che abbia mai ascoltato. Ho ancora nelle orecchie il suo concerto in Fa per piano e orchestra di Gershwin, inciso su una lacca che ahimé è andata perduta. E poi Carlo Savina, direttore e compositore, con cui spesso conversai amabilmente, gran signore piemontese che papà apprezzava molto per la sua competenza musicale, spesso "fuori scala" per il cinematografo e Ennio Morricone, di cui papà vide gli umili esordi e seguì da amico fino alla meritata fama di oggi; anche se non mancarono tra loro decisi contrasti caratteriali (avevano entrambi temperamenti non facili), non venne mai meno l'ammirazione che papà aveva per lui e per la sua sapienza musicale. In occasione della prima romana del film "El Cid" venne a cena a casa nostra il maestro Miklos Rosza, che ricordo per la gentilezza e la grande cultura che faceva trasparire senza ostentazione. Con Rosza papà rimase amico per tutta la vita e spesso si telefonavano tra Roma e Los Angeles. E poi ci sono stati i giovani, i tanti giovani musicisti di talento che da papà hanno avuto consigli e sostegno: Gianfranco Plenizio, Nicola Piovani, fino ai "più giovani" Franco Piersanti, Maurizio Abeni e Carlo Siliotto e tanti altri ancora che adesso non ricordo. Perché papà aveva una vera "ossessione" per i giovani: diceva che i "vecchi" dovevano lasciare più spazio ai giovani, ai quali papà insegnava i "trucchi del mestiere" con affetto sincero, che era altrettanto sinceramente ricambiato. Erano i suoi figli nella musica, visto che il suo unico figlio si era dedicato ad altro.
Rammenta qualche aneddoto?
R. Papà era una miniera di aneddoti. Peccato che, per una sua innata e insormontabile testardaggine, non abbia mai voluto mettere per iscritto i suoi ricordi: seppure da una prospettiva "minore", sarebbe stato un autentico pezzo di storia del cinema italiano. A me viene in mente solo un tormentone più che un aneddoto, peraltro alquanto disdicevole, ma che è stato una vera e propria ossessione per anni e che contagiò un po' tutti, dai registi ai compositori, agli orchestrali: in estrema sintesi, si trattava di forzare l'interlocutore-vittima a dire, ad un certo momento del discorso, "chi?" Se il malcapitato abboccava, si sentiva rispondere un sonoro quanto irriverente e corale "'Sto c…o!" Ricordo le tecniche raffinate messe in campo per strappare il sospirato "chi?", le cartoline che ricevevamo con un solo punto interrogativo nel testo, per obbligarci a dire "chi?" e a ricevere, anche se solo mentalmente, la rispostaccia solita. Ci fu un periodo che si alzava la cornetta del telefono restando muti e aspettando che l'interlocutore si tradisse con il fatale "chi?" Mamma e io eravamo scandalizzati per queste "bambinate" dal sapore goliardico. Ma si sa, il mondo del cinema…
Sa dirci qualcosa della società Diafonia di cui ci suo padre è stato amministratore unico?
R. Non ricordo quando venne costituita la società. Il nome lo trovò un collaboratore di papà, ma evidentemente fu scelto per il suono, non per il significato (interferenza, disturbo, il contrario di sinfonia). Oltre a offrire servizi, era anche casa editrice, soprattutto di musiche di commento.
Vuole aggiungere Lei qualche altro avvenimento che ritenga interessante far conoscere sulla figura di suo padre?
Papà trovò nel lavoro che si era inventato la realizzazione della propria vita. Ne era orgoglioso e ne ricavò grandi soddisfazioni, soprattutto pensando all'enorme cammino che aveva percorso, professionalmente e umanamente. Come ho avuto modo di constatare in numerose circostanze, papà ha sempre goduto dell'amicizia, della stima, della considerazione e del rispetto di tutti i musicisti con cui ha collaborato, molti dei quali con titoli culturali e accademici ben superiori ai suoi. Se l'Italia è risorta dalle rovine della guerra lo si deve certo ai tanti uomini e donne che, come mio padre, erano capaci di straordinari sacrifici, perché credevano in quello che facevano per costruire un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie.
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