Andreassi, fin dagli anni '60, è stato anche sceneggiatore, direttore di fotografia e montatore dei suoi film. Sull'evoluzione dei documentari d'arte del regista, ha scritto Paola Scremin che «alla fine degli anni '40, Andreassi approda alla poesia e alla letteratura e, di lì a pochi anni, inizia la sua ricerca in campo fotografico. Siamo nell'epoca d'oro del documentario d'arte. Registi, anche alle prime armi, sono intenti a girare sui quadri (ottimi pretesti per tarare la tavolozza cromatica delle prime pellicole Ferraniacolor), mentre gli storici dell'arte scoprono un nuovo strumento di divulgazione e, all'interno del dibattito teorico, fanno la voce un po' grossa verso i primi per ribadire un metodo o una grammatica filmica idonei alla ripresa di questi oggetti densi di significati formali (è il caso di Longhi-Barbaro e Ragghianti). Raffaele Andreassi passa quasi inosservato. I suoi documentari sull'arte rispondono ad esigenze per lo più di intrattenimento, e seguono, nella maggior parte dei casi, lo schema dei prodotti allora sul mercato: una serie di quadri commentati da una voce fuori campo. In questi anni Andreassi studia, osserva e riflette sul significato di un'immagine. [...] Pratica il cinema e la fotografia, sperimenta le leggi del colore e della luce [...]. Inoltre, esercita lo sguardo sull'arte contemporanea anche attraverso le riproduzioni di fotocolors che allora iniziavano ad invadere il mercato. La cultura storico artistica, fin qui privilegio di pochi, cominciava ad espandersi. Il cinema neorealista lo aveva affascinato nelle sue note di realtà e poesia quotidiana [...]. Forme e colori del paesaggio, volti e ambienti lo attraggono nella misura in cui riescono a diventare significativi stati d'animo ed emozioni [...]. Alla fine degli anni cinquanta il suo documentario è già privo di commento parlato [...]. Il documentario di Andreassi "non parla", suggerisce con discrezione attraverso piccole annotazioni insistite, dettagli dal sapore introspettivo, ritmi a volte lenti e veloci, a seconda della necessità e del caso». Sempre negli anni sessanta Andreassi ha lavorato per la Rai come ideatore e regista di inchieste giornalistiche di varia natura: politica, economica, sportiva, culturale e di costume. Ha inoltre diretto diversi caroselli. Di particolare interesse è il suo lungometraggio di finzione, Flashback (1968), affascinante esempio di cinema psicologico, che purtroppo al tempo ebbe una distribuzione limitatissima. Autore più unico che raro, Raffaele Andreassi è un regista molto amato dalla Cineteca Nazionale che gli ha reso omaggio in svariate occasioni: al Cinema Trevi nel maggio 2005; alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2006 con la proiezione dell'inarrivabile Antonio Ligabue pittore (1965) e nel 2008 con l'inclusione di Flashback all'interno della retrospettiva Questi fantasmi. Cinema italiano ritrovato (1946-1975), curata da Sergio Toffetti e Tatti Sanguineti. Andreassi ci ha lasciati da poco. Un commosso e rinnovato saluto dove, a essere protagoniste non sono, per una volta, le troppe parole, ma le immagini del suo cinema. Enigmaticamente naturali.
"“La giornata dedicata a Raffaele Andreassi, inizialmente prevista per il 3 dicembre, è rimandata al 14 gennaio.”
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