“Per il ciclo “(In)visibile italiano” mercoledì 27 gennaio al cinema Trevi giornata dedicata a Stefano Gabrini, regista e docente presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Alle 20.45 incontro con l’autore moderato da Fabio Castriota”
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Parlare di Stefano Gabrini significa inevitabilmente parlare del cinema italiano degli ultimi venticinque anni e di una generazione di registi che ha mosso i primi passi negli anni '80, sull'onda di una crisi ormai conclamata, di una televisione sempre più presente e pressante, di uno spaventoso vuoto produttivo (e legislativo: l'oscura vicenda degli articoli 28), di una mancanza di prospettive, dopo decenni di crescita esponenziale di film, generi, idee, stimoli. Una generazione abbandonata a se stessa, all'interno della quale pochi sono riusciti a emergere e a ritagliarsi un proprio spazio. Gli altri, i più, sono stati costretti a sporadiche incursioni sul grande schermo e a molteplici altre esperienze. Significativa al riguardo la biografia di Gabrini, da anni docente al Centro Sperimentale di Cinematografia: «Nel mondo dello spettacolo dal 1983, realizza cortometraggi, videoclip, documentari e collabora a programmi televisivi ("La notte della Repubblica", "Viaggio intorno all'uomo"). Si occupa anche di teatro come direttore di scena. Dopo un'esperienza come critico cinematografico ("Reporter"), esordisce come attore interpretando il ruolo principale del film di Beppe Cino La casa del buon ritorno. Di questo film è anche assistente del regista. Da una sua sceneggiatura, premiata al concorso Scrivere il Cinema, realizza come regista: Il gioco delle ombre, opera non priva di fascino. Nel 1988 il suo documentario The Secret Music of the Plants è stato premiato in Inghilterra da sir Richard Attenborough» (mymovies.it). Due film in vent'anni, una media alla Terrence Malick, che non depone a favore del nostro cinema per la ricchezza interiore che traspare dalle opere di questo regista e per gli spunti che esse propongono all'attenzione dello spettatoro in un gioco di ombre che non può non ispirare l'accostamento a un maestro come Tarkovskij. Un cinema rigorosissimo (testimoniato in modo inequivocabile dal lavoro sul suono compiuto in Jurij), che nasce da una profonda sensibilità, interamente costruito attorno, e dentro, i personaggi, abbattendo le loro deboli difese per esprimere fragilità e paure di fronte alla vita. I due film di Gabrini inevitabilmente si espongono a letture psicanalitiche e questa strada si è voluto percorrere fino in fondo invitando a moderare l'incontro lo psicanalista Fabio Castriota, sulla base anche dell'apprezzamento espresso dal padre della moderna neuropsichiatria infantile Giovanni Bollea per il secondo film dell'autore: «Spero che Jurij resti nell'anima di molti spettatori e regali materia per sognare in nome di una sorta di realismo etico». Ma è l'occasione anche per riflettere sui destini del nostro cinema di fine e inizio millennio, in cui l'(in)visibilità, da noi tanto apprezzata nei decenni precedenti in una prospettiva di riscoperta archeologica, si pone invece negli ultimi decenni come un sintomo, fin troppo evidente, di un sistema in piena crisi.
ore 17.00
Il gioco delle ombre (1990)
Regia: Stefano Gabrini; soggetto: S. Gabrini; sceneggiatura: S. Gabrini, Roberto Marafante; fotografia: Raffaele Mertes; scenografia: Emita Frigato; costumi: Anne Marie Heinrich; musica: Florian Fricke; montaggio: Carlo Fontana; interpreti: Fabio Bussotti, Mariella Valentini, Fiammetta Carena, Isa Gallinelli, Maurizio Scuotti, Alberto Musacchio; origine: Italia; produzione: CO.CI.T. - Cooperativa Cineteatro Tv; durata: 100'
Luca è un giovane scrittore in crisi a causa del suicidio della donna amata. Si rinchiude in una casa, tormentato dai sensi di colpa e da una misantropia sempre più acuta. «Forse il nostro cinema è ad una svolta, che potrebbe premiare il lavoro dei trenta-quarantenni. Ma è giusto ricordarlo, si tratta di una svolta nebulosa, dai contorni non ancora precisi. Fra i tanti esordi degli ultimi tempi, crea non pochi problemi di classificazione l'opera prima di Stefano Gabrini Il gioco delle ombre. Infatti questo film si distacca nettamente dalle tematiche e dallo stile degli odierni esordienti. [...] Il lavoro di Gabrini è dignitoso, ben costruito, condotto con mano sicura e padronanza della macchina da presa. È probabile che un argomento meno difficile da affrontare avrebbe enormemente facilitato il compito di esordio del giovane regista» (Siniscalchi).
ore 19.00
Zbog Mostara (Per Mostar, 1995-96)
Regia: Stefano Gabrini; produzione: EUAM (Europian Union of Administration of Mostar); durata: 60'
«Per la prima volta, all'età di 36 anni, mi ritrovo con una telecamera (Hi8) in mano. e con un compito-dovere abnorme: l'esigenza di "testimoniare". È il 9 novembre 1995. due anni prima, nella stessa data, i croati-bosniaci dell'Herzeg-Bosnia bombardano e fanno crollare il celebre ponte di Mostar (patrimonio Unesco), sancendo la barbarie con l'isolamento della parte orientale della città (bosniaco-musulmana), per meglio massacrarla. A Nord, intanto, Sarajevo è sotto assedio. A Mostar le forze d'interposizione europee sono pallido cuscinetto, come labile è la tregua che regna da pochi mesi. Il bisogno, però, di sperare nella pace (MIR) alimenta i primi sogni-segni di "ricostruzione" e timidi tentativi di ritorno alla vita. Nel cuore dell'Erzegovina. Io sono lì. Questo documentario (di sole immagini) resta il primo "frammento" di una "rivelazione" che mi ha portato a condividere la mia vita (per quasi 3 anni) con quelle di una generazione (bambini e ragazzi con i quali ho fatto teatro) che ha attraversato l'orrore della "Guerra Civile" (non è la più mostruosa delle sinestesie?)» (Gabrini). Il documentario è stato proiettato negli spazi multimediali della Triennale d'Arte di Milano nel 1996.
a seguire
Taxi Rap (2001)
Regia: Stefano Gabrini; durata: 35'
Viaggio nella New York del dopo 11 settembre. A bordo di un taxi, errando per le strade di Manhattan e Harlem. Monologo rap di Umberto Rivera, nocchiero-tassista portoricano, studente in informatica, cittadino della Grande Mela. Video-dissertazione su New York e sulle ipotesi di complotto sull'11 settembre.
ore 20.45
Incontro moderato da Fabio Castriota con Stefano Gabrini
a seguire
Jurij (2001)
Regia: Stefano Gabrini; soggetto e sceneggiatura: S. Gabrini; fotografia: Pasquale Mari; scenografia: Antonello Rubino; costumi: Francesca Brunori; musica: Leonard Rosenman; montaggio: Francesca Calvelli; interpreti: Rajomond Onodj, Charles Dance, Fabrizia Sacchi, Sarah Miles, Eszter Mazany, Fabio Bussotti; origine: The Bottom Line, Focus Film, Rai Cinema, Tele +; durata: 90'
«Decenne ipovedente, orfano di madre, dotato di grande talento musicale, l'ungherese Jurij è stato costretto dal padre musicologo a una clausura di cinque anni per diventare un perfetto violinista. Alla prima esecuzione pubblica si rifiuta di suonare e il padre l'abbandona. In stato di apparente autismo è ricoverato in un istituto dove una psicoterapeuta italiana riesce a fargli riprendere contatto col mondo e con la natura. Il suo padre padrone si rifà vivo, lo riporta in Ungheria e lo prepara a un concerto all'Auditorium di Budapest (Ciaccona per violino e basso continuo, attribuita a Tommaso A. Vitali, 1663-1743). [...] 2° lungometraggio, dopo Il gioco delle ombre (1991), di S. Gabrini (1959) che tenta l'impervia strada di un cinema di poesia pittorica di forte cifra simbolica, appoggiato a una lucida idea di responsabilità etica. Sono evidenti [...]le ambizioni stilistiche nel tradurre in estetiche immagini, ombre, evanescenze, giochi di luce il mondo interiore del protagonista quasi cieco, affidando all'americano Leonard Roseman (Barry Lyndon, Questa terra è la mia terra) la partitura musicale. "Gabrini m'ha dato la visione." (Lawrence Ferlinghetti). Premiato al XXXI Giffoni Film Festiva» (Morandini). Il grande compositore Rosenman, scomparso nel 2008, era ritornato a lavorare nel cinema dopo anni di assenza perché colpito dalla sceneggiatura di Gabrini.
Ingresso gratuito
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