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“Intervista a Caterina d’Amico, preside della Scuola Nazionale di Cinema”
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Intervista a Caterina d'Amico, preside della Scuola Nazionale di Cinema


Accade ogni anno e l'occasione è unica per chi nel proprio futuro vuole avere uno spazio importante nel cinema: il Centro Sperimentale di Cinematografia nei mesi di giugno e luglio apre le porte ai futuri registi, agli aspiranti attori, direttori della fotografia, montatori, scenografi e anche costumisti. E perché non provarci, ripete spesso Giancarlo Giannini ai suoi allievi: «Ci vuole coraggio, ottimismo, occorre credere in se stessi e inventarsi con fantasia guardando avanti con curiosità, anche a costo di sbagliare»; e il produttore Gianluca Arcopinto, in una bella lettera a una sua allieva, scrive: «Non ti fermare davanti agli ostacoli: trova il modo di aggirarli. Inventati. Lotta. Non avere paura di perdere. Se puoi, non lamentarti mai e sorridi, perché il cinema in fondo è un lavoro da privilegiati». Il Centro Sperimentale non è una meta irraggiungibile, è una strada possibile, basta volerla affrontare con le proprie idee e le proprie
utopie, con la convinzione di voler arrivare fino in fondo. Caterina d'Amico, che da qualche mese è tornata a fare la Preside della Scuola, a occupare quel posto che per tanto tempo è stato suo, ci racconta che i giovani che oggi si avvicinano al Csc «sono persone molto diverse, profondamente motivate, che hanno già qualche esperienza nel campo e decidono di investire in formazione perché sanno che questa Scuola in Italia è il punto di riferimento per acquisire la preparazione specifica necessaria a entrare con sicura competenza nel mondo del lavoro».

Preside, cosa chiede la Scuola a un giovane che vuole venire qui? Quali sono cioè i requisiti necessari per frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia? «In fase di esame di ammissione - spiega Caterina d'mico - si verifica per prima cosa che un giovane disponga di buone basi, come saper disegnare per uno scenografo o avere sensibilità acustica per un futuro tecnico del suono; in secondo luogo che abbia un minimo di consapevolezza dei contenuti della professione che vuole affrontare. Avere una conoscenza di base di tutti quegli elementi concernenti la storia del cinema o relativi alle specifiche competenze, come avere un vocabolario di punti di riferimento che ti mettano in condizione di seguire una lezione, è importantissimo. È fondamentale che interessi e istinto abbiano sviluppato negli aspiranti allievi una capacità di analisi dei contenuti delle rispettive discipline. Oltre a questo, un punto fondamentale che fa la differenza è il carattere. È molto importante sia per affrontare e affermarsi in questo mestiere sia per potersi trovare bene a Scuola. Le professioni dello spettacolo richiedono un carattere propositivo, assertivo,
pronto ad assumersi delle responsabilità, a prendere delle decisioni. Un carattere molto riservato e introverso ha vita difficile. Un giovane deve essere aperto a dialogare con gli altri perché il cinema è un lavoro di gruppo, non può essere un solitario, deve essere capace di dialogare e di mettersi in sintonia con troupes composte anche di cento persone. La scuola è un test perché obbliga a interagire, a fondersi in un gruppo di lavoro, a capire le idee degli altri, a sposarle e ad affermare le proprie. Cerchiamo di insegnare l'arte del dialogo e della collaborazione. Monicelli diceva che un regista deve essere capace di collaborare con tutti, farsi dare le idee e prendere quelle che gli servono, buttando via il resto con molta decisione.
Questo cerchiamo di insegnare, quindi cerchiamo di scegliere le persone adatte a questo tipo di metodo. All'artista solitario questa scuola non serve. In un attore cerchiamo una personalità originale che si distingua dagli altri».

Oltre a fornire gli strumenti per imparare a fare un film, la Scuola aiuta i giovani allievi a rafforzare quello spirito critico e quella capacità di analisi necessari per conoscere la realtà? «Questo aspetto è proprio nello specifico di questa Scuola. Una parte fondante di quello che noi proponiamo ha a che fare con i lineamenti distintivi del cinema italiano che è prepotentemente fondato sull'analisi della realtà, sul rapporto con il reale. C'è un'antica controversia intorno alla domanda su cosa può fare una scuola: può insegnare forme o anche contenuti? I contenuti sono un bagaglio personale, il mondo che si vuol raccontare è anch'esso soggettivo, qui lavorando insieme affiniamo le tecniche. A un allievo non possiamo dare i contenuti, però possiamo aiutarlo a sviluppare la sensibilità, il gusto, possiamo indirizzarlo su un percorso che gli è congeniale, possiamo ampliare le sue conoscenze e le sue capacità di analisi e di sintesi sul terreno che
gli è proprio. Il gusto si educa, si insegna a guardare un'immagine attraverso il dialogo, si educa l'attenzione e si comunica un metodo di analisi. Quello che ci distingue dalle altre scuole è che noi non proponiamo un approccio univoco alla professione, bensì variegato. Cerchiamo di mostrare la possibilità di essere professionisti in modi diversi, poi ognuno sceglie quello che gli è più congeniale».

Le opportunità infatti sono aumentate. Da diversi anni il Centro Sperimentale di Cinematografia ha sedi "specializzate" in diverse città: a Torino si insegna il cinema di animazione, a Milano cinema d'impresa e pubblicità, a Palermo il documentario, a l'Aquila, la sede più recente, si insegna nuovi prodotti audiovisivi. La Scuola negli anni è cresciuta, sperimentando nuovi linguaggi, insegnando nuovi modi di lavorare con le immagini. Quale sarà il prossimo futuro? «Questo incremento è già molto impegnativo, l'obiettivo è saper dialogare con tutto questo».

E il Centro Sperimentale dimostra di saperlo fare, basta considerare i numerosi riconoscimenti che gli allievi ricevono durante tutto il loro percorso formativo con i cortometraggi o con i film di diploma che partecipano ai numerosi festival internazionali. È il primo contatto con il loro pubblico "esterno", ed è già incoraggiante vedere che quei primi passi sono quelli giusti.

Allora il pubblico cinematografico, televisivo, i diversi pubblici quanto contano per questa scuola? «Da un certo punto del percorso didattico contano molto - continua Caterina d'Amico - e quello che dobbiamo far capire agli studenti è che il cinema è un linguaggio. Un'immagine è eloquente perché il pubblico recepisce le immagini e le traduce in informazioni e in sentimenti che sono quelli che vogliono trasmettergli coloro che le hanno realizzate. Occorre spiegare agli studenti come impadronirsi di questi strumenti linguistici per poterli usare al fine di raggiungere i propri intendimenti. In altre parole: si capisce che cosa vuoi dire? In questo senso dobbiamo sempre tener presente il pubblico, non nel senso di fargli piacere un film, ma nel senso di fargli arrivare un certo tipo di effetto e di messaggio. C'è una differenza inevitabile tra l'opera che si ha in testa e quella che si riesce a fare, perché tra la propria immaginazione e il risultato che ne  scaturisce c'è un vastissimo gap. La scuola ti deve aiutare a rendere minima questa differenza. E poi all'allievo chiediamo: ma sei sicuro che questa cosa interessi? Per chi stai scrivendo, per chi stai girando, sei sicuro che questo tipo di stile sia adatto a questa storia? Vuoi fare un film commerciale o d'autore? È evidente allora che la questione del pubblico ce
la poniamo molto seriamente, come anche l'aspetto "commerciale" del film, perché il cinema non può prescindere da una valutazione commerciale del prodotto. Un prodotto molto costoso non può essere troppo di nicchia, non te lo fa fare nessuno, se non dopo che hai stabilito un rapporto di fiducia con un "tuo" pubblico, quando allora puoi scegliere e ti porti dietro un certo tipo di pubblico che ti si affida e ti segue anche al buio».

Il Centro Sperimentale, come anche altre grandi organizzazioni culturali, ha
un suo riferimento internazionale, fa infatti parte del Cilect (Centre International de Liaison des Écoles de Cinéma et de Télévision), un'organizzazione internazionale che raccoglie moltissime scuole di cinema di tutto il mondo. Quanto è influente il rapporto con altre scuole? «Far parte di un contesto internazionale è importante perché dà la possibilità di vedere i lavori che escono da altre scuole e questo allarga i confini della conoscenza, fa fare confronti, apre la possibilità di scambi, fa seguire agli allievi corsi di un'altra scuola, per esempio. Dà la possibilità di girare un cortometraggio o un film di diploma in un altro paese, può concretizzarsi l'occasione di un partenariato con un'altra scuola».

Per concludere, i ragazzi escono tutti con una preparazione importante, ma cos'è che fa poi la differenza? «Fuori la differenza la fa il caso. È diverso da mestiere a mestiere: il fonico, il montatore, lo scenografo hanno la possibilità di incontrare grandi professionisti, di fare stages, e poi dopo la scuola se sei bravo e affidabile ti chiamano. Se fai il regista non è così, devi convincere un produttore a investire molto denaro su di te, se fai l'attore devi corrispondere anche fisicamente all'idea di quel personaggio che un regista si è fatta, se sei bravo o no ti è utile dopo, non prima, prima ti sono utili altre cose che sono riconducibili al caso. Se un regista vuole un attore grasso è importante che sia grasso, che poi quest'attore sia anche bravo è molto importante ma viene dopo. Il regista realizza un film se ha la fortuna di trovare un produttore che giudica eloquente la storia che gli propone. Deve fare incontri giusti, trovare una sintonia, ci deve essere un'intesa su un tema, poi ovviamente è molto importante che sia bravo».

Concludiamo la nostra conversazione nella stanza di Caterina d'Amico mentre il telefono continua a squillare incessantemente. Dal giorno in cui è stato pubblicato il Bando di concorso per accedere alle selezioni, c'è un gran fermento al Centro Sperimentale di Cinematografia. Nonostante il periodo critico del nostro Paese, la situazione economica delle famiglie italiane, l'incertezza per il futuro, sono tantissimi i giovani convinti che si può vivere lavorando con il cinema e con la cultura, e che alimentare e difendere la creatività non è solo un diritto di ciascuno ma anche un dovere, perché si tratta di tutelare e investire sul processo dinamico e continuamente mutante del mondo, del nostro esserci e reinventarci con nuove idee e nuovi stili di vita.



L'intervista è stata realizzata da Susanna Zirizzotti per Diari di Cineclub
periodico indipendente di cultura e informazione cinematografica

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